Interessante la preoccupazione di un genitore sul bell'aspetto del figlio.
Io sono anni che penso che bisogna stare attenti a quello che ripetiamo, noi e tutti ai figli, fino a spingerli in un determinato ruolo.
La bimba intelligente
Mi spiego, io da piccola sono sempre stata "la bambina intelligente". Alle elementari e medie nel mio paese ero la cocca degli insegnanti, perché adoravo leggere, leggevo sempre ed ovunque, e riuscivo a seguire due conversazioni contemporaneamente e ripetere su richiesta il contenuto delle tre fonti.
La mia maestra mi odia ancora per non essere mai riuscita a cogliermi sul fatto quando leggevo un Topolino di nascosto sotto il banco, e lei chiedeva: "Barbara, cosa sto dicendo" e io glielo ripetevo con i punti e le virgole e l'antefatto.
Quello che ciò ha fatto per la mia vita sociale e popolarità tra i compagi si lascia immaginare, aggiungiamoci che fino a pochi anni fa ero patologicamente timida, e lo sono ancora, ma lo gestisco meglio.
Su una sola cosa ero sicura: sulle mie opinioni personali, sulla mia capacità di scrittura, sul contenuto di quello che avevo letto (su quello che non ho mai letto, per esempio il programma di tre anni di filosofia al liceo, facevo la timida patologica e ha funzionato perfettamente anche quello. Mai rimandata una volta, porella).
Eh, ma per forza, io sono la bambina intelligente, non mi toccate l'intelletto. Infatti sono stata convinta per anni di essere considerata brutta, anche se io oggettivamente mi piacevo, ma non ho mai avuto fiducia nella capacità degli altri di vederlo. Quindi mi imbruttivo, mi vedevo brutta nelle foto e tanto bastava a confermarmi questa cosa. Via, non sia mai che una intelligente non sia brutta, ricordiamocelo, specie se ha gli occhiali e l'acne eterna.
Ciò (unito ad altri fatti e circostanze) ha prodotto danni enormi, ma riparabili, sulla mia percezione di me, sulla valutazione della percezione di me da parte degli altri, sulla consapevolezza di avere un corpo. Per tutta l'adolescenza ho avuto il collo alla Andreotti (poi il fisioterapista/pranoterapeuta pazzo ed ex-alcolizzato polacco a Vienna con due settimane ha fatto un miracolo, ma lo racconto un'altra volta).
Tutto vero, che da un paio di giorni ho recuperato un ex-compagno di liceo su Facebook che ha detto di aver letto il mio blog, quindi se capita qui può confermare.
Che io avrò pure avuto per anni la percezione di una vita sociale fallita, amici che mi vogliono bene come sono ne ho sempre avuti, ma me li sarei potuta godere di più. Recupererò.
La bimba vezzosa
Altro esempio, l'amica d'infanzia F., femminuccia femminuccia, lei era la bambina vezzosa e bamboleggiante, con i colletti ricamati a mano dalla madre curatissima, cocca delle maestre perchè bella, dolce, gentile e bravissima a disegnare, ricamare, far di maglia e uncinetto, lavoretti vari e financo suonare il pianoforte (la spinetta no, sto parlando dell'Abruzzo) che poi è diventato il suo mestiere.
Odiata anche lei da tutti, anche lei ha patito un'adolescenza bamboleggiante in odor di cretinità, poi nelle scelte umane e professionali ha dimostrato ampiamente di avere una gran bella testa, anche se ha sempre la vocina vezzosa e la volontà di ferro.
La bella bimba
Altra amica di gioventù cresciuta come "bella bimba", diventata bomba sexy al liceo, anche se oggettivamente era tutta aura. Aveva il culone, il seno piatto, le gambe cellulitiche e un pelo ad X e i capelli corti, ma si muoveva come Marilyn Monroe e con una sicurezza della sua presenza, pretendendo l'attenzione del mondo ad ogni gesto. Data la fama di bonazza passava per cretina, ma prendeva 8 in matematica e fisica con MANCINELLI (dicesi Mancinelli, i suoi voti valevano quanto il doppio di qualsiasi altro professore, io infatti ho raramente superato il 3, oh ma non mi dovevano costringere a fare lo scientifico, a mio padre ancora non la perdono, da genio del paese degradata a diversamente abile, tranne in lettere e lingue, un trauma che ancora non mi riprendo).
Il bimbo buono
O il famigerato "bimbo buono" 9ha persino una foto in braccio a papa Woityla), biondo, magrisimo ed etereo che volava via con un soffio di vento, mazziato dai macho del cazzo che popolavano il mio paese, a 10 anni è ingrassatissimo, poi è diventato una specie di teppista, sostiene di andare a fare risse in discoteca quando è ubriaco (dai 20 anni in su lo è stato spesso), pieno di piercing e tatuaggi e conciato da zarro, ma gli voglio sempre bene e per me è sempre, in fondo in fondo (molto in fondo), il bimbo buono biondo platino che volava via con le brezze. Lui lo sa e i suoi momenti di debolezza ammessa sono tutti miei. Quando non ci urliamo addosso, che gli stereotipi sono duri da risolvere.
