sabato 21 novembre 2009

Rientro a Onna


Speculum iustitiae
Sedes sapientiae
Causa nostrae laetitiae
Vas admirabilis
Rosa mistica
Turris eburnea
Domus aurea
Fideles arca
Ianua coeli
Salus infirmorum
Refugium peccatorum
Consolatio afflictorum


Inutile che a me le litanie me le facciano sentire in italiano, io le ho imparate in latino e così le sento. E poi era una vita che non dicevo un rosario. Così seguo le suore a modo mio.

Ieri pomeriggio sono rientrata ad Onna per la messa di zia Vittoria. Rispetto a quest'estate non ci sono camionette al bivio che ti bloccano se non hai niente d cercarci. Allora giro, proseguo, attraverso i binari, supero una casa tutta puntellata sulla sinistra, poi, all'angolo col fontanile la strada è sbarrata. Vado a destra perché dritto non ci posso più andare.

Per fortuna e' notte, sto guidando e non vedo molto di quello che esce dal raggio dei fari. Chiamo mio zio per capire dove andare, mi dice alla scuola. Nel frattempo arrivo alle famose casette dei trentini. Tutte bianche, in fila, ordinate. Con i vialetti pedonali in mezzo e gli alberelli appena piantati. A me vedermele cosi, con le strade dritte, i marciapiedi e persino lo spazio per parcheggiarci davanti, fa tanto un effetto Center Park. Poi soprattutto di notte, con tutti i lampioncini accesi e i bambini che giocano per strada.

Mi sembra quasi di stare in Olanda, in uno di quei quartieri tutti ugugali, freschi freschi di cantiere e con gli alberelli appena usciti giovani dal vivaio. Uno di quei quartieri olandesi dove solo il nome della via e il numero civico ti aiutano a ritrovarti, perché il resto è tutto uguale e uniforme.

La differenza ovviamente è che quando chiedo indicazioni a due signori di mezza età su come raggiungere la scuola, questi mi parlano come mangio. Questo mi ridà un assurdo senso di normalità, di niente di che. Sono a Onna, come tante altre volte, in un tardo pomeriggio d'autunno ed è buio.

In mezzo la scuola e dentro, nell'atrio, le solite suore in bianco, tra cui una giovane con la chitarra, e suo Consolata in nero con il soggolo più lungo, e le solite vecchiette a dire il rosario. Io e zio Giovannino entriamo alle litanie della Madonna. Poi entrano alcune donne, tra cui Tiziana che ho conosciuto proprio la stessa mattina a San Benedetto in Perillis. Mi consola arrivare a Onna e trovare una faccia conosciuta, seppur da poco.

La messa la tengono nell'atrio dell'asilo, bello, chiaro, con tanto legno e le foto dei bambini sugli sportelli degli armdietti. Un asilo come lo vorrei per i miei figli. L'asilo progettato da e intitilato alla ragazza morta nella casa dello studente.

Ma resta straniante tornare qui e ritrovarsi al Center Parc, mentre poche centinaia di metri più il là quel paese finito a terra sta recintato. Io è quello che mi ricordavo. E se lo è per me, chissà come lo è per chi ci vive, in queste casette bellissime, in questo posto ordinato, pulito, che ti dà grande il senso di coesione sociale, il ritrovarsi insieme in un posto, con la scuola in mezzo, e guardare dalle finestre i figli che giocano in strada prima di cena.

"Paradossalmente, stavamo meglio in tenda", mi aveva detto qualcuno. In tenda Onna era ancora vera e viva e tangibile nel ricordo. Entrare nelle casette non significa rientrare a Onna, ma in un posto di cui ancora devi rifarti tutte le coordinate, di cui riappropriarti, che devi cercare di rendere tuo per sentirtici veramente a casa.

Per fortuna il paesaggio naturale rimane lo stesso. Le persone che reincontri sono (quasi) sempre quelle. Ed è con loro che tocca ricostruirsi il senso di casa.

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