venerdì 23 novembre 2007

Rottamazione vibratori inadeguati

Si, certe cose possono succedere solo ad Amsterdam, e meno male che le fanno. Dopo le aziende con una coscienza che decidono di ritirare prodotti perché non adeguati, decisamente pericolosi, non funzionano ecc., poteva mancare la rottamazione vibratori? Che è vero che gli olandesi il marketing fondamentalmente lo hanno inventato loro a partire da come si gestiscono la festa di Sinterklaas, ed è vero che credono di avere una coscienza sociale e un istinto emancipatorio nei confronti di tutto e tutti, anche di chi non vuole essere emancipato, ed è vero che sono famosi nel mondo più che altro per quei sex-shop con cazzoni di plastica spaventosi in vetrina che stanno su tutti i percorsi turistici, che poi la gente se gli chiedi cosa hanno visto ad Amsterdam pare che vedano il quartiere a luci rosse e le vetrine del sex-shop e poco più (tipo la casa di Anna Frank o il Van Gogh), ed hanno questo alto tasso di Internettizzazione che ormai anche il barbone a momenti ha la sua webpage, ma mettere tutto ciò insieme ha del genio.

Onore al genio, quindi. Si comincia con un sito dedicato (vedi link), in cui un testo di un equilibrio splendido tra marketing, coscienza sociale, uso e funzioni del dildo e vari altri aspetti che ora mi sfuggono, che non sono stata mica a farci l'esegesi, che io sono di quelle che le vetrine dei sex-shop mi mettono l'ansia da prestazione e allora evito di soffermarmi sulla cosa, dicevo il sito che spiega la faccenda.

Premettere, l'iniziativa parte da un negozio di vendite per corrispondenza dedicato soprattutto, anche nel nome, alla clientela femminile, che si sa, non siamo tutte proprio così tanto emancipate da andarcene belle fresche nel sex-shop dietro l'angolo a vedere le primizie della nuova stagione quando ci gira di fare shopping. Per dire che come minimo, se ci dobbiamo comprare le palline quelle per fare yoga, diciamo che dobbiamo fare un regalo a una che ha appena partorito e deve rifarsi il pavimento pelvico duramente provato dalla cosa. Signora mia, che secoli di repressione della sessualità femminile ancora si fanno sentire.

Allora, l'azienda ci informa che purtroppo è un settore ancora selvaggio e non autoregolamentato, per cui esistono tante ditte che si improvviano, tanti prodotti proprio inadeguati, nel senso che non fanno effetto, o ne fanno di meno di quello che ci piacerebbe, o non sono ergonomici, o sono fatti di materiali inadatti o dio ne liberi, decisamente tossici. Al che mi viene la nostalgia per il dildo d'avorio con i bassorilievi del Kamasutra di cui ho letto in Fanny Hill. L'avorio non è tossico e da quello che ho letto quello lì di Fanny Hill manteneva proprio tutte le promesse. EEEh, i prodotti di massa non sono più quelli di una volta che facevano per le elite.

E per ovviare a tutto ciò, dicono, hanno deciso di dare avvio ad un'azione di rottamazione dei vibratori vecchi, in cambio di uno nuovo. Hanno creato un furgoncino fattapposta con il logo di "scambia il tuo vibratore" che, esattamente come il furgoncino per la raccolta dei rifiuti chimici, si troverà in date stabilite in determinati posti (a cominciare da piazza Dam) dove le donne potranno accorrere in massa a far rottamare il vibratore vecchio in cambio del nuovo. Bello, non vedo l'ora, che ho sempre sospettato che il mio - regalo per Sinterklaas - fosse una ciofeca. Mi pare fosse stato comprato proprio da loro, ma prima che acquisissero la coscienza sociale. Buttarlo via non avevo il coraggio, era un regalo e poi praticamente nuovo. Rottamarlo mi sembra un'opzione responsabile ed ecologica, valà che mi decido. Vado a leggermi come funziona la cosa.

Non finisce qui: ci sarà una festona di scambio, bisogna iscriversi che le richieste sono maggiori di quello che pensavano, e poi vai alla loro festa nell'unico punto vendita fisico che hanno (in Vijzelsgracht, se interessa), con il tuo bravo numerino di prenotazione che hai fatto su Internet, consegni alla hostess il vecchio e nel corso della festa ti consegneranno il nuovo, che non si sa com'è, che è una sorpresa, ma tratto dalla nuova collezione di The Fun Factory, che ha anche un bel sito tradotto in Italiano, il che la dice lunga. I siti della maggior parte degli altri paesi sono in inglese. Fosse che c'è mercato, da noi, e per questo investono nella traduzione del sito.

La cosa che dicono en passant è che ci sarà tanta stampa, e quindi si faranno riprese e foto. Che è il motivo che mi ha decisamente scoraggiata dal partecipare, che per una volta che sono stata in TV a commentare sulla cattura di Provenzano, in orario tardissimo, con il cappello in testa che mi mimetizzava, ancora incontro gente che dice di avermi vista.

Meglio non rischiare di dovermi sentir dire "Ma sai che ti ho vista in TV a farti cambiare il vibratore, com'è, funziona bene, no che anch'io pensavo di prendermene uno ma l'Associazione consumatori ancora non lo fa il test comparativo e allora volevo chiederti come ti sei trovata con questo, che se ne sentono tante". Ecco, ribadisco, io continuo a essere la bimba tirata su dalla prozia monaca di casa, la mia emancipazione in proposito è all'anno zero e lo stomaco per mettermi in una cosa del genere non ce l'ho. Però per dovere d'informazione, ve la dovevo raccontare, spero qualcuno me ne sia grato un giorno, che una coscienza sociale ce l'ho anch'io.

Ah, stavo per dimenticare la cosa migliore: che ci fanno con tutti i vibratori rottamati? Un'opera d'arte di non so chi, che faccio fatica ad imaginarmela, l'unica cosa che ci farei io di artistico è un gigantesco Mobile con tutti i vibratori accesi contemporaneamente, da appendere all'obelisco di piazza Dam. O a una di quelle carrucole tipiche per porte i mobili nelle case sui canali, magari giusto quella che sporge dalla casa di Anna Frank.

PS Vedi amichetta mia tenera, tu te ne vai un paio di settimane ai Caraibi di novembre e ti perdi tutte queste belle cose. Poi mi tocca aggiornarti, contenta che lo faccio?

Mi è venuta la madre (lievito madre)

Finalmente, dopo due splendidi figli, mi è riuscito di nuovo di produrre una cosa viva che mi è venuta benissimo. Un lievito madre fantastico, stasera ci ho fatto panini e focaccia e mi vengono da dio.

Diciamo che ogni tanto ci provavo e mi venivano delle cose dubbiose, che però speravo che facendoci la pasta e rinnovandole di volta in volta, entro un paio di mesi mi sarebbe venuto il Blob che si dimena fuori dalla ciotola dell'impasto scodinzolando non appena gli fai ventilare una proposta di lievitazione. Macché. Un paio di volte me lo sono infornata, scordandomi di salvarne abbastanza. Insomma, di quelle cose che mi vengono come i maglioni di lana.

Stavolta invece una robina bella gommosa, appiccicosa, con tutti i buchini e buconi da spugna che ci vogliono, che basta darle un po' di farina ed emerge vittoriosa. L'ho scoperto per puro caso, ormai avevo da un paio di giorni un barattolone copertoin cucina ma non avevo avuto tempo di guardarlo.

Nell'entusiasmo della scoperta ne ho proposto un po' a Lily, che però ha preferito portarsi via un paio di panini belli e pronti.

Non mi cominciate a chiedere quantitativi e metodi di riproduzione. Non lo so. Mi è venuto. La botta finale, ovviamente me l'ha data Flavia, che mi ci ha fatto mettere zucchero, miele ed acqua calda. Io tentavo con i metodi "pure nature" che pure, considerato lo stato igienico della mia cucina dovrebbe far riprodurre per partenogenesi pure le uvette per i maritozzi e far crescere i porcini al primo acquazzone autunnale, evidentemente bisogna dare un calcio in culo a tutti, nella vita, se vuoi ottenere qualcosa.

Non so se sia stato il freddo (io credevo funzionasse il caldo e stavo per rimandare all'estate), che nella mia cucina il termosifone sta spento. Quello che è, preferisco affidarmi alla fede e non alla scienza, qindi inneggio al mistero dei saccaromiceti e lattobacilli ed evito di farmi domande.

Siamo italiani, piangiamoci addosso

Cito dalla newsletter di Paolo Marchi, noto e attivissimo giornalista, esperto e guru eno-gastronomico, perché mi sembra ponga un interessante problema di interculturalità. Intanto parla delle nuove guide Michelin e pare che a Tokyo i ristoranti tre stelle siano otto.

"Giusto o sbagliato che sia, è inutile che noi italiani ci chiediamo perché la Michelin ci penalizzi perché i suoi responsabili non pensano affatto di mortificarci, al di là del gusto tutto francese di guardarci dall'alto verso il basso. Sono infatti perfettamente convinti che noi nell'alta cucina, per come la intendono loro, si vale meno della Germania e di Tokyo, altrimenti ci darebbero altri voti. Siamo noi i grulli che ci aspettiamo generosità totale da una realtà francese, il cui fine ultimo è contribuire alla gloria della cucina di Francia (e non della nostra)."

Scusatemi, ma a me sembra che la Michelin cuochi italiani fuori dall'Italia li premi, o no? Allora, siamo noi i grulli forse che non sappiamo fare sistema, siamo noi i grulli che preferiamo la mangiatona abbondante alla trattoria della Sora Cecia a 4 soldi piuttosto che aprire il naso e le papille a qualcosa di nuovo e migliore pagandolo il giusto, siamo noi che per primi non sappiamo apprezzare la cucina come una forma d'arte. Guardiamoci anche i vantaggi di ciò: abbiamo una cucina casalinga e popolare di ottimo livello. Siamo fortunati. Per questo ci accontentiamo. Sbagliamo.

A me non sembra che la Michelin, pur con tutti i presupposti per cui è nata e come funziona, stia lì per contribuire alla maggior gloria della cucina di Francia. È lì per distinguere professionisti che lavorano in un certo modo (un ristorante Michelin, sicuramente un tre stelle, non è solo per la cucina) e se da noi non ci sono ce ne possiamo dispiacere o possiamo chiederci se quel certo modo di fare ristorazione ci interessa davvero, ma non stiamo per favore a dire: tu non mi fai giocare e allora mi invento io un giochetto mio. Non rendiamoci ridicoli pensando a inventarci la contro-Michelin solo per questo. Per altri motivi migliori magari si, ma non per questo.

Anche la ristorazione italiana, vogliamo farla diventare adulta?

Da evitare come la peste

Stasera, non dico come e ospite di chi che non è carino, perché in fondo la compagnia è stata piacevolissima, ho finalmente cenato da Pasta e Basta, sullo Spieghelgracht, nella stradina degli antiquari di fronte all'ingresso principale (ora chiuso causa restauri) del Rijksmuseum. Meglio specificare, che sennò magari qualcuno si sbaglia e ci finisce dentro.

Vuoi che non avessi già sentito parlare di questa formula di ristorazione che prevede camerieri/e che cantano pezzi d'opera tra una portata e l'altra? Tra l'altro un paio di anni fa ci è andata a mangiare mia suocera con le sue amiche dell'hockey e le era piaciuto molto, quindi già un buon motivo per sapere che doveva essere una schifezza. Nulla contro mia suocera, che è una santa donna, la ammiro e le voglio un gran bene, ma tanto è notorio che su cibo e ristoranti, anche se spesso ci piacciono le stesse cose, abbiamo una filosofia di fondo diversa.

Io benedico anzi mia suocera e le bacio i piedi devotamente, perché frequentando lei capisco chi sono i miei polli quando devo scrivere un'articolo. Sempre utile conoscere il proprio pubblico, cosa che con il blog funziona un pelo giusto con chi mi lascia commenti, (del che ringrazio).

Poi di Pasta e Basta, francamente, un altro episodio ci aveva suggerito di dubitare anche della part II della formula, ovvero la musica. A tutt'altra cena di gala, il proprietario che manco so chi sia (dio lo perdoni per i soldi che si sta facendo alle spalle dei fessi, perché c'è da dire che è un ristorante ben frequentato e recensito, che devo dire, chi è causa del suo mal pianga sé stesso) dicevo si era portato dietro una sbarba e come supplemento a sorpresa dell'intrattenimento di quell'altra cena, dopo averci detto brevemente chi era e che faceva, l'ha fatta cantare. La sbarba, giovane, bionda, bellina e in abito da sera, ha annunciato che avrebbe cantato l'aria "XXX" di Verdi e il mio capo ha immediatamente corretto, a mio esclusivo uso e consumo "Rossini", che voglio dire, la differenza tra Verdi e Rossini la capisco persino io. Anche lì, saremo noiosi, ma o sai fare un mestiere e sai quello che fai, o resta a casa. Che poi non cantava PROPRIO male, ma tanto per dire che tipo di locale è.

Insomma, stasera entriamo in ottima e numerosa compagnia, soffitti bassi e opprimenti ma in fondo bel localino, ci sediamo, tutti camerieri/e giovani e belli e una tipa bionda, giovane e mostruosamente decisa alla porta che ci mette a sedere e ci azzittisce per microfono quando qualcuno canta. C'è un piano a coda con il coperchio alzato che ospita una selezione i antipasti. Scommetto che è solo l'involucro e al posto dei tasti bianchi e neri c'è una tastiera Roland o simili. Che date le premesse....

Ci portano una serie di antipasti, OK, più o meno commestibili. Le coZZe, in questo paese vegono bene per forza se non cominciano a sputtanarle con il porro, e infatti si fanno mangiare, funghetti trifolacchiati, verdurine al dente, una fettina di salame, buono. cioè, ok, commestibile, si ciacchiera e mi distraggo. poi annunciano la pasta al pollo e tutti gli/le italiani/e presenti li vedo storcere il labbro, del tipo "Ma ho capito bene?", purtroppo si.

Arriva un piattone con poca pasta scotta, un mucchio di pollo a tocchetti, pomodori secchi, prezzemolo tritato e altre puttanate, che bastava lo dividessero in due e tenessero il dente avevi fatto pasta aglio olio parmigiano grattato con i buchi grossi della grattugia quadrata e prezzemolo e un secondo di pollo e pomodori secchi cum puttanate che però in quel modo andava bene. Invece no, me li hanno dovuti mettere insieme. Piatto di dessert misti con tiramisu (buono ma un cucchiaio a testa), bigné scongelati, una fettina di parfait anch'èeso scongelato e alcune fruttine qui e lì per far scena.

Torno allegra a casa in bici, che oggi è stato un pomeriggio splendido e una notte dolcechiaraesenzavento che quando pedali lungo il canale e vedi l'acqua ferma e immobile rendi grazie al signore o chi per esso. Mi metto a letto. Ne esco di corsa raggiungendo a malapena il bagno al piano di sopra. Mi fermo qui, ma era peggio della maledizione di Tutankamon. Col che mi convinco definitivamente che Pasta e Basta per me è un capitolo chiuso. E così spero anche di voi.

domenica 18 novembre 2007

Arriva Sinterklaas

Non mi parlate di sicnretismo che il discorso si fa complesso. Io ve la racconto come la sanno gli olandesi, poi tirate voi le vostre conclusioni. E i baresi per favore non si incazzino.

Ieri Sinterklaas è arrivato in Olanda, come tutti gli anni. Sinterklaas, che sarebbe san Nicola, vescovo di Myra, porta i regali ai bambini buoni. Quelli cattivi vengono frustati sul sedere con un fascio di cannucce dall'aiutante di Sinterklaas, Zwarte Piet. Non so, a orecchio direi che se ne potrebbe fare una prestazione SM per chi ha dei traumi infantili da risolversi. Ma così, magari qualcuno nei vari sex-theatre già lo fa, che tuttele mie idee geniali s scopre sono già da tempo commercializzate. Comunque se qualcuno lo fa, voglio i diritti, siamo d'accordo?

Comunque, i dettagli tecnico-antropologici ve li potete tranquillamente leggere qui che lo spiegano tanto bene:
http://en.wikipedia.org/wiki/Sinterklaas

L'arrivo di Sinterklaas in Olanda significa che oggi ariva ad Amsterdam con il battello a vapore e tutti gli Zwarte Piet vestiti da paggio, approda al Museo marittimo, prosegue verso l'adiacente terreno della Marina dove attendono tutti i carri, le fanfare e il seguito del corteo, da lì riemerge a cavallo seguito da: gli Zwarte Piet nei colori della nostra banca che regalano bandierine e biscottini alle spezie (pepernootjes, se parliamo di dolci tradizionali 1000 volte meglio il torrone fratelli Nurzia, ma vabbé), una iciletta assurda a 22 posti guidata da un branco di Zwarte Piet che suonano gli ottoni, altre varie fanfare, certi anni arrivano del Beglio e altri posti remoti, il cocchio con cocchiere, carico di pachi, che fa pubblicità a uno dei grandi magazzini d'Olanda (fornitori ufficiali di Sinterklaas), ecc. ecc. ecc. In genere c'è anche una fanfare di Highlanders on gonnellino scozzese e un caporalmaggiore con la faccia incazzata che li guida agitando il bastone.

Se ne vanno tutti al Dam e poi al Leidseplein fra due ali di folla festante e poi non so bene. Visto che abitiamo vicino all'approdo, ci siamo sempre saggiamente astenuti dal seguire il corteo. Ci piazziamo in loco all'ora X, aspettiamo che Sinterklaas arrivi, guardiamo il corteo uscire dai cancelloni della Marina e quando si sono allontnati tutti rianiamo a casa.

Stavolta ci attende la nostra prima cosa organizzata: ci vediamo con tutta una serie di amichetti e genitori, per poi venire a mangiare da noi una pasta e fagioli che ho appena avviata nel pentolone delle feste. Ennio arriva in treno con il suo migliore amico traslocato in campagna, da cui ha dormito stanotte (da loro Sinterklaas c'era ieri) e mi arriverà vestito da vescovo: mantellone e mitria di felpa rossa (e i guanti bianchi con l'anellone che ho ritrovato qui.) Orso invece ha riesumato i calzoncini da paggio, ma ci siamo persi il berretto. Speriamo bene.

Comunque ho tempo fino al 5 dicembre per ricattari e avviare una serie di cambiamenti nelle abitudini di questa casa, con la minaccia che Sinterklaas non gli porterà i regali. Da stasera: ci si mette il pigiama da soli prima di lavarsi i denti. si va a letto senza storie e senza litigare dopo la canzone, la favole e/o il cartone di barbapapa su youtube. La mattina ci si veste da soli. La sera si mangia seduti composti tutte le cose buonine che mamma ha preparato con tanto amore. Sennò comincio a darvi una scatoletta e un apriscatole e vi arrangiate.

Dura la vita della mamma: meno male che c'è Sinterklaas che aiuta a creare i cambiamenti epocali di abitudini.

lunedì 12 novembre 2007

San Martino in Olanda

A San Martino l'Olanda festeggia in un modo molto carino. I bambini, verso le 5-6 di pomeriggio, come fa buio, vanno casa per casa con dei lampioncini a cantare canzoncine e in cambio ricevono dolci, mandarini o soldini. Questa la tradizione.

In realtà tutti comprano un megapack di Mars, caramelle gommose o schiumose, insomma le peggio schifezze e via. Altri invece escono fuori a cena perché non sopportano i bambini che cantano, ma non hanno neanche lo stomaco di fingere di non essere in casa.

È stata una delle prime tradizioni olandesi che ho conosciuto, forse perché la più vicina al cuore del capo. Per gli anni che lui abitava in una via difficile a Gro (proprio un ghetto, con tossici, spacciatori - tutti residenti - un paio di omicidi nel settore, ma anche studenti del conservatorio che avevano una serie di appartamentini isolati acusticamente, famiglie che vivevano del sussidio, noi, cose così) e quindi io compravo regolarmente le schifezzette, i bambini non venivano (forse perchè eravamo sul lato in ombra della strada, i lampioni erano di fronte) e poi il capo se le faceva tutte fuori da solo.

Perché il mio capo è una perla d'uomo: vegetariano, astemio, non fuma, è antimilitarista, femminista, le femmine che fanno le sexy lo irritano e le altre non le nota perchè ama solo me, ma se abbiamo dolci in casa non ha pace finché non li ha finiti. Quindi gli unici dolci che i miei figli vedono sono quelli delle feste degli altri. Io mi compro solo un po' di cioccolata di nascosto per i momenti di depressione (giuro, lo faccio per il magnesio che c'è dentro, ce n'è davvero tanto).

Era così anche da piccolo. Per lui Sint Maarten era quindi una festa bellissima, dolci a gogo senza il controllo materno. In genere i bambini fanno il giro con il lampioncino fino a 12 anni. Poi passano alle superiori e si vergognano un po'. Non così il capo: lui ci ha provato fino al primo anno di superiori. Se ne è andato in giro con gli amici del fratello piccolo, non del mediano, proprio i piccoli di sei anni più giovani. E sapendo che quella era davvero l'ultima volta che gli toccava, l'ha fatto per il bottino: è rientrato dopo le 23:00 (ieri noi alle 19:00 eravamo già tra gli ultimi, siamo rientrati verso le 20:30 e non c'era un lanternino in giro), in certi posti neanche cantava, arraffava i dolci e via, indirizzo successivo. È stato malissimo, il giorno dopo, raccontava. Forse per questo che è diventato astemio: anche lì, se non stai attento, il giorno dopo stai malissimo.

Ieri io non c'ero, la MIA tradizionale festa di san Martino con cstagne e vino l'ho fatta sabato e ieri appunto ero a Utrecht per uno spettacolo con gli 'Otti (andato benissimo, un mucchio di complimenti e ci hanno pagati, bene che abbiamo bisogno di fondi per il prossimo pezzo teatrale serio che facciamo a marzo).

Rientro incazzata, che nel frattempo tutti i genitori di tutti gli amici telefonavano a me sul telefonino per sentire se andavamo, e io ero bloccata nel traffico. Rientro, casa buia e silenziosa, io a cercare di decidere: mi ficco a letto che sono distrutta, metto in ordine che ho ancora i cadaveri della festa di ieri in giro, o mi vesto calda e li raggiungo? Meno male che decido di salire a vestirmi calda: sono tutti e due nella vasca con le barchette e le papere. Bastardo di un padre, è la TUA tradizione e manco mi porti i figli fuori. Io divorzio. Per fortuna sono stata zitta.

Chiedo a Ennio? Vuoi farti ancora il bagno e poi andiamo a letto, o ti vesti VERAMENTE in fretta e raggiungiamo un pezzetto i tuoi amici? Lui esita. Lo capisco, anch'io vorrei solo ficcarmi nella vasca calda ma in quel momento arriva il padre bastardo, ancora incazzato con me che gli ho sbolognato i figli tutto il weekend (amore della mia vita, quand'è che lo abbiamo deciso esplicitamente che tu ti dedicavi esclusivamente alla carriera dal lunedi al venerdi e io facevo la custode del fuoco sacro da sola in questi giorni, oltre al mio lavoro? Mai, vero? È successo così. Allora succede anche che io il weekend me lo organizzo partendo dal presupposto che ai figli ci pensi tu. Aiuto, dobbiamo parlarne seriamente al più presto) arriva incazzato in bagno, dicevo, dichiarando: il bagno adesso lo faccio io. Io divorzio, ripeto il mio mantra silenzioso.

Per fortuna in quel momento tutta la band di amichetti suona alla porta e il capo mi ficca in mano una busta di schifezze dicendo apri tu, e io scendo dal terzo piano ancora con i tacchi da presentatrice e un freddo cane che sono vestita da sera mentre qui ci vuole un maglione e un paio di calzettoni, clima infernale che mi fa fuori spontaneamente qualunque velleità di vestirmi sexy, Ennio mi raggiunge di corsa con addosso un asciugamano troppo grande per lui per sentire i suoi amici, e a quel punto gli viene voglia, si veste (ci vestiamo) caldissimi in fretta, scopro che le giacche dei tre maschi sono bagnate fradice (allora sono poi usciti davvero? Sotto la pioggia battente e l'infame ventaccio freddo tipico di san Martino, che al povero J. l'anno scorso è volato il lampione nel canale e lui povero, che già è un bimbo tenero e timido, non gli veniva proprio da cantare alle porte, piangeva dalla delusione e basta). Scusami amore, mi rimangio tutto sul padre bastardo e le tradizioni (ma la discussione sulla divisione dei ruoli quella non te la toglie nessuno) e adesso che finalmente non piove ci facciamo un giro con l'amichetta A., il cui padre in carriera ha un giubbotto pieno di macchie di fango.

"Lo vedi quanto si è divertito a Barcellona con gli amici dell'Università?" chiede allegra la mamma di A. indicandomi le machie ("Sono scivolato" spiega lui, Si, proprio, facciamo noi in coro). Lo vedo, infatti i padri e le madri olandesi in carriera se lo fanno ogni tanto un weekend con gli amici/le amiche per conto loro. Il mio invece no. Forse lo devo spedire una volta a Barcellona anche a lui, che anche se è astemio e fedele nei secoli qualcosa da fare forse la trova.

E anche questo san Martino la nostra parte l'abbiamo fatta. Ora in fretta dal cinese a prenderci qualcosa da mangiare, che io ho fame e anche se non sembra, questo weekend ho lavorato e non ho voglia di cucinare.

Il più carino però è stato il signore della casa all'angolo sul canale a fianco al nostro, che anche se stava vedendo la partita è sceso di corsa dal secondo piano, ci ha dato dei dolci e ha rinunciato ad ascoltare le canzoni che aveva fretta di risalire per vedere se avevano fatto goal. Lui mica ha fatto finta di non esserci. Allora dopo vado a lasciargli un biglietto gentile firmato san Martino, dicendogli che ci metterò una buona parola con il collega san Nicola, che arriva ad Amsterdam la settimana prossima e che il 5 dicembre porterà i regali.

venerdì 9 novembre 2007

Utilità dei cuochi mediatici

Andrea Matranga, cuoco siculo, chiede sul suo blog un parere sui cuoci mediatici e il loro contributo all'arte culinaria. Un argomento che mi stuzzica molto.

Ultimamente ho intervistato Giorgio Locatelli della Locanda Locatelli a Londra e tra le tante belle cose che ha detto c’era questa: che secondo lui un cuoco deve dimostrare cosa sa fare in cucina e non sui media. Se pubblichi un libro l’anno, quand’è che fai il cuoco? (Tanto per non nominare Jamie Oliver per nome e cognome). Giustissimo. Però mettiamolo nel contesto.

A me vivere in Olanda, una terra di missione dal punto di vista culinario (nel senso che imperano i valori sbagliati, ovvio sbagliati secondo me, come prezzo basso, rapidità, medietà e salse che danno sapore a tutto) ha però aperto un mondo di sapori e ingredienti nuovi. Proprio perché la cucina tipica olandese è una cosa che gli olandesi per primi non gradiscono più di tanto, qui trovi cucine di tutto il mondo. Chiunque ha cucinato almeno una volta, non dico una ricetta francese o italiana, ma indonesiana, cinese, giapponese, africana. Un cous-cous e un babi ketjap non si negano a nessuno.

In tutto questo, una buona parte l’hanno avuta i cuochi che scrivono ricette, fanno programmi in TV (quelli li conosco poco, in quanto non ho TV dal 1996). I cuochi divi mediatici insomma. Così è successo che in un supermercato qualsiasi olandese trovo dal latte di cocco alla pasta de Cecco. Bello. Poi non trovo una mela che sappia di mela, del pane che sembri pane e un fegatino di pollo che sia uno, e mi tocca sbattermi per mercati, negozi biologici carissimi e la macelleria Halal. Faccio una fatica a fare una spesa poco poco decente. Bruttissimo.

Tornando al contesto, rendiamoci conto di quello che in Gran Bretagna sono riusciti a fare i media per la riscoperta della cucina come piacere per sé stessi. Ragazzi, non ci scordiamo che quando sono andata io a 14 anni in Inghilterra tutto era stracotto (le verdure grigioline servite nel fondino di acqua gocciolante, signore benedetto) ecc. ecc. e andiamo adesso in un qualsiasi Marks & Spencer (non Fortnum e Mason quindi) e guardiamo come promuovono i prodotti con argomenti tipo: rispetto per l'ambiente, sapori, prodotti locali, produzione responsabile, verdure antiche riesumate con pazienza certosina perché hanno un sapore migliore della bio-industria che ci compriamo al supermercato. Questo nel supermercato più di massa che possiamo immagiarci (sempre nel suo contesto).

Il britanno medio ha in cucina una biblioteca di ricettari, magari giusto quelli dei divi chef televisivi, ma se il risultato è che la gente scopre il piacere di cucinare e mangiare, scopre prodotti e ricette che non conosceva prima, ben vengano i cuochi mediatici. Se sono anche dei/delle bonazzi/e (pensiamo alle tette di Nigella che piacciono tanto ai telespettatori maschi, che poi si mettono a cucinare, ma anche al naked chef quando era giovane e magro) questa è la legge dei media, ma le ricette non mentono. Sono buone, fattibili, spiegate bene (che anche scrivere una ricetta è un’arte, ho imparato con il tempo) e la gente, il pubblico le gradisce. Oppure no. Si arriva alle esagerazioni divistiche, ma preferisco questo tipo di eccessi mediatici a Big Brother o alle veline seminude.

Io non capisco nulla di arte figurativa, ma se una cosa mi piace da mangiare me ne accorgo. Così tutti. La cucina e il cibo sono la forma d’arte più vicina a chiunque, e trovo che uscire ogni tanto delle solite minestrine e fettine della mamma sia un dovere educativo di ogni genitore, che con i mezzi e le possibilità che ha deve insegnare ai figli a riconoscere sapori nuovi e a goderne il più possibile.

giovedì 8 novembre 2007

Proprio un macellaio

Io mi ricordo ancora la macelleria di Ginetta al mio paese quando ero piccola. In certi giorni c'è un mezzo vitello appeso per il garretto a un gancio, all'ingiù. a volte sotto c'era una piccola macchiolina di sangue, a volte invece un catino.

La cosa più spaventosa ed eccitante era la segaossa nel retro. Il retro era un buchino con la porta della cella frigorifera da cui usciva la nebbia e in cui cercavo sempre di dare un'occhiata di sguincio, un lavandino piccolo per le mani, un tagliere rosso tutto scheggiato e un banco con su la segaossa. Il nome dice tutto. Per le bistecche con l'osso, per esempio (ci sono cresciuta, e tanto bene) Ginetta o Mario afferravano da un gancio nella cella un bloccone di carne, lo stendevano sulla segaossa, e ziiinc, ziiinc, ziiinc tagliavano l'osso, per poi finire di tagliare la bistecca a mano.

La carne costava tantissimo, perlomeno ricordo che se non la volevamo mangiare mia nonna ci diceva subito quanto costava. Ma non c'era rischio, la mangiavamo volentieri in genere. La carne macinata, bisognava prima ordinare lo spezzatino e poi fartelo macinare, non prendere quello già pronto nella vaschetta. La tritacarne stava invece sul banco, insieme alla pressa per gli hamburger, che venivano pressati tra due dischetti trasparenti di cellophan.

Per dire che io ho sempre saputo da dove viene la carne che mangio. Viene da un animale. Morto. Me ne faccio una ragione e dico una prece, ringraziando per il sacrificio. Ci sono interi sistemi di fede che si basano su questo meccanismo. Sacrificio, cannibalismo, gratitudine. Per dire, siamo abbastanza basilari in tutti i nostri processi intellettuali. Quello che conta è la panza piena.

Magari faccio più fatica a mangiare animali che ho conosciuto da vivi. Tipo i piccioni, o le papere, che a volte facevamo. Non tanto per il legame affettivo - non c'era - ma in qualche modo mi facevano impressione. Da spennati erano più lividi dei compagni nella vetrina del macello, da cotti più duretti. Insomma, viva il macellaio, che mi fa vedere da dove viene quello che mangio, ma non mi obbliga a macellarmelo da me (una volta però ho spellato un coniglio).

Tutto questo l'ho perso venendo in Olanda, dove la regola è che tutto costi poco, che il prezzo fa la qualità (se costa tanto è buono per definizione, se costa poco lo si sommerge si salse e spezie e passa la paura) e che bisogna ignorare da dove viene la carne.

La carne non ha interiora, non ha cuore né cervello, poco fegato, ossa il meno possibile, solo se esotiche (ossobuco) ed è tutto un filetto, uno spezzatino, un marinato, precondito, precotto, premasticato, predigerito.

Da un macellaio asettico di questi mi passa la fantasia. Tutto sembra uguale, in versione maiale, manzo, vitello, pollo. Come nei ristoranti cinesi di qui: scegli che bestia vuoi e che salsa ci vuoi. Le stesse salse per tutte le bestie, con lo stesso sapore tutte quante, dal gambero al pollo. Cambia un pelino il prezzo.

Adesso invece ho scoperto il macellaiomacellaio, con in vetrina si l belle fettine, filetti, bistecche eccetera, ma anche rognoni, stomaci, testicoli, cervelli e un paio di teste d'agnello sanguinolente.

potrei qusi dire: un macellaio del tipo "del maiale non si butta via nulla" solo che è un macellaio turco e giusto il maiale lo scarta per intero. Ma è già un primo passo.

mercoledì 7 novembre 2007

Creatività

I giorni cupi autunnali mi stroncano, ho passato giorni da un attacco di pelandrite all'altro. Per fortuna mi vengono delle botte creative e mi sono messa a far feltro.

Fare sciallini in feltro è un'arte che ho appreso da Cristina Pacciani, che ha un atelier sull'Overtoom e con cui ci siamo fatte subito simpatia. Eh, noi povere mamme italiane ad Amsterdam, se non ci si consola tra di noi. Lei è un'artista dei colori pastello, io cerco di fare colorini più forti.

Però per un'esposizione per cui doveva fare dei pannelli da 5 metri voleva lavorare in bianco e nero. Un'allegoria della giustizia. Una prova di bravura enorme per una feltraia. Per fortuna ci ha ripensato e ha fatto una serie di pannelloni bellissimi color pastello con dei piccoli inserti che a me sembravano delle vulvette (a domanda precisa ha risposto sibillina, ah questi artisti) e avevao un qualche tema d'amore.

Questi giorni, quindi, per scacciare il winter blues già in autunno (meno male che non vivo sopra al circolo polare, mi suiciderei in inverno) ho feltrato. Un cappello con Lily, che non avevo mai provato forme tridimensionali e infatti non è venuto un granché, ma lo considero sempre un lavoro in corso.

Uno scialle bianco da un lato e lilla, turchese con tocchetti di verdino e arancione acceso dall'altro. Uno scialle antracite con tocchetti in bianco e nero, e la scritta musa in rosso da un lato. L'ho regalato a Samila Bayat, artista iraniana in visita in questi giorni, che due anni fa ha fatto questa mostra da me con quadri sognanti e deliziosi per bambini. Il più bello era la bimba che decide di lucidare la luna, e sale su una scaletta altissima più in alto delle case, degli aquiloni e delle nuvole, tutto sfumato nei toni del blu notte. A Ennio è piaciuta tanto la megalumaca verde, sempre in attesa di essere appeso in camera sua. Una pittrice dovrebbe sempre avere la musa a portta di mano.

Poi: ho elaborato con Ruvy un act sul tema del mecenate, ce se ci lavoriamo un po'meglio viene bene per una prossima occasione.

Abbiamo scelto il pezzo che reciteremo a marzo: Signorina Papillon di Stefano Benni, che dovremo implorare di illuminarci, che è un pezzo tanto ermetico.

E domenica, andiamo ad esibirci per il Lize, l'organismo decisionale per `gli europei del sud in Olanda. Grazie a M-A, ho trovato dei pezzi di Machado, che negli anni '70 erano stati musicati da tale Joan Manuel Serrat, catalano. Leggerò questi, oltre ai nostri soliti pezzi.

Insomma, adesso mi resta solo da cucinare per la festa di san Martino di sabato, domani ci diamo alle torte di zucca con Monique, e poi ho finito.

Cosa non tocca fare per tenersi su quando il clima ti uccide.