(Il capo che lo ha conosciuto a 20 anni nel suo periodo peggiore di fascio/zengaro, e ancora non si riprende, fa fatica a conciliare le cose e ne sta alla larga. cioè, proprio non lo considera. Peccato perché lui il capo lo adora, soprattutto in virtù della sua forte propensione al ruolo di):
Il fratello maggiore
Quella del fratello maggiore è una specie di maledizione biblica, che solo in parte è determinata dall'ordine di nascita (mia suocera, per esempio, è secondogenita ma le è toccata tutta in quantitativi spaventosi e passa la vita a dominare, organizzare e preoccuparsi neuroticamente degli altri, specie se parenti, meglio se figliati da lei). Il capo ed io lo siamo entrambi ed io ho in un certo senso la versione di default, ma lui, che secondo me ha anche la madre che ha: lui ne ha fatto un mestiere.
Infatti, lui che in fondo è un senior consultant e team leader per progetti informatici (il senior e leader già dicono parecchio in questo senso, ora diciamo pure che un titolo senior, con un po' di pazienza, basta aspettare e biologicamente non si nega a nessuno, ma è il mix che risulta letale ai fini della maggioritudine), un paio di anni fa gli hanno appioppato un titolo tutto nuovo nella sua azienda, human development manager, che tradotto in termini umani significa proprio: il fratello maggiore, per due giorni alla settimana.
Cioè, chiunque abbia un problema, specie i consulenti con meno anzianità o nuovi in azienda, vanno da lui che ascolta, media, offre soluzioni, gli cerca eventuali corsi, o semplicemente una spalla su cui piangere (cosa che è letteralmente capitata un paio di volte, e meno male che nel frattempo lui era abituato a me, agli italiani, a tutte le mie amiche emotive, e ha risolto con molto aplomb. Poi la collega si è asciugata il naso e in tre secondi ha tirato fuori lei una soluzione tecnica brillante, senza il suo aiuto).
Lui è quello a cui chiunque abbia problemi con il computer, la dichiarazione dei redditi, il gatto moribondo da finire la domenica sera nell'unica clinica aperta (lui allergico ai gatti che tirava mostruosamente su col naso, l'amica/madre gattesca che piangeva disperatamente, il veterinario gli ha proposto di bere un bicchiere d'acqua, star lì seduti un po' e calmarsi, per timore che gli si ficcassero in macchina in un canale se li lasciava andare così, colpito da tanta disperazione).
Il fratello maggiore è quello che nel momento in cui una cosa da fare viene lanciata nel gruppo e tutti, anche chi di dovere, si tirano indietro, è quello che si sente in obbligo di prenderla lui prima che si sfracelli metaforicamente a terra. È quello che se uno dice: non va, ha già un progetto in mente per farla andare. È quello che non arriva mai, non finisce mai, ne ha sempre una che gli appioppano. Il fratello maggiore nei disastri naturali, è quello che dà il meglio di sé. Assume una naturale autorità, tutti gli danno retta, distribuisce i compiti e non perde mai la testa, uguale a quel testo di Kipling. Poi a cose finite lo si può raccogliere con il cucchiaino.
Cosa farci
Ho descritto un paio di casi che ho sotto gli occhi e hanno cominciato a darmi da pensare. Poi non è che noialtri non ne siamo venuti bene fuori, 40 anni dopo, che l'evoluzione della specie, è stato l'anno di Darwin e voglio ricordarlo, esiste davvero.
Ma quante persone conosciamo, piene di ottime qualità che loro per primi non vedono, troppo ancora imprigionati nello stereotipo bimbo che gli hanno appioppato? che quando uno ha una certa immagine di sé poi passa la vita a confermarsela, perché capire che ci siamo presi per culo e fregati tante occasioni umane e divine per rimanere nel ruolo che ci ha affibbiato qualcuno, in genere per troppo affetto o per proteggerci, beh è dura, ti mette in discussione tutto. Meglio non pensarci e tirare innanzi nell'unico modo a cui siamo allenati.
La mia porposta è: buttiamo fuori, ma letteralmente, il bimbo che è in noi, per fare spazio agli splendidi adulti che siamo diventati, grazie e nonostante tutto. Il 2009 per quanto mi riguarda è l'anno del coming out: basta con le stronzate, fatemi capire chi sono e che voglio e poi mi comporto di conseguenza. Anche se rischio non mi vogliano più bene.
(E, tra parentesi, io sono diventata una bonazza in anni recenti, se qualcuno vuol crederci. Ci sto quasi credendo io).
L'unica cosa che mi sento di salvare, considerato che vengono giudicati, secondo le ricerche, più competenti, altruisti, interessanti ecc. anche senza aver mai aperto bocca, cerchiamo di convincere i nostri figli che sono anche bellissimi. gli rimane l'aura e serve ad avere lavori più interessanti e ben pagati, carriere più rapide e favori ovunque. Lo dicono gli studi in proposito.
Siete tutti bellissimi. Credetemi.
6 commenti:
Quanto mi ritrovo in questo post... essendo stata assieme un'Intelligente (sí... pure io coi topolini sotto il banco, gli occhiali doppi e le trecce) & Sorella Maggiore (quello purtroppo mi tocca ancora).
Ma la terza etichetta affibbiatami da mia madre (non la pubblico) é quella che mi ha rovinato la vita finora.
Ma... c'é un corso per liberarsi da queste maledette etichette?! Io me ne trascino ancora una per gamba e non é un bel peso...
Grazie per questo post, vedo che non sono la sola a lottare coi fantasmi. E mi rendo conto che essere genitori é davvero difficile!
ecco... adesso mi hai messo in crisi... l'immagine del me bambina coincide quasi in toto con quella del me ora, ma... che immagine starò dando ai miei mostri di sè?!?!
stasera studio. prometto.
Ganja, ma se l'immagine di te bambina e adesso è quella con cui vivi bene, che tte frega? L'importante è essere felici, alla coerenza poi dio provvede.
Appelisn, io non sono un guru per fortuna, posso dirti cosa ha funzionato per me: far figli e confrontarmici, e scegliere di essere un tipo di genitore diverso dai miei e dai miei suoceri;
mettermi in mano a un coach serio che mi ha fatto respirare e faceva domande scomode
Mettermi in discussione, una fatica atroce ma vale
fare teatro con amici che rispettano i miei traumi e mi accompagnano per mano
tagliare i rami morti, amici e parenti che mi ributtano nel ruolo, o evitarli nei momenti di fragilità, o chiedergli di trattarmi diversamente e pretenderlo pure, civilmente ma pretenderlo (prima del civilmente con mia madre è andata avanti a urlacci che a lei dispiacevano, visto che non è il suo stile. Poi un giorno che stavo per urlare ho respirato, aspettato che i bambini uscissero, detto con fermezza: così non ne veniamo fuori e parlatole da adulta ad adulta, come in un colloquio d'affari. Ieri l'ho fatto con Orso che faceva i capricci. La prossima è mia suocera, lì ho bisogno di prepararmi)
Certe volte mi chiedo se non ci sia un modo più semplice, ma comunque mettersi anche per un po'in mano a chicchessia di competente, maestro yogi, psy, coach ecc. e che sia un professionista delle domande a cui tu ti devi rispondere, aiuta d avviare.
Ripeto, funziona per me, Panzallaria ha tutta la sua storia, simile ma diversa (leggi il suo blog dall'estate scorsa).
Il fatto che il nostro corpo e la nostra mente i segnali ce li danno, se ci fermiamo ed impariamo ad ascoltarli, poi abbniamo uno strumento che ci aiuta a vita.
Nessuno di noi raggiunge il nirvana, ma viviamo molto meglio.
in Italia i colleghi della mia coach sono: Lucia Giovannini che ha scritto un bel libro, tutta un'altra vita, e Nicola Riva che tengono corsi con Blessyou Italia a Bologna.
poi il bello è che quando ne hai davvero le sctole piene qualcosa succede, solo potrebbe anche essere una malattia. Meglio fare qualcosa prima.
manca l'opzione "bimba/o
problematica"! quella ero io. una bambina che si commuoveva per ogni minima cosa: le foglie che cadevano, un cane che sembrava triste; piangevo a dirotto davanti ai tramonti e i miei genitori non sapevano più cosa fare. inoltre ero timidissima, introversa, fisicamente impacciata e imbranata (lunga lunga, secca secca, la coordinazione e la grazia non sapevo nemmeno cosa fossero)e non facevo altro che leggere, da mane a sera. poi il tempo e la vita sono stati clementi con me, ma quella bimba goffa e sensibile e buona la ricordo ancora come una delle cose più belle, a cui tengo di più. col tempo ci ho fatto pace, e adesso guai a chi me la porta via! =)
anche io al liceo non potevo sopportare filosofia (ma non ero così brava come te a dissimulare lo studio, purtroppo); ora, invece, ad aprile mi laureo alla specialistica proprio in Filosofia, che strana la vita =)
la solita Anna, quella dell'altra volta!
Anna, quella che descrivi ero io (e forse anche Ennio), ma l'intelligenza me lo faceva perdonare.
Poi questa non aveva la pretesa di essere una guida esaustiva, ma in realtà di figli problematici ce ne sono, ben altri. Il bambino violento, quello disadattato, quello scemo.
Penso anche a una certa etichetta che serpeggia intorno a Orso, quella del bimbo paraculo, a cui mi sto opponendo in tanti modi, che non lo è poi troppo ed è soprattutto la sua difesa di piccolo di casa anarchico.
È un peccato, non necessariamente perché l'etichetta ti descrive più o meno bene, ma perché gli interessati a volte ci credono e si limitano nella vita per non contraddire la descrizione che hanno.
Appelsin, non scoraggiarmi. Se proprio tu che ne hai fatto un lavoro dici di portartele ancora detro le etichette, allora per noi comuni mortali non c'è speranza?
Posta un commento