Andrea Matranga, cuoco siculo, chiede sul suo blog un parere sui cuoci mediatici e il loro contributo all'arte culinaria. Un argomento che mi stuzzica molto.
Ultimamente ho intervistato Giorgio Locatelli della Locanda Locatelli a Londra e tra le tante belle cose che ha detto c’era questa: che secondo lui un cuoco deve dimostrare cosa sa fare in cucina e non sui media. Se pubblichi un libro l’anno, quand’è che fai il cuoco? (Tanto per non nominare Jamie Oliver per nome e cognome). Giustissimo. Però mettiamolo nel contesto.
A me vivere in Olanda, una terra di missione dal punto di vista culinario (nel senso che imperano i valori sbagliati, ovvio sbagliati secondo me, come prezzo basso, rapidità, medietà e salse che danno sapore a tutto) ha però aperto un mondo di sapori e ingredienti nuovi. Proprio perché la cucina tipica olandese è una cosa che gli olandesi per primi non gradiscono più di tanto, qui trovi cucine di tutto il mondo. Chiunque ha cucinato almeno una volta, non dico una ricetta francese o italiana, ma indonesiana, cinese, giapponese, africana. Un cous-cous e un babi ketjap non si negano a nessuno.
In tutto questo, una buona parte l’hanno avuta i cuochi che scrivono ricette, fanno programmi in TV (quelli li conosco poco, in quanto non ho TV dal 1996). I cuochi divi mediatici insomma. Così è successo che in un supermercato qualsiasi olandese trovo dal latte di cocco alla pasta de Cecco. Bello. Poi non trovo una mela che sappia di mela, del pane che sembri pane e un fegatino di pollo che sia uno, e mi tocca sbattermi per mercati, negozi biologici carissimi e la macelleria Halal. Faccio una fatica a fare una spesa poco poco decente. Bruttissimo.
Tornando al contesto, rendiamoci conto di quello che in Gran Bretagna sono riusciti a fare i media per la riscoperta della cucina come piacere per sé stessi. Ragazzi, non ci scordiamo che quando sono andata io a 14 anni in Inghilterra tutto era stracotto (le verdure grigioline servite nel fondino di acqua gocciolante, signore benedetto) ecc. ecc. e andiamo adesso in un qualsiasi Marks & Spencer (non Fortnum e Mason quindi) e guardiamo come promuovono i prodotti con argomenti tipo: rispetto per l'ambiente, sapori, prodotti locali, produzione responsabile, verdure antiche riesumate con pazienza certosina perché hanno un sapore migliore della bio-industria che ci compriamo al supermercato. Questo nel supermercato più di massa che possiamo immagiarci (sempre nel suo contesto).
Il britanno medio ha in cucina una biblioteca di ricettari, magari giusto quelli dei divi chef televisivi, ma se il risultato è che la gente scopre il piacere di cucinare e mangiare, scopre prodotti e ricette che non conosceva prima, ben vengano i cuochi mediatici. Se sono anche dei/delle bonazzi/e (pensiamo alle tette di Nigella che piacciono tanto ai telespettatori maschi, che poi si mettono a cucinare, ma anche al naked chef quando era giovane e magro) questa è la legge dei media, ma le ricette non mentono. Sono buone, fattibili, spiegate bene (che anche scrivere una ricetta è un’arte, ho imparato con il tempo) e la gente, il pubblico le gradisce. Oppure no. Si arriva alle esagerazioni divistiche, ma preferisco questo tipo di eccessi mediatici a Big Brother o alle veline seminude.
Io non capisco nulla di arte figurativa, ma se una cosa mi piace da mangiare me ne accorgo. Così tutti. La cucina e il cibo sono la forma d’arte più vicina a chiunque, e trovo che uscire ogni tanto delle solite minestrine e fettine della mamma sia un dovere educativo di ogni genitore, che con i mezzi e le possibilità che ha deve insegnare ai figli a riconoscere sapori nuovi e a goderne il più possibile.
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