lunedì 31 marzo 2008

Elezioni: italiani all'estero, unitevi

Si diceva l'altro giorno tra amici, che noi italiani all'estero non solo adesso abbiamo un diritto di voto davvero esercitabile, ma abbiamo un ulteriore privilegio, rispetto a chi vota in Italia: possiamo votare la persona che più ci convince.

In realtà io sono apartitica dalla nascita, e ogni volta mi trovo in difficoltà a capire chi mi rappresenta meglio. Le ultime due volte ho votato con il naso turato l'alternativa che mi sembrava il male minore, che solo quello mi sembrava possibile: il male minore, non il bene maggiore (ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta. Non donna di province, ma bordello). Adesso invece manco quello.

Però ho sempre il privilegio di scegliere la persona che ammiro di più, e tra queste scelgo Silvia Terribili, perché la conosco, e non è affatto un male minore. È il meglio che potremmo augurarci. Ce ne vorrebbero di più di persone come lei e ce ne sono infatti delle altre. E per par condicio, perché la mia donna a Parigi mi segnala anche Carolina Colella, mentre la stessa Silvia, che è persona imparziale e collegiale quante altre mai, mi segnala Arnold Cassola. Già solo per questo la voterei: una candidata che non fa propaganda pro domo sua, ma ti segnala un altro candidato, di un altro schieramento, perché secondo lei è una brava persona.

Perone oneste, che si mantengono con il proprio lavoro e non fanno i politici di professione. che sanno cosa vuol dire pagarsi l'affitto, il pranzo e il parrucchiere con i propri soldi. Che si buttano in quest'avventura elettorale, da cui potrebbero uscire stropicciati, perché ci credono. Secondo me dobbiamo votare per loro.

E infatti io voterò Silvia Terribili.

- Perché è una persona integra.
- Perché ha un gran senso della collettività.
- Perché invoca da anni iniziative trasversali per risolvere i problemi seri dell'Italia, e non le dispute ideologiche fini a sé stesse.
- Perché non abdica ai propri principi.
- Perché da anni si impegna a favore, degli anziani, degli immigrati, delle donne, dell'istruzione e soprattutto della cultura.
- Perché crede nell'importanza delle stesse cose in cui credo io: libero pensiero, libero arbitrio, impegno per la collettività.
- Perché in più crede nelle istituzioni. Anche quando persone, nelle stesse, le fanno il culo, lei nell'istituzione continua a credere lealmente.
- Perché non gliene frega niente dei soldi. Lavora, guadagna quello che le occorre per sé e i figli e altro non vuole.
- Perché è un'ambientalista di quelle che non hanno mai avuto la macchina e non vanno mai in aereo.
- Per un mucchio di cose, ma soprattutto perché ci lavoro da cinque anni insieme e mi fido completamente di lei.
- Perché è profondamente cattolica, francescana sul coté mistico, direi, ma non ne parla mai e soprattutto è per lo stato laico. Non ha mai imposto il suo credo a nessuno, neppure ai figli.
-Perché è una persona coerente che ammiro.

Io sono fortunata stavolta, so per chi votare con piena fiducia. E per il suo programma basta guardare su:
www.silviaterribili.org

Poi, già che c'ero, ho fatto anch'io il politometro. Risulto un po' più laica di Bertinotti e un po'più progressista di Boselli e D'Angeli. Devo decisamente votare per Silvia. (E pensare che non mi deve manco dei soldi, né io li devo a lei).

domenica 30 marzo 2008

Ultima replica: sudore, lacrime e sangue

Che dire: di quattro giorni di teatro, lo schema è stato quello solito. Try-ouy, una schifezza, poi incazzati e in vena di rivalsa, alla prima abbiamo spaccato, poi ci siamo rilassati e alla seconda abbiamo sbrodolato (per carità, sempre bene, ma il tecnico del suono era un animale e noi ci siamo deconcentrati).

Stasera, per finire, abbiamo dato il meglio, cominciando a giocare, improvvisare, limare e soprattutto godercela, questa produzione. Al duello il pubblico si è scatenato. Almeno 3-4 applausi a scena aperta in tutto il pezzo. Il mio finale pare abbia commosso tutti, Dani ci è entrata in camerino con le lacrime agli occhi.


Questa è una cosa buffa che mi succede molto spesso, almeno ogni due produzioni. Mi imbatto in una frase, a volte anche una sola parola nel mio testo, che mi fa piangere. E alle prove piango davvero, gli altri lo sanno e sanno che alla fine mi passa. Io ci lavoro e arrivati alla prima in genere ho elaborato, o comunque capito cosa mi toccava di quel testo, o semplicemente imparato ad andare avanti.

Qui lo stesso:
"Insegnami a fare di un ramo un arco, e della spina di una rosa una freccia. Insegnami a stare vicino a te, in silenzio" e giù lacrime. Oggi, per l'unica volta in questi 4 giorni mi sono permessa di non controllarlo. Non mi sono messa a piangere, ma ci ho messo dentro, credo, tutto quello che questa frase mi ha mosso dentro. E ha funzionato. Un sacco di gente oggi mi ha detto di essersi commossa alla fine, gli altri giorni no. Ci devo pensare bene al perché mi succede così. (Se qualcuno lo sa me lo dica).

Debutto teatrale anche per Ennio: ormai è grande e complici la nonna e la zia presenti, ci siamo arrischiati di farlo venire a vedere (sono sempre quasi due ore di durata) ed è stato composto, silenzioso e bravissimo.


Ovviamente è arrivato con noi e Berend gli ha fatto vedere come funziona il mixer luci, dicendo che se Martin faceva di nuovo casino avremmo messo Ennio al suono. L'idea è piaciuta a tutti, ma grazie al cazziatone di ieri Martin si è molto ridimensionato ed è stato impeccabile. La domanda è: l'anno scorso uguale. Ma può essere che la gente non possa comportarsi in maniera professionale di default?



Il nostro tenico-stagista di sei anni è assolutamente uscito di testa, in macchina chiedeva già quanti interruttori c'erano per le luci e una volta sul posto non si è filato manco Miranda, la bimba di Tenedle, che volevamo finalmente che si conoscessero un pelo. Però dopo l'ha portata a vedere il mixer, e voleva farla provare anche lei.


Alma Anselmi ha fatto le solite bellissime foto e mi ha mandato subito un paio coredimamma, che la donna conosce i suoi polli e sa che friggevo d'impazienza per vedermi il pupo in foto.

Le altre foto, appena arrivano, le pubblico, ovviamente.


Teatro pienissimo, hanno aggiunto il solito paio di posti extra. Un sacco di complimenti, i migliori quelli di Ennio, a cui è piaciuto tanto il mio vestito, mi ha detto dopo mentre camminavamo per raggiungere il ristorante, e quelli di Frans Weisz, a cui siamo piaciuti in blocco ma che a me ha detto che sono proprio brava.


Gran cosa, l'ego soddisfatto. Potrei quasi scoppiare in lacrime di commozione. Considerato che a 12 minuti dalla prima mi sono pure tornate le mestruazioni, cosa poco pratica quando il tuo costume prevede chiappe all'aria e i mobili da giardino costosissimi prestatici sono dotati di un cuscinone bianco. Di questo passo, il mio prossimo ruolo non escludo possa essere Churchill.

sabato 29 marzo 2008

Come è andata la prima

Benissimo. Uno stato di grazia. Pubblico pochino, una quarantina, che stasera c'erano una serata di presentazioni candidati e una serata magnabeviaggratis all'Istituto Italiano di cultura. Però quei quaranta ci conoscono da una vita e se dicono che abbiamo superato noi stessi e di più, lo fanno con cognizione di causa.

Gino, Nanda e Alessandra dicono che tornano domenica per vedere l'evoluzione del pezzo. Secondo Gino, che c'era anche ieri, sembravamo un'altra compagnia.

Poi, mentre eravamo a cena dal turco in Ferdinand Bolsstraat, i supertechno hanno attaccato la telecamera al computer, l'hanno messa a capotavola e ci hanno finlmente fatto vedere l'insieme di recitazione e videoinstallazioni. Una meraviglia persino quella.

Perché chiunque ci abbia provato sa che nulla è peggio da vedere delle riprese di un pezzo teatrale fatte in telecamera fissa. Invece i video come fondale davano un tale movimento, che sembrava un videoclip. Domani andiamo due ore prima per vedercele sullo schermone grande e studiarcele bene.

Io però ora andrei a dormire. Stamattina ho persino avuto un brutto calo di pressione con emicrania, quasi tamponamento e stonatura generale, e domani devo portare le belve a pittura, sarà il caso che spegna computer e luce adesso.

Ma sono felice e soddisfatta, e non vedo l'ora di rimetterci mano domani sera.

venerdì 28 marzo 2008

E anche la generale ce l'abbiamo alle spalle

Stiamo migliorando, devo dire, soprattutto a livelli di gestione dello stress. Ruvy, per dire, ha aperto la giornata incazzandosi come una iena con la sbarba che si era scordata di farci spedire gli schermi per il proiettore ordinati e pronti ieri, che un corriere solerte avrebbe dovuto portarci stamane alle nove (e poi è arrivato alle 16:30), e si è agitato, ma rispetto agli altri anni, ha persino mangiato.

Io e Seb, che siamo le madri della situazione avevamo già fatto tutta la spesa al supermercato turco, ma lui ha ancora inistito per andare all'AH a prendere del salame, Per Ruvy, si è scoperto dopo. Io invece avevo proposto qualcosa di dolce, cosa bocciatami da Seba, che non ne vedeva l'utilità (sta gente a dieta, dimmi tu), e poi invece si è scoperto che Ruvy avrebbe gradito.

Insomma, il ragazzo migliora. Gli altri anni si incazzava e stressava talmente il giorno del montaggio, che manco mangiava, bisognava costringerlo. Adesso dice che con i nostri cali di zuccheri abbiamo contagiato anche lui (non so, Ruvy, io i cali di zuccheri li avevo i primi tre anni di attività, che o allattavo o ero incinta e mangiavo come un reggimento e voi vi intenerivate, ma adesso mi è passata.) Il dolce, si è accontentato di fragole con lo zucchero e lo yogurt.

Io alle 17, a luci fatte, con la scusa di andare a comprare la lacca e un paio di trucchini, sono andata a sbafarmi una Soto (o Saoto) soep, una minestrina di pollo con pezzetti di carne, vermicelli, un uovo sodo e riso, e un Telo met Bakkeljauw che sarebbe un tubero tipo patata dolce buonissimo con sfilacci di baccalà piccante, buonissimo, dal Warung Marlon in Eerste van der Helststraat, una traversa del mercato.

E come è andata la generale? Io l'ho passata a impossessarmi degli spazi e degli oggetti e a recitare per il pubblico. Ottimo feedback, ma mi rimproverano una recitazione troppo cinematografica. Interagisco quasi solo con l'interlocutore, troppo poco con il pubblico.

Non so, a me questo stile impostato di mettersi di fronte a declamare, francamente dice poco, e mi sembra una cosa così eccessivamente italiana, ma cercherò di migliorare. ecccato che non riuscirò a vedere il video prima di domani, lo scorso anno mi ha aiutato un sacco.

Tenedle, nel suo meraviglioso costume da pappagallo, fattogli dalla mamma, e con la catena alla zampa era una meraviglia. I video splendidi e i pareri discordi sul fatto se distrggano o aggiungano movimento. Le marionette approvate all'unanimità. Nessun dubbio, Alberto e Barbarina (Polly) sono assolutamente geniali. Ieri notte erano ancora a dipinger fondalini e mnontare, e stasera lei dice che ne farà un'altro.

Adesso a nanna, che teatro o non teatro conosco due individui che domattina vanno portati a scuola. E adesso ci tocca la prima "seria".

mercoledì 26 marzo 2008

Domani il gran giorno

Il cosiddetto "montagedag" che poi coincide con la prima. Ma quest'anno abbiamo estorto un try-out. Certo, coi paghi, come dicono a Firenze (è Firenze?), si può tutto. Quindi paghiamo (tanto)per avere il teatro e i due tecnici a disposizione, per invitare non più di 20 meritevoli, bar chiuso, amici che apriranno la porta e faranno gli onori di casa (e, spero, chiudano la porta quando saremo tutti al buio in sala).

Quindi domani alle 9 sull'attenti a montare luci, teloni, fare il copione luci definitivo, andare a prendere i mobili dalla Unopiù che gentilmente ce li presta, arredare, fare la prova tecnica, incrociare le dita che i proiettori funzionino tutti e tre, provare, per la prima volta, le canzoni dal vivo, lavarci, pettinarci, piallarci e la scagliola e poi via.

Però è sempre la prima volta con tutti i pezzi insieme e per di più il pubblico. (Mi arriva ora una mail della Stu che si chiede perché non riesce a prenotare per domenica sul sito del teatro - www.ostadetheater.nl- ma solo per venerdi. Oddio, non dirmi che significa che sabato e domenica sono esauriti. No, dev'essere un errore del sito. Porca puttana, ma adesso io come dormo tranquilla? contrordine, ce l'ha fatta, che delusione, non siamo ancora strapieni).

Sarà meglio che prima di andare a dormire mi ricordi di togliere dall'ammollo i pezzi di costume lavati in attesa di risciacquo e asciugatura.

Ma dopo 5 anni, mi viene proprio adesso la sindrome da notte prima? Sto proprio invecchiando. Se va bene ci risentiamo domenica sera. Sto quattro giorni tappata in teatro. E non vedo l'ora.

martedì 25 marzo 2008

Come rispondere alle mail: prontuario teorico, pratico e deontologico (ammazza che titolone!)

Il problema della tecnologia è che un sacco di utenti se ne serve senza avere idea di cosa sta facendo. Un po' come mio fratello da piccolo che mangiava lo yogurt magro perché per sentito dire sapeva che faceva dimagrire e poi per renderlo tollerabile lo addolciva con 300 gr. di zucchero raffinato. Roba così.

Non sto parlando di gente qualungue, ma di ingegneri, politici, rappresentanti del popolo italiano in esilio presso le istituzioni. Persone quindi che con un piccolo gesto decidono del nostro futuro. Uno parte dal presupposto che siamo in buone mani e ci possiamo fidare. Invece no, e una valanga di mail oggi pomeriggio mi dimostra che non possiamo fidarci più di nessuno. Da cui l'idea del seguente prontuarietto a maggior edificazione del popolo.

Attenzione: questo testo è un esercizio di satira. Persone sprovviste di senso dell'umorismo, di ironia e di gioia di vivere ne tengano conto perché a lettura ultimata non si accettano reclami. Chi ci prova lo fa a proprio rischio e pericolo. Il vostro computer vi si avventerà contro tentando di mordervi. Chi si trovi nei dintorni di Amsterdam tra il 28 e il 30 marzo e non viene a vederci a teatro, o lo fa e poi si scandalizza dei costumi scollacciati, possa essere colto da spam vita natural durante.

Tornando a noi: il problema fondamentale è che un sacco di gente, tra cui dottori, ingegneri, rappresentanti del popolo, varie categorie professionali e civili provviste di lauree, master e diploma di bagnino ancora non hanno capito bene una cosa fondamentale delle mail: la differenza tra Reply e Reply all.

NOTA 1
Non cominciate a dirmi che il vostro computer lo dice in altre lingue. Se la cosa vi turba la prossima volta vi fate installare la versione inglese.

Per cui adempio al mio dovere civico spiegandovela con un piccolo peresempio nei suoi tre aspetti: deontologico, teorico e pratico.

1) DEONTOLOGICO
Quando si manda un mailing collettivo è buona norma nascondere gli indirizzi e-mail dei destinatari. Ciò si ottiene molto semplicemente scrivendo gli indirizzi nel campo contrassegnato BCC. Se invece, per sbaglio, per la fretta, per malizia o semplicemente per pura ignoranza del contenuto di zucchero aggiunto che un vasetto di yogurt magro può tollerare prima di raggiungere il grado di saturazione, le mandate in CC, tutti i destinatari potranno comodamente controllare a chi altri avete scritto, e farre illazioni sulla provenienza, lecita o meno, della lista. In tal caso sappiate (e adesso lo avete scoperto per bene) che almeno un 10-20% di gente incazzata che vi risponderà chiedendovi che cosa vi siete messi in mente, toglietemi dalla mailing list, vergognatevi. Voi vi scusate umilmente, promettete di non farlo più e la cosa finisce qui. Se tutti nel frattempo hanno usato Reply non succede niente.

2) TEORICO
Con Reply rispondete solo alla persona che vi ha mandato la mail. Quindi succede che ignorate a bella posta di coinvolgere gli altri destinatari della mail originaria. Due le possibilità: intendete proseguire un discorso a due, e tutti, senza saperlo, devono molto alla vostra discrezione. Oppure, se per sbaglio, per la fretta, per malizia (stavolta vi risparmio lo zucchero nello yogurt) lo fate apposta, escludete bella posta alcune altre persone dalla conversazione, magari qualcuno lo scopre e poi si offende, allora aspettatevi almeno un 10-20% di gente incazzata che vi risponde chiedendovi che cosa vi siete messi in mente, mi state facendo le cose alle spalle, rimettetemi nella mailing list, vergognatevi. Voi vi scusate umilmente, promettete di non farlo più e la cosa finisce qui.

Oppure rispondete con Reply all e siamo daccapo: o siete una persona estroversa, collegiale, che vuole coinvolgere tutti, oppure in realtà pensavate di star dando una risposta privata e vi sputtanate da soli per tutta la mailing list, e poi vai di zucchero per addolcirti la vita. Tanto vi resta in bocca solo l'acido dello yogurt magro.

Se poi si applica la proprietà transitiva, e tutti i destinatari per sbaglio cominciano a rispedire con Reply all come degli invasati mail di protesta del tenore: non mandatemele più, è tutta colpa della sinistra, ma cosa ho fatto di male per ricevere tutte queste mail e così avanti per tutto un pomeriggio e ognuno di questi @#&** che continuano a inondarmi la casella di mail in cui chiedono di non scrivergli più e a me mi viene di rispondergli:

"Ma lo dice a me? Lei piuttosto, non la conosco, come si permette di scrivermi mandandomi a ogni giro di nuovo la lista completa originaria di 400 indirizzi e-mail che non voglio assolutmente conoscere. "

Poi vi spiego perché non la voglio quella lista nella mia casella.

Per dire: state molto attenti a come rispondete e come lo fate.

3) PRATICO
Il peresempio comincia con una mail di propaganda elettorale di un tizio, di un partito che non nomino in quanto apartitica dalla nascita. Lista di indirizzi e-mail visibilissima. Alcuni li conosco, e non sono loro che mi hanno risposto a cazzo. Di altri conosco l'estensione mail: so per chi lavorano. Sto parlando di organizzazioni sovrannazionali, dico Circo Barnum, dico Bollywood, dico NATO, dico Agenzia Spaziale Europea, dico Ufficio Brevetti Europeo, dico corte Europea di giustizia, dico Comites, dico società di trust, quelle che creano le scatole cinesi di società, per intenderci, dico la mia banca, dico la mia assicurazione sanitaria, dico la società a cui pago la corrente elettrica e taccio qui per non compromettermi ulteriormente. Avete capito perché non li voglio nella mia casella postale? Non li conosco, non so chi siano, ma mi si mette in relazione con loro per mezzo di un messaggio elettorale per un partito che non voglio nominare.

Di questi tempi di allarmi terroristici, governi caduti, logge e Vaticano intrecciati nella politica nazionale, quanto poco ci vuole a compromettermi? Io sto comprando casa, ho appena fatto u mutuo e tre assicuraizoni sulla vita in due, che qui si usa così. Chi mi dice che il mio assicuratore sanitario non vada a parlare con la mia banca che per ripicca mi faccia tagliare la luce in una casa di cui ancora non mi danno le chiavi. Ma la gente, quando risponde a una mail, si rende conto delle implicazioni?

Comunicato numero due, ricordo che sto sempre facendo un esercizio di satira. Non capite ancora il nesso comico? Continuate a leggere, che ci sto per arrivare.

Insomma, non le persone che conosco, amo e apprezzo e che signorilmente hanno preso atto del fatto che si trattasse di una cappella enorme (non cappella in senso architettonico, Santità, non mi comprometta) hanno risposto a chicchessia, ma un mucchio di altra gente che non ho il piacere di aver mai incontrato, ma che non escludo possa capitare prima o poi, che i Paesi Bassi sono piccoli e la comunità italiana piccola e affettuosa, e che si indignano nell'ordine:

1) Ma perché sotto campagna elettorale mi mandate informazioni su partiti? Mi arrivano persino i depliantini in casa e la cosa mi turba, chi vi ha dato il mio indirizzo (non lo sa caro signore che i partiti ricevono le liste elettorali per farsi la campagna elettorale? È perfettamente legale, come tante altre cose nel nostro paese)

2) Ma come vi permettete a mandarmi queste cose al lavoro, che mi compromettete (perfettamente d'accordo, purtroppo capita)

3) Toglietemi immediatamente dalla lista

4) Mi associo a quanto sopra

5) Anch'io

6) E io pure

Io dopo i primi due tre ho mandato una mail a tutti dicendo: OK è fatta vogliamo continuare a farci del male? Guardate che state creando dello spam, la piantiamo tutti e torniamo al lavoro? Mi hanno dato retta? Macché. Stanno ancora continuando a fare Reply all.

Io francamente sono un po' sconfortata. Questa è gente che ci lancia i satelliti sulla testa. Che decide delle testate nucleari. Che cura i nostri rapporti con le istituzioni. Che mi paga le medicine contro l'ulcera.

Per cui io ve lo dico chiaramente come la penso, così che poi quando finisce a schifìo non mi veniate a dire a me "Io non lo sapevo". Io vi dico che il giorno che ci cade, dioneliberi, un satellite in testa, gratta gratta, si scopre che è stato perché qualuno al momento sbagliato, ha fatto un Reply all di troppo. Ma figurati se ce lo verranno mai a dire.

lunedì 24 marzo 2008

Ricette di Pasqua: l'insalata di radicchio belga

Questo weekend di Pasqua ho rimangiato l'insalata di radicchio belga di mio suocero. Anni fa scrissi un breve racconto su questa ricetta e ve lo ripropongo in versione integrale, con una foto del bosco dietro casa loro. In caso qualcuno si chieda come mai vado sempre così volentieri da mia suocera.
RADICCHIO BELGA (OVVERO, COME HO IMPARATO A FARE L’INSALATA DI)

L’insalata di radicchio belga e uvette è uno di quei cibi con cui mi sono imparentata per matrimonio. La migliore resta quella di Oma, Oma Ma, per intenderci. Perché le nonne nella famiglia di mio marito sono Oma Ma da Rotterdam, quella materna, che le figlie chiamano appunto Ma. E poi c’è Oma Moeke, da Roden, Drenthe, quella che io non ho fatto a tempo a conoscere, che i figli chiamavano invece Moeke. Ogni tanto Oma Ma viene a Roden per un po’, e cucina quelle cose buonissime che cucinano le nonne, tra cui anche l’insalata di radicchio e uvette, che io comunque vedo solo quando è già a tavola, e che mi limito quindi a mangiare.

La ricetta a cui sono però affezionata è quella di mio suocero, quella che gli ho visto preparare una volta e di cui ho sicuramente dimenticato i due o tre passaggi essenziali, e che ho ricreato a modo mio.

C’è sicuramente una componente emotiva in questa mia preferenza: mi piace guardare qualcuno cucinare una cosa che gli piace, e mi piace veder preparare un piatto con ingredienti che il cuoco si è procurato da sé.

Mio suocero coltiva il radicchio in garage e in cantina, dentro delle cassettine di legno con coperchio che ha fatto lui. Una se non sbaglio è una cassetta originariamente adoperata per vini o per spumanti di cui lui è raccoglitore. Mi fa piacere pensare a mio suocero come a un ragazzo di fattoria che ha studiato, ha viaggiato e ha acquisito il gusto dei buoni vini, e che nella stessa cantina colleziona bottiglie comprate in cassette di legno, nelle quali successivamente, e nella stessa cantina, si coltiva il radicchio. E mi fa piacere l’idea che il cerchio si chiuda in una insalatiera tonda tra radicchio e uvette.

Forse l’unico neo è che siccome è un uomo che sta attento ai propri vini, ancora non è arrivato al punto di farsi in casa anche l’aceto. Devo provare a suggerirglielo.

Quindi, non appena il radicchio nelle cassette è cresciuto al punto che è ora di mangiarlo il prima possibile, mio suocero fa l’insalata. Controlla una a una tutte le cassette, taglia i piedi di radicchio più grandi e li porta in cucina.

Questi suoi radicchi, rispetto a quelli incellofanati del supermercato con la loro forma liscia, dura e migdaloide, hanno l’aria invece di essere appena stati a correre con i cani nel bosco. Ragazzacci con le guance tonde e tutti spettinati. Le foglie sono cresciute tutte arricciate e disordinate fuori dal bocciolo, talvolta ad angolo retto, e quelle esterne sono picchiettate di marrone alla base, dove la parte croccante e carnosa ha cominciato ad ammorbidirsi e marcire. Le punte invece sono delicate e sottili, e il pallore giallastro del buio si sfuma nel verdino della clorofilla cieca.

Bisogna scartare generosamente le foglie esterne, e buttarle nel coperchio concavo della cassetta delle patate, insieme alle bucce (attenzione, non le bucce di cipolla, al maiale non piacciono). Più scarto c’è, più le bestie saranno contente. E in questo i radicchi in proprio danno sicuramente più soddisfazione dei loro sterili cugini da supermercato.

Anche questo degli scarti è un aspetto interessante della produzione in proprio degli ingredienti. L’ho scoperto quell’inverno, a casa in Italia, in cui la bocciofila locale trovò rifugio da noi in albergo, causa lavori alla sede.

Non che da noi si potesse giocare a bocce, ma cosa fanno tutti i marinai del paese in periodo di fermo pesca, a parte ritrovarsi in gruppetti di due-tre, la mattina tra le sette e le nove sul lungomare, ogni gruppetto all’altezza della propria strada o di quella del compare, per guardare com’è il mare stamattina? Vanno il pomeriggio alla bocciofila per continuare la conversazione.

E se i campi sono inagibili e le riunioni si tengono in locali alternativi provvisti di bar, giocano a carte, tra una riunione e l’altra. O, su istigazione di mio padre, organizzano cene a base di pesce, portandosi il pesce. E come lo puliscono il pesce i marinai che lo cucinano? Esattamente così come mio suocero pulisce il radicchio, ovvero, per dirla con mio padre, producendo una quantità di scarti che a un albergatore fa male al cuore vederli. Come commensale è tutta un’altra reazione, ovviamente. Ma le cose cucinate in casa, si sa…

Tornando al radicchio, altrimenti qui non si mangia più, intanto bisogna ammorbidire le uvette in una tazza di acqua bollente. E sciogliere dello zucchero nell’aceto dentro l’insalatiera. A cui aggiungere un filo di panna liquida, sale e pepe. E poi il radicchio tagliato a pezzetti e le uvette. E mischiare bene.

Così in una insalata ritroviamo tutti i sapori e i gradi di masticabilità:

· il dolce dello zucchero e delle uvette
· l’aspro dell’aceto
· l’amaro del radicchio
· il salato del sale
· il piccante del pepe
· il liquido della panna
· il croccante delle foglie
· il gommoso degli acini secchi rivitalizzati
· il sapore e la resistenza di tutte queste cose messe insieme.

E inoltre:
· il buio delle cassette
· il fresco della cantina
· il caldo secco che ha asciugato l’ uva rendendola uvetta
· il tempo che ha invecchiato l’aceto
· il rumore croccante della masticazione.

Un’insalata che contiene tutte le stagioni e tutte le direzioni, il nord del radicchio, il sud dell’aceto, l’est del pepe, l’ovest della panna e le uvette come caramelle per i bambini ubbidienti.


domenica 23 marzo 2008

Il favoloso Circus Renz Berlin

Oggi siamo andati al circo, una cosa che non facevo da anni (i bello dei figli). Solo io e le belve, il resto della famiglia ha dato forfait. Perché per Pasqua ci siamo tutti riuniti in Drenthe, regione bucolica del nord dei Paesi Bassi, dove abitano opa e oma. C'erano tutti gli zii preferiti, tranne la zietta, che invece se ne è andata in vacanza a Tenerife a castrare randagi (la zia veterinaria, che non ha ancora ben deciso cosa farà da grande, ma che per le vacanze va in giro con dei programmi di riduzione randagi per il mondo, che mi sembra una cosa impressionante ma eticamente giusta).

Non so bene questi olandesi miei parenti come la pensino, noto delle resistenze sul tema circo. Una pare dipenda dal fatto che i clown mettono paura. Che ne so io che traumi di gioventù hanno avuto i Diga. A me i clown sono sempre sembrati scemi.

Poi il capo mi fa di certe domande:
"Fammi capire bene, quindi, tu compri la carne biologica, ma poi va al circo"
("Embé?")

Chissà cosa ne pensa la zia veterinara della sorte degli animali da circo. Lei mi avrebbe illuminata.

Vabbé, siamo andati con le mie belve eccitatissime. Prendiamo posto sui banchetti in penultima fila, con dietro noi otto ragazzini locali con un paio di padri (non ho capito se fossero insieme o era solo banale contiguità da locale pubblico). Se li guardo bene, i bambini di campagna, li vedo diversi dai nostri compagnetti di Amsterdam. Sarà lo stile dei parrucchieri locali, o la dieta materna, ne ho visti alcuni bianchi e rossi con le guanciottone, da cui puoi quasi misurare il livello di colesterolo che avranno a 30 anni. O il diabete che potrebbe venirgli, che non sia mai, far mancare qualcosa di così essenziale ai figli di oggi.

Non so, noto che nella nostra scuola non ci sono bambini grassi e neanche sovrappeso. Al doposcuola stanno in un gruppo che mangia quantitativi spaventosi di frutta, come snack. Solo un paio di pischelloni/e prepuberi delle classi grandi stanno facendosi tondi, ma mi sa che sono tutti ormoni. Ma si diceva, il circo (le osservazioni nazisociologiche le rimando ad altra occasione di ricerca sul campo).

A me il circo piace tanto: in Polonia mi ci portava mio nonno da piccola, e poi per anni a casa nostra circo voleva dire: Wanda e Giorgio. W&G, che G in realtà si chiama Jurek, erano due amici dei miei, artisti circensi, che nella mia infanzia hanno girato l'italia facendo spettacoli nei night. Tra uno spogliarello e l'altro, loro ondeggiavano sui monocicli, si lanciavano cerchi, palle e clavette, facevano numeri acrobatici.

Lui aveva una faccia tonda da polacco buono, con i capelli neri lisci con la scrimetta da un lato. Lei era una donnina magra, segaligna, con dei dentoni da cavallo (suoi) più un paio di incisivi d'oro, i capelli tinti di un rosso polacco, ma quando entrava sul palco, apriva prima un braccio e poi l'altro in questo ampio gesto di saluto al pubblico, con tutti e trentadue i denti spalancati in un sorriso mentre l'incisivo d'oro brillava sotto i riflettori, be', era davvero una diva. Altro che Wanda Osiris.

Ecco, ho pensato oggi a loro quando è entrato in scena un duo, lui che faceva rimbalzare, volare, circolare palle e clavette, lei una figa con un costume blu elettrico corto con degli inserti color carne qui e là, il capello biondo lungo e sciolto, gli stivali con un tacco a superspillo alla Crudelia, che con grandi pose gli passava i vari attrezzi prendendoli da un cesto. Insomma, penseresti, la classica figa decorativa che non fa nulla, a parte spostare il peso dall'una all'altra gamba in posa plastica, come siamo abituati in TV. Invece no, che alla fine hanno cominciato a lanciarsi clavette a velocità supersonica, dimostrando quindi che un paio di cose le sapeva fare anche lei.

L'altra cosa affascinante di W&G erano i costumi di scena. E anche oggi al circo le livree, gli alamari, i gonnellini e le calzamaglie si sprecavano. Che l'occhio vuole pure la sua parte.

Al Circo Renz di oggi c'erano due numeri con gli animali, che mi sembravano tutt'altro che maltrattati, uno con 4 cavalli impennacchiati e l'altro con 4 cammelli. W&G invece non facevano numeri con gli animali, ma si portavano dappertutto la barboncina Bella, una bestia prima nera poi grigia, con il suo ciuffetto morbidissimo, ancora più diva della padrona, con la differenza che non andava in scena, ma restava a fare la guardia alla roulotte, parcheggiata sotto casa nostra.

Ecco, a me, quando vado al circo, lo spettacolo piace ancora di più perché penso a che vita dura sia in fondo quella degli artisti circensi. perché mi commuove vedere la trapezista prima alla cassa a far biglietti e poi nella pausa a girare matasse di zucchero filato. Perché un circo è davvero una grande famiglia e per i divismi c'è anche poco spazio, tutti devono rimboccarsi le maniche e poche storie.

Specie i piccoli circhi itineranti, che oggigiorno tutti si guardano il circo in TV, o vanno a Le Cirque du Soleil, e quindi un circhetto così lo snobbano, senza chiedersi invece perché uno sceglie per una vita così. Non per fare la diva, ma perché gli piace, o perché si è innamorato di qualcuno che conosce solo quella vita lì.

A me invece mi affascina. E ogni volta penso a Wanda e Giorgio, che avevano fatto la scuola del circo di Mosca, si sono conosciuti lì e avevano amici fraterni dappertutto, quando si incontravano tra colleghi era tutto un tirar fuori il numero di Tizio, o ti ricordi Caio. Probabilmente tutti gli artisti itineranti fanno così, i ballerini, i cantanti, gli attori, sono tutti piccoli mondi incestuosi. Ma in qualche modo per me la differenza con il circo è nell'immagine della trapezista di oggi: appesa a un cerchio mandato su e giù dai quattro ragazzi in livrea, che ti devi fidare che la tengano ben ferma quella corda, intanto che tu ci stai sopra appesa per un piede a testa in giù. E che 20 minuti dopo mi ha dato lo zucchero filato.


I cuccioli si sono divertiti tantissimo: Orso in braccio a me assolutamente basito, guardava concentratissimo quello che succedeva sulla pista. Ennio invece faceva un po' il clown pure lui, per farsi guardare dagli otto maschietti dietro di noi. ed esultava ogni volta che il direttore e il clown si dicevano parole italiane come "pronto", "finito", "bravo".


Alla fine erano esausti, Orso voleva tornare a casa già prima della pausa, prima della fine della seconda parte erano cotti e ce ne siamo andati, passando per il bosco e dietro il Mensinge.

Una passeggiata di neanche 300 m., ma dopo tutta la neve e la grandine e il freddo di questi giorni, un'occhiata agli alberi prima di partire mi ci voleva.

venerdì 21 marzo 2008

Nothing like a deadline...

...to sharpen your mind. Nelle ultime prove di ieri e oggi abbiamo finalmente messo a punto la memoria. Certo, rimangono le cose qui e lì che ci porteremo dietro fino a 5 minuti dalla prima, ma quelle servono per non stressarsi con le pippe mentali, che ci faremmo su dettagli insignificanti se avessimo la benché minima certezza di essere pronti.

Grazie al venerdi santo, Silvia che non è andata al lavoro, era con noi nell'ultima prova e sapete la cosa più bella? Ci stiamo divertendo un sacco. Adesso ci divertiamo proprio a recitare questo testo, anche se lo sappiamo a memoria, persino oggi mi saltano fuori dei significato che non avevo mai colto - ma quanto sono scema - di un paio di mie battute. Ci godiamo una per una tutte le parole che diciamo e quelle che dicono gli altri.

Il che dimostra che la scelta di lavorare in modo concentrato, facendoci insegnare da chi ne sa più di noi, senza mai perdere di vista il nostro compasso interno, la domanda che ci siamo posti all'inizio della stagione: ma io mi diverto a fare le prove o le vivo come un peso? era quella giusta.

Quest'anno abbiamo lavorato in 4, quelli che si sono detti: si, io mi diverto e le prove mi danno un sacco di energia, e me ne prendono anche tanta, ma mi fanno bene. Che si sono detti: basta con le palle al piede, divertiamoci.

Ecco, io non lo so come andrà a finire il 27, 28,29 e 30 marzo in teatro, con il pubblico, le luci, il pappagallo in arrivo da Firenze con le sue canzoni, la tecnica, i video e la scatola magica delle marionette di Alberto e della Barbarina (che sembra un titolo di operetta, ma sono i nostri giovani gei della sala progetti) che ancora non abbiamo visto. Per scaramanzia e per rigore intellettuale non dirò mai che è andata benissimo. dirò solo che abbiamo lavorato al nostro meglio e che e siamo contenti.

Però da come è andata la prova di oggi, solo di testo, seduti intorno al tavolo a casa di Seba, è stata una gran bella prova e da sola vale tutto il lavoro, la fatica e la crescita di questi ultimi cinque anni da Astarottiani.

Mi faccio un applauso da sola.

L'ho poi scoperto che ci faceva la terza età in treno


Tutti bellini, eleganti, quell'esercito di capelli chiari, brizzolati, sbiancati, sbionditi, un paio con il bastone che temevo mi cadessero dalla scaletta del treno. All'inizio ho pe sato: ovvio, fuori dalle ore di punta è più furbo viaggiare in treno. poi mi sono chiesta: forse sono nonni che in massa vanno a trovare i nipoti ora che cominicano le vacanze di Pasqua. Ma non mi quadrava, le altre scuole cominicavano le vanze dopo, a noi che ci hno appiccicato i corsi di aggiornamento insegnanti che siamo liberi così presto.

Poi quando hanno cominciato a scendere era giusto il momento che Orso ha rovesciato la bottiglia dell'acqua addosso al fratello e io che li trasferivo ad altri sedili per asciugare il tutto, ed Ennio piangeva: "ho i pantaloni bagnati", che a lui tutta l'acqua addosso che non si butta li volontariamente ha sempre fatto un po' schifo, mentre Orso letteralmente ci sguazza: quante volte all'asilo lo ritrovavo nudo e crudo in cambi di vestiti troppo piccoli, perché i suoi, e i cambi della sua misura, li aveva già infradiciati in più riprese, "Oggi ha giocato con tanto piacere con l'acqua", si, un'idea del genere me l'ero fatta in effetti. Insomma, un momento unico che non sono stata lì a badare chi saliva e chi scendeva, e poi era l'ultima grande stazione prima di Groningen, il treno qui si è sempre svuotato.

Al ritorno, treno che parte strapieno e si svuota ad Assen, mi risalgono tutti quanti. E da conversazioni con il mio vicino di sedile, che sembrava uno immerso nel libro ma poi si è messo a chiacchierare con chi era appena salito, due coppie, l'ho capito dove erano stati.

Alla mostra Go!China al Drents Museum, che per l'anno olimpico, insieme al Museo di Groningen, si, quello tutta tappezzato di mosaichetti colorati da Mendini che l'intero museo sembra un bagno di Bisazza, fanno questa megamostra con 5 esposizioni.

Ad Assen, i guerrieri di terracotta.


A Groningen i bronzi: vedi prima foto, sottratta al sito ufficiale in olandese, che tanto gli sto facendo pubblicità.

Un'ora e mezza di fila hanno fatto per i biglietti, che adesso meno male che sono in pensione e vanno in treno per mostre con gli amici, penso io, che io abdico subito alla sola idea. Per me, solo mostre sfigate pliis, o quantomeno di quelle che tutti le hanno ormai viste e allora faccio presto ad entrare.

Per cui vi avverto volentieri, se vi fare il weekend di Pasqua nei Paesi Bassi e volete andare a Nord, fatevi furbi e cercate di comprare i biglietti prima. Agli uffici turistici del VVV, per esempio, o chiedete in almergo se siete in alberghi un pelo fighetti.

Io invece nel weekend di Pasqua andrò per piastrelle e a Pasquetta passo la giornata al buio a provare in teatro senza luci e senza tecnica. Ma ci godremo tutti gli spazi veri. Se proprio deve diluviare a pasqua, preferirei lunedi. Ma vedrai che ci sarà un tempo da picnic bellissimo, governo ladro.




giovedì 20 marzo 2008

È morto Hugo Claus

E su una morte così ci metterei la firma. Sulle cause che ce l'hanno portato magari no, ma trovo fermissimamente che la civiltà e laicità di un paese si misurino sulla civiltà nei confronti dei e nella dignità riconosciuta a i propri cittadini nelle questioni di vita e di morte. Nel diritto all'autodeterminazione del singolo, qualora essa non cozzi con quella degli altri.


(questa foto l'ho rubata da un album su Internet di Jo Verbrugghen, che ringrazio)

Het verdriet van Belgie è stato il primo libro in olandese regalatomi dal capo. Mi piacevano molto le descrizioni dei puristi della lingua che rifiutavano tutte le parole troppo francesizzanti. Anche perché se penso a tutte le parole francesi dentro all'olandese di Amsterdam: punaise, cadeau (o kado), portemonnaie, paraplu. Cadeau è il mio preferito, perché Orso da un po' di tempo lo ha cortocircuitato con regalo e ne ha fatto cadola, convinto che sia una parola italiana.

Claus comunque alla fine non l'ho mai finito di leggere, per motivi che 12 anni dopo non ricordo. E adesso invece mi toccherà, anche solo per capire perché l'ho piantato lì. Forse era troppo difficile per il mio olandese di allora.

Il capo ha sentito la mezza notizia in macchina alla radio: ha cambiato canale nel momento in cui trasmettevano qualcosa di lui, e ha pensato immediatamente:

"O stavolta gli hanno dato il Nobel, o è morto".

Non era il Nobel. Ed è un gran peccato, che non gli sia arrivato in tempo.

Viaggio in treno

Per una serie di fortunate coincidenze, le vacanze scolastiche di Pasqua quest'anno vanno da mercoledi a mercoledi. Quindi ieri ho portato gli gnorpoli in treno dai nonni, su a nord, per una sana settimana in campagna. Sapevamo già che erano nati 17 agnellini, ma oggi pomeriggio un aggiornamento ultimo minuto di Ennio mi ha informata anche della nascita di un vitellino. ecco, per dire che queste settimane bucoliche fanno un gran bene a tutti.

Ai nonni che se li godono come e quanto vogliono, senza interferenze da parte nostra.

Ai cuccioli, che si divertono un sacco, stanno tutto il giorno fuori nel giardinone recintato, o vanno a spasso nel bosco, o accompagnano il nonno alla fattoria dei suoi amici con le bestie in comune 9ah, questi veterinari e prof. dott. all'Università che si divertono a fare i country boys.

A me che per un po'recupero la gratuità dell'esistenza. Riesco a fare in santa pace dei discorsi seri con il capo quando serve e ci fa comodo, non quando i mostri dormono e anch'io sono un po'marinata. Non sono legata da orari.

E poi la cosa migliore e che li restituiscono sempre con un upgrade. Una volta li svezzano dai pannolini, l'altra gli insegnano ad andare in bagno da soli (Orso ha tenuto duro per un paio di mesi e per un paio di mesi un giocattolo in confezione regalo lo guardava dall'alto dello sciacquone in attesa che decidesse di produrre qualosa di consistente le luogo ad esso preposto), imparano ad andare in bici senza rotelle.

Stavolta tocca alle lezioni di nuoto, un obbligo morale e sociale per il genitorie batavo, a cui finora riesco a sfuggire. Scusate, ma quest'ira di dio di liste di attesa di mesi, sbattimenti settimanali per 20 minuti di lezione, diploma A e poi diploma B e poi diploma C e poi imparare a nuotare vestiti (e il saccone di vestiti gocciolanti chi lo deve portare a casa?) Meglio i nonni, che abitano in paese, tutto è vicino e in più hanno la macchina (no, dico, mia suocera ha 3 supermercati nel giro di 100 mt. da casa e ci va in macchina, beata lei). E forse a togliere a Ennio il vezzo di ciucciarsi il pollice che ha quattro incisivi nuovi storti ed è ora (ho messo nello zaino il liquido schifoso, Orso se lo fa mettere volentieri al mignolo pensando sia smalto, Ennio secondo me ha capito che qualcosa c'è sotto).

Il capo ci porta alla stazione, trova un buchino di parchegio, mette le doppie frecce, che c'era traffico e si sta stressando come un pazzo (ma di che? Se perdiamo il treno dopo mezz'ora prendiamo il successivo e che ci vuole?), mi porta gli gnorpoli al binario, mentre io rompo la borsona in cui ho ficcato zainetti, borsa panini e il vaso di bulbi fioriti per oma e litigo con la macchinetta per i bigietti, che alla fine mi fa bene quelli dei cuccioli ma rifiuta di riconoscere le mie tessere. Bancomat, carta di credito, nulla, ha deciso che non mi vuole conoscere.

Come dio vuole faccio il mio biglietto, il treno parte 4 minuti dopo quello che mi ricordavo e saliamo a bordo. Parte in ritardo e dopo 20 minuti, a Hilversum, scendiamo ed ovviamente abbiamo perso la coincidenza. Quindi la mezóra ci tocca. Stazione scassata in restauro, li trascino a un caffé per il cioccolato caldo che mi chiedono a gran voce contro il freddo. Usciamo e si mette a nevicare. Nevica fino al momento in cui saliamo sul prossimo treno, un Amsterdam-Berlino-Stettino che alla stazione successiva abbandoniamo per prendere la coincidenza seria. el momento in cui esce dalla stazione, spunta il sole.

Ad Amersfoort sul binario ci sono milioni di vecchi in attesa del treno. Ennio insiste per passare davanti a tutti e io conto sulla spontaneità del bambino che nessuno si offenda, raccomandandogli di prendere i primi tre posti vicini che trova.

Mi va male, lui decide che in tre stiamo bene su un sedile doppio, ed ha ragione, che li incastro e non mi sfuggono più. Giochiamo, mangiamo mandarini e caramelle al Ribes del dott. Leone, andiamo varie volte in vari turni al bagno e ci raccontiamo storie (quella del principe che voleva un cavallo alato e incontra il passerotto magico che gli mette incinta la cavalla per accontentarlo. La fase del corteggiamento del passerotto è quella in cui mi sono divertita di più. Inventata lì per lì, of course).

(Ma perché il treno è così pieno da scoppiare di anziani, me lo spiegate? Tutti con la tessera per la riduzione, quindi recidivi).

Poi mi chiama un cliente che entro 15 minuti ha bisogno di un interprete inglese-italia no. E gliela pure trovo, ma in quel quarto d'ora di telefonate i mostri mi sfuggono, scappano per tre o quattro vagoni successivi, vado a cercarli ed Orso è scomparso, imboscato sotto dei sedili. Io minaccio di risalire immediatamente sul treno come arriviamo e non andare più dai nonni, e funziona. Funziona sempre.

Poi a un certo punto come dio vuole arriviamo, alla stazione li consegno ad Opa, mi faccio un grasso giro nel centro di Groningen e senza fretta torno a casa. Sbaglio treno e mi tocca rientrare in metro, congelandomi davanti al World Trade Center. mi facio un grasso bagno caldo, mi ficco a letto e iaddormento libera. Per due giorni, ma libera. Ed è tutto un altro dormire.

martedì 18 marzo 2008

Oggi corso da sommelier (e costume da Papillon)

... con lezione dedicata ai distillati. Brutta la vita di un ex-astemia che decide di professionalizzarsi.

Gli ultimi due giorni di corso ce li ha fatti Andrea Gori, titolare (tra le altre cose) del blog http://vinodaburde.simplicissimus.it/, e leggetevelo che si imparano tante cose sul vivo e dintorni.

(Andrea, non ho fatto a tempo a dirtelo che io son o distratta, ma la Ginger Beer non è una birra, è solo una bevanda gassata, tipo gingerino).

Comunque, dopo i distillati (che finalmente mi sono fatta un'idea del senso di bere whisky, non avevo idea, l'unica cosa di retaggio culturale che avevo era la definizione di "fascista" con cui un amico di mio padre ordinava il Johnny Walker etichetta nera) tutta allegra e felice ho recuperato bici e regista per andare a cercare il costume della Papillon.

Ci siamo fatti il giro delle 9 stradine che tagliano tre a tre i tre canali storici del centro e che sono piene di negozietti carini e caffé, ci siamo mangiati una torta in Wolvenstraat e abbiamo comprato finalmente una cosina carina (dal flower-power allo psichedelico, ecché sarà mai) per sopra, che Ruvy insiste per farmi indossare con culotte e reggicalze.

Vediamo se a forza di distillati da qui alla prima mi viene lo stomaco per farlo, o se recupero una gonna all'ultimo momento.

I dubbi sul mio talento

...mi vengono in circostanze del genere: al mio primo saggio di canto da adulta, in una chiesa di Leida, in cui ho scoperto di avere una voce enorme, se lo spazio me lo consentiva (il prof ha detto a mia madre che non aveva idea, si è quasi spaventato, ma vabbé, a casa sua avevo paura di disturbare i vicini), questo è stato il feedback.

"Allora, comincio con le cose che sono andate bene: prima di tutto, hai un buon rapporto con il pianoforte"

(e con questo cosa starà cercando di dirmi?)

Prova di domenica scorsa, fra una decina di gg. scarsi siamo in scena e non ho un costume. Porto delle cosine che a mio modesto parere andrebbero benissimo, se il regista non si fosse amminchiato con il flower-power corto.

"Si, questo già va meglio, perché è più corto, visto che le gambe belle le hai, facciamole vedere"

(per distrarre il pubblico dalla recitazione?)

Insomma, delle volte mi chiedo perché non ho fatto la velina a 17 anni, invece di venirci in Olanda per dar sfogo alla creatività repressa.

Mi sa che mi rimetto a far ceramica. O forse a ricamare.

Se sono laconica...

...è perchè sto comprando casa (mutuo, assicurazioni varie sulla vita, questionari medici, ristrutturazioni), sto facendo il corso da sommelier (e facendovi da interprete, che mi sfinisce), sto sotto prima e devo fare le PR, cercarmi definitivamente un costume (il regista ha deciso flower-power sexy corto, ma sogna anche un versione kinky, spero non mi metta in guepiere e mutande e autoreggenti bianche come ha detto sabato, che stavolta mi sa che non reggo, ho troppo stress), Orso ha iniziato ad andare a scuola e ci vuole manutenzione (e soprattutto non sta più giornate intere all'asilo) e ho un tot di traduzioni da consegnare.

Ma passerà anche questa

venerdì 14 marzo 2008

A gentile richiesta: risotto ai funghi

Caro Marco di Pannacotta (che ti faccio pubblicità),

Mi commuove che ti sia piaciuto il mio risotto improvvisato di domenica e visto che vuoi la ricetta, il che equivale a sputtanarmi in pubblico, che questo blog non lo leggono gli olandesi a cui posso mettere a credere le cose che voglio di cucina italiana, eccotela. Così ho la scusa di essere nostalgica.

Innanzitutto il brodo: io, devi sapere, 10 anni fa nel business plan di Madrelingua ho messo questa annotazione: il grande vantaggio di lavorare da casa è che quando sto a tradurre come una disperata posso sempre farmi un brodo o un sugo come si deve.

Qualche anno prima, invece, quando dovevo reinventarmi una professionalità in Olanda e puntavo sempre sulla conoscenza delle mie sette lingue e l'esperienza di management (e battevo quindi tutte altre strade), mi ero pure fatta una lista di: cosa voglio e cosa non voglio dal mio futuro lavoro, e ricordo che nella prima colonna avevo messo che volevo un lavoro in cui potevo mettermi in tailleur, che era ancora la fase insicurezza=powersuit. Adesso invece giro in calzamaglie a fiorami verdi se sono in servizio fuori casa, o direttamente in pigiama se non devo uscire. Per dire, come cambiano le aspirazioni lavorative della gente.

(Al brodo del risotto ci sto arrivando, sappi che sono ellittica).

Il discorso è che nella mia ingenuità, al mio primo lavoro dai diamantari ad Amsterdam, ci avevo preso gusto a lavorare in uniforme e tacchi alti e presentarmi la mattina al lavoro dopo una grassa e tranquilla colazione leggendo il giornale e ascoltando Astrid Seriese, mentre i capelli mi prendevano la piega nei bigodini (altri tempi, ora cara grazia se esco spettinata ingollando una tazzina di caffé e latte mentre sprono le belve a scendere, mettersi la giacca, mettersi le scarpe e poi comunque ce n'è sempre uno che deve fare la cacca e possiamo ricominciare daccapo, che son dettagli scatologici, ma è la pura verità).

Che dopo tutta questa tranquillità del mattino, che vivevo da sola e mi sentivo sola, ma godevo, appunto dei piccoli vantaggi della solitudine, poi arrivavo al lavoro per ricevere tutti i consigli sul maquillage dai colleghi, specie i maschi, che erano una via di mezzo tra mia zia Ela e un image consultant (su mia zia Ela un'altra volta). Mi ero messa in testa che quel tipo di disciplina mi facesse bene, poi invece mi è venuta la depressione, adesso invece non posso permettermela la depressione, anche se a volte penso che un paio di settimane a dormire 18 ore al giorno mica mi farebbero schifo, ora come ora, ma vabbé.

La cosa bella di quel lavoro era però di avere come capo e collega N. un serbo che sa tremila lingue, infatti ci confidavamo in italiano, una faccia tosta come il vetro antiproiettile, ma grande viveur e uomo godereccio. Per dire che nella pausa pranzo andavamo al mercato, lui si comprava una bistecchina di tonno, se la condiva al lavoro a crudo con la salsa di soia, ci metteva un'insalatina, mentre noi pischelli mangiavamo schifezze.

In quel mercato mi presentò un giorno il suo macellaio di fiducia, che si faceva arrivare la carne fresca dalla Jugoslavia, che in quei tempi non si sottilizzava tanto sui confini. Io invece l'unica cosa che vidi in quel negozio fu una mensola piena di bustine blu di Vegeta. Inconfondibili.

"La Vegeta", riuscii ancora a mormorare, con il tono che altri riservano a una visione della Madonna.
"Ma sei proprio una polacca", sbottò lui.

Perché la Vegeta, in epoca non sospetta, era il condimento mitico dei polacchi. Fondamentalmente dado da brodo in polvere con quel bel colorino giallo del glutammato, ma aveva in più le carote e altre verdurine liofilizzate, il che gli dava quest'aura di prodotto genuino e autentico quasi come il brodo della nonna, che i polacchi a queste cose ci tengono. Prodotto in Jugoslavia, ed evidentemente tutti i polacchi al mare dell'epoca se ne riportavano delle tonnellate in patria.

Ecco, caro Marco, se ti interessa ne producono ancora, di Vegeta, sempre nelle bustine metallizzate blu con lo chef arrapato sopra stampato, e si vende in tutti i negozi etnici di Amsterdam e forse forse pure al supermercato. Ecco, tu mi chiedevi cosa cavolo ci ho messo nel risotto di domenica che aveva un sapore così buono, c'era una spezia insolita, mi dicevi al telefono. Io non lo giurerei sulla testa dei miei figli, però forse forse era proprio la Vegeta.

Che domenica vi volevo fare pasta e fagioli, poi avete insistito per il risotto e io da quando ho due figli, tempo per tirarmi un brodo di carne mentre traduco ne ho sempre di meno, specialmente a marzo, che è il mio mese campale da qualche anno.

Quindi con la Vegeta, due cipolle messe ad appassire nel burro, poi il risotto a tostare, poi un fondo di vino rosso che avevano regalato al capo per l'ultimo giorno dal cliente editore, e che essendo il capo astemio mi sono prima ubriacata in solitario e poi ho usato il resto per bagnare il riso nella cipolla, poi il brodo alla Vegeta mentre con Margherita, Maria Laura e Alma in cucina si parlava di sesso, sex-shop, seni rifatti, ammucchiate e biancheria comprata nel sex-shop, che sembra un dettaglio, ma considerato che io il risotto lo faccio solo se ho compagnia allegra in cucina mentre aggiugno un mestolo di brodo alla volta e mescolo, che io sono di mio impaziente e odio stare delle ore a fare lo stesso gesto, ho pure smesso di stirare, ecco, magari invece era quello.

Che nel frattempo ho messo un paio di manciatone di porcini secchi a riprendersi nell'acqua calda, che me ne sono riportata un bustone da mezzo kg. e lo tengo in un barattolone di latta cinese in cui tenere il the verde, ecco, poi ci ho aggiunto i porcini ammollati e anche se non si dovrebbe, un pochino dell'acqua del bagno, non troppa che a volte è amara, assaggia prima, poi un sacco di parmigiano grattuggiato non da me, che io odio grattuggiare il parmigiano ed e meglio se lo fa qualcun altro di quelli che mi parlano di sesso in cucina mentre faccio il risotto, ecco, aggiungici che eravamo stati tutti, ma quasi tutti due giorni in fiera ed avevamo una fame bestia, secondo me è per questo che è venuto bene il risotto. E la prossima volta faccio porzioni più grosse.

Fammi sapere come ti viene.

giovedì 13 marzo 2008

Ultimo giorno al nido: ricetta dei cake

Oggi è stato l'ultimo giorno di nido di Orso. Ciò significa, per la povera madre in preda a tutte le paturnie metereoligiche che ci sono cadute tra capo e collo negli ultimi giorni: inventarsi qualosa di commestibile per la festa, preparare i regalini di addio, dalle 12 alle 13 sorveglianza a scuola dai grandi, alle 13:05 colloquio di chiusura dell'asilo, alle 13:45 intake del doposcuola, alle 14:30 ritirare Ennio da scuola e tornare a casa a prendere il resto, alle 15:30 festa di addio.

Per fortuna a novembre avevo ordinato dei magneti da frigo in formato biglietto da visita, con su una foto dei mostri in cucina, un titolo (Le ricette di Ennio e Orso), una ricetta dei piccoli cake da loro amati, semplicissima, e il mio blog culinario in olandese che trascuro da tre mesi perché mi diverto troppo qui.

Mi avanzavano anche dei pacchetti di uvette ricoperte di un moccio colorato allo yogurt, previdentemente comprato il mese scorso con le cose della festa di Ennio (io so che marzo è un mesaccio, quindi prevedo e provvedo, che l'anno scorso la festa all'asilo di Orso l'abbiamo fatta il 1 luglio e non me ne sono dimenticata).

Magneti e un pacchetto di uvette sono state infilate in una scatolina di cartone da bomboniera a forma di frac, con i risvolti e il bavero bianco con farfallino nero, e via il regalo per 12 bambini.

Qui la ricetta dei cake:

Accendere il forno a 180 gradi.

Mischiare insieme:
- 3 uova
- 170 gr. di zucchero
- 160 gr. di farina
- 170 gr. di olio di semi (era burro, ma mi era finito)
- 1 bustina di ZUCCHERO (corretto, grazie Vic) vanigliato
- un cucchiaino da the di lievito per dolci

Questa pasta base si adatta a tutto: ci si può mettere la buccia di limone grattuggiata, l'acqua di fiori di arancio, i pinoli o altri frammenti di noci, cubetti di mele o banane sbucciate, granella o pezzetti di cioccolato, vai di fantasia. Io avevo trovato delle perle di cioccolato da biscotti e ci ho messe quelle.

Mischiare gli ingredienti tutti insieme, versare la pastella o in una forma da cake o in tante formine da muffin. Io ho usato quest'ultime in silicone e una serie di coppette pieghettate in carta colorata. Sopra un po'di granella d'argento e 12 animaletti di zucchero da torta (anch'essi, pietosi resti del compleanni di Ennio, non perché sia il primogenito, giuro, è il periodo, a me far feste mi rilassa in qualsiasi momento tranne quando sono sotto prima teatrale), che fanno allegria e ai bambini piacciono.

Infornare per 25-40 minuti (a seconda del forno, controllare con uno stecchino). Lasciare la nonna a controllare la prima e metter su la seconda infornata e andare ad eseguire il programma del pomeriggio. Tornre scapicollata per scoprire che le due infornate sono venute benissimo, che la nonna ha messo tutte le pastarelle in due bellissime scatole delle torte dei magazzini Bijenkorf, riciclate all'uopo e finalmente dimostratesi utili, e precipitarsi all'asilo.

Erano tutti lì a tavola a fare merenda (solo il succo di frutta, oggi), con Orso seduto sul trono del festeggiato (ne hanno uno apposta con lo schienale alto a forma di corona e la scritta "festeggiato" sopra, la corona (una fascia di carta gialla pinzata a cilindro, con una serie di cannucce colorate di quelle con l'angolo pinzate ad angolo e una coccarda davanti con su: Orso, 4 anni, auguri).

Abbiamo mangiato, cantato, rievocato, ballato e solo quando il mio cliente mi ha chiamato sul telefonino per chiedermi a che ora gli avrei mandato la traduzione (ancora da cominciare) li ho trascinati via, tanto ormai era ora.

Sui regali e l'esito dei colloqui ufficiali, mi dilungherò in un altro post.

mercoledì 12 marzo 2008

Offline (o dei pericoli dell'autocritica)

Da un po' di giorni non abbiamo la nostra bella connessione Internet veloce. Vado a manovella con una linea analogica del fax, che non solo è lentissima, ma mi blocca tutti gli attachment che non le garbano. Risultato, ricomincia sempre da capo, i 9 messaggi iniziali finora mi saranno entrati una ventina di volte, poi si inceppa e vai che si procede a singhiozzo.

Proprio ora che dovrei stare appiccicata giorno e notte ai siti di materiali da costruzioni, piastrelle, cucine, mobili, il design di seconda mano, che il capo crede che abbiamo trovato la casa ideale per metterci tutti i nostri mobili esistenti, ma non sa delle mie aspirazioni nella vita sugli arredi d'interni.

Proprio ora che amici e amanti telematici mi scrivono mail bellissime e piene di sentimento, ma che io leggo semi-congelata e tutta curva intorno al fax, nella stanza meno usata e più fredda della casa, e le risposte sono ugualmente gelide e prive di calore. Quanta passione sprecata dalla tecnica.

Il tutto mi riporta a una riflessione filosofica sui danni dell'autocritica. Perché dal momento in cui le connessioni sono motre, abbiamo iniziato i soliti trucchi di rianimazione che di solito funzionano. Nulla. Abbiamo controllato il controllabile. Nulla. Il capo è giunto alla conclusione che allora doveva essere un problema nostro, una centralina scassata da ricomprare (quando? che tempo non ne abbiamo).

Tre giorni sprecati, fino a che, lunedi mattina, non mi sono svegliata alle cinque con un'intuizione geniale: se il telefono funziona, non posso attaccarmi alla linea telefonica? Il capo mi ha confermato che abbiamo ancora una linea analogica e detto fatto, dalle cinque alle sei e cinquanta sono stata in attesa accanto a detta linea analogica, in camicione da notte di flanella e scalza. Non l'avessi mai fatto.

Poi nella disperazione il capo è riuscito a chiamare il provider, che ci ha ricordato che eravamo appena passati al loro abbonamento privilegiato che bypassa quello telefonico, e che, lo devo ancora raccontare qualcuno che non appena cambi di abbonamento tutto smette di funzionare? Prognosi, massimo 5 giorni lavorativi. sommati ai precedenti persi a causa dell'autocritica.

Quindi, la mia conclusione è: basta cercare in sé stessi le ragioni dei propri limiti. Io sono già fantastica de me e raggiungo spontaneamente la perfezione, è il resto del mondo che non funziona. La prossima volta lo ammazzo di chiamate, l'help-desk.

Dio, ci siamo capiti? Comincia ad assumere un altro paio di operatori al tuo call-centre, va.

lunedì 10 marzo 2008

"Il supplente", corto di Andrea Jublin

Tra i corti presentati questo weekend alla rassegna CortibenCotti, quello che mi è piaciuto di più è stato Il supplente, del torinese (mi dicono) Andrea Jublin. si tratta di un corto nominato per gli Academy Awards, le statuette di zio Oscar, e non voglio sapere chi altri erano i corti in concorso, che questo è bellissimo.

Consiglio caldamente a Pythya, Profe e Sciura Pina di farlo vedere alle proprie classi, ma soprattutto ai propri colleghi.

Perché una classe scolastica, riproduce in piccolo le dinamiche di gruppo, i rapporti di potere e le frustrazioni o al contrario le piccole prese di posizione in nome del proprio orgoglio, che tutti ci ritroviamo tra i piedi nella vita, in famiglia, al lavoro, con i potenti.

Insomma, io non dico di più, voi andatevelo a cercare. Perché come ci ha ricordato Frans Weisz (mostro sacro della regia olandese, ma che nel 1960-61 ha studiato un anno al centro di cinematografia di Roma, in classe con Silvano Agosti e Marco Bellocchio tra gli altri, che comparivano giovanissimi nel suo corto) ieri all'apertura del festival, fare film brevi è difficilissimo. In un film lungo c'è sempre qualcosa di bello o che comunque può piacerti: un personaggio, una scena, l'apertura, la chiusura. Un film breve funziona o non funziona.

Di quelli di ieri, funzionavano quasi tutti. Andatevi a cercare su youtube "Le avventure di Bistecca" di Albert Figurt, e ne riparliamo.

Ma Il supplente a me, insegnante per fortuna mancata, è piaciuto un sacco. E non so ste sta su youtube.

Imput positivo

Domenica mattina, alle 7 decido di concedermi un tenero momento madre-figli sul divano con le belve, che chissà perché solo nel weekend si svegliano prestissimo, ma per fortuna se ne vanno a giocare sopra con il Lego, mentre io e il capo ronfiamo, o rinnoviamo i voti matrimoniali.

Ma sabato sera ero andata a letto presto (dopo un pisolo cieco, stile sacco di patate esausto, dalle 17:30 alle 19:00, sennò non sarei riuscita a trovare le energie per imrpovvisare una cena.)

Questo perché sabato sono stata a presentare cortometraggi a una fiera italiana, vestita da strafiga con tacchi altissimi. Da allora ho gli avampiedi addormentati. Dalla stanchezza mi sono addormentata di botto alle 20:00.

Il che mi ha permesso, domenica mattina, prima di ripetere i CortibenCotti, questo il titolo del mini-festival, con tacchi normali, di scoprire Ennio, seduto sul tavolino davanti al divano, con il libretto delle istruzioni davanti, a montare un complicatissimo aereo Lego.

- Ennio, ma sai leggere le istruzioni del Lego? Ma sei bravissimo (mio figlio è davvero un genio, non ho più dubbi).
- Vogliamo fare un piccolo applauso per Ennio?, propone Orso.

Ecco, queste secondo me sono le cose che imparano all'asilo. La madre diva non c'entra niente.

Applaudiamo e poi metto su l'orzo per tutti.

mercoledì 5 marzo 2008

Concorso: A volte basta un nonnulla (votateci pliiiiss)

Comunico a tutti che ho mandato una foto (significativa) degli Gnorpoli al concorso per foto e immagini indetto dal Baol: A volte basta un nonnulla. Avete tempo fino al 10 marzo per votare e so che con questo ritardo nel postare la notizia (ero in Italia) mi sono giocata un sacco di fans (lasciatemi le mie illusioni, ogni tanto).



(La foto è stata fatta da Antonio di Maggio nel dicembre 2006, quando cercavo di procurarmi una bella foto dei bambini per le cartoline di Natale).

Quindi vi invito a guardarvi le 33 immagini in concorso e votare quelle che vi piacciono, su:

http://vorreiessereunbaol.blogspot.com/

Ora, visto che qualcuno già sosteneva che è ovvio che io nel dare il nome al blog mi ero assolutamente ispirata alla Magnani di Mamma Roma (ebbene no, mai visto un film della Magnani, tranne un pezzo di Bellissima) vorrei aggiungere a mia discolpa che no, non sono una di quelle madri esibizioniste che iscrive i figli ai casting (mi sono informata, quello che pagano non giustifica il tempo perso).

Sono una madre esibizionista tout court.

E mi piace soprattutto il titolo del concorso, in quanto la mia vita sembra composta di nonnulla che si incatenano gli uni agli altri, portandomi dove sono ora.

La foto dei bambini che vedete, illustra secondo me benissimo questo principio del nonnulla. Ognuno voleva un'arancia dell'altro. A mio sostegno porto la Bibbia, la storia di Caino e Abele. Vuoi vedere che anche lì, in fondo era solo un nonnulla? Poi è finita come sappiamo.

martedì 4 marzo 2008

Tentata commozione

"E poi il parrucchiere mi ha messo una luce negli occhi, e poi con un martello mi ha colpito il ginocchio..."
"E ti ha fatto male?" chiede Ennio tutto partecipe e un po' spaventato.
"No, trilla tutto felice Orso, non mi ha fatto male, e poi con il martello il parrucchiere mi ha anche colpito il gomito, e poi mi ha fatto solletico sotto al piede".

"Perché chiama il medico parrucchiere?" chiede il capo, che ha bisogno di ordine nella vita.

Non lo so, perché, ma la botta sul naso di certo gli ha sciolto la parlantina a Orso, questo pomeriggio, e non accenna a passargli. Io invece avrei bisogno di un buon cardiotonico. Non so se attaccarmi al resto di wodka del Bisonte che Almina gli altri sono riusciti a non scolarsi, poi mi ricordo che sono quasi astemia.

I figli per fortuna ogni tanto riescono a mandare a pezzi la mia facciata controllata, logica e cerebrale. Nel senso che io sono la specialista dei disastri improvvisi, risolvo tutte le situazioni inaspettate con molto aplomb, chiamatemi se vi brucia la casa, se vi scazzate con la band che avevate assoldato per il matrimonio la mattina del gran giorno, e la sera ve ne ho piazzata una pure meglio, se finite con l'auto nel canale, la vedete affondare lentamente e non vi ricordate quand'è il momento di aprire i finestrini. Vengo lì con il martello e vi tiro fuori io. Insomma, una via di mezzo tra la protezione civile e il telefono amico (eeeh, sono nevrosi anche quelle, con la mia ci combatto da un po' di anni a botte di respirazione e va sempre meglio devo dire), purché appunto, non ci vada di mezzo la salute dei cuccioli. Allora affondo nelle rezioni emotive, e pur vedendomi dal di fuori con la parte razionale che mi resta (o si tratta di esperienze extra-corporee? Non ho mai capito la differenza) non riesco a riportarmi sopra la linea di galleggiamento.

Questo è cominciato al secondo mese di gravidanza di Ennio: un macchiettina di sangue. Mi sono attaccata al telefono del medico dove erano tutti in pausa pranzo, mi collegano al numero generale di emergenza e mentre tentavo di spiegare cosa mi fosse successo mi sono ritrovata a singhiozzare con questi singulti animali con una perfetta sconosciuta, pensando dentro di me lucidissimamente che dovevo smetterla, che dovevo fare dei bei respiri e non tirarla lì tanto per le lunghe se volevo farmi aiutare altrimenti la povera non ci capiva niente, che è una cosa perfettamente normale avere una perditina al secondo mese e che sicuramente non significa niente ecc. ecc. Ma non riuscivo proprio a smettere, dietro quella linea di pensieri ordinati e allineati ce n'era una seconda dotata di vita propria, anche quello un pensiero limpido, ordinato e allineato ma che diceva soltanto una cosa: non voglio perdere il mio bambino.

Poi Ennio è nato, io avevo gli incubi la notte che mi cadeva nel canale con tutto il passeggino, cose così, mi sono messa a fare respirazione consapevole con Betta e ne abbiamo tirato fuori di cose, e adesso vivo molto meglio e gli incubi sono rientrati nella norma.

Così l'altro giorno mi stavo leggendo distrattamente e senza intenzione la check -list in caso di incidenti appesa sulla porta della classe di Orso all'asilo. Una bella cosa organizzata e rassicurante, io sarò caotica e anarchica che non sparecchio mai per esempio, ma le procedure di emergenza sono l'ideale quando devi agire di corsa senza pensare.

Succede che alle 15:53 di quello stesso pomeriggio, mentre pago il cornetto e il the che ci siamo presi alla panetteria Mediterranée di Harlemmerstraat prima di andare alla 16 dalla logopedista, mi chiama l'asilo.

"Orso è andato a sbattere contro il muro mentre correva, ha beccato uno spigolo e gli è uscito un po' di sangue dal naso "fa Anouk con la sua voce dolce e imperturbabile solita (ah, vero, devono avvertire subito i genitori).

"Però siccome ho notato che dopo gli giravano gli occhi, ho parlato con il vostro medico" (in caso di dubbio chiamate sempre il medico di famiglia di cui avete il numero nel registro e consultatevi).

"Ha deciso che è meglio farglielo vedere, tanto per stare tranquilli" (se il medico decide in questo senso affidate la classe alla collega e portate subito il bambino dal medico).

"Quindi adesso stiamo solo aspettando il taxi, però appunto volevo avvertirti" (chiamate un taxi della centrale convenzionata e accompagnate il bambino dal medico, restando con lui per tutto il tempo necessario e comunque fino all'arrivo dei genitori o chi ne fa le veci).

A me in quel momento un corto circuito tra planning del pomeriggio fino a un secondo prima, TomTom metafisico che mi dice qual è la via più veloce per tornare sull'isola, un nuovo planning che si srotola da sé (cosa faccio con la logopedista, non può perdere la sessione, poi ci sono le vacanze e tre settimane senza è troppo, vabbé, se chiamo il mio taxista solito e gli chiedo di riportarmi lui fra mezz'ora Ennio a casa, ma dove sarò poi io tra mezz'ora metti che ci manda all'ospedale, chi devo chiamare per primo, esisterà la teoria della relatività che se pedalo abbastanza velocemente il tempo torna indietro di quei 20 minuti che mi permettono di essere sul posto adesso, in questo preciso momento, no, con Ennio sul sellino non ce la faccio a pedalare a QUELLA velocità, cosa faccio, da dove comincio, cosa dovrei dire in questo momento?) e adesso respira e ricomincia.

"Va bene, io prima di un'ora, un'ora e mezzo non ce la faccio, sono dall'altra parte della città, ma arrivo appena possibile, poi mi dite se siete dal medico o all'asilo, ti richiamo."

Pensa.
Chiamo mia suocere, il capo ancora no, sta troppo lontano e magari non è niente. Inutile preoccuparlo proprio stasera che andava a cena dalla nonna nella nuova casa di riposo. Mia suocera non c'è.

Pensa.
Karolina, il mio baluardo contro il caos di casa, è ancora da noi, per fortuna. Le chiedo di andare all'asilo, andare con loro dal medico e restare lì così almeno posso chiamarla per aggiornarmi. Avverto l'asilo che sta arrivando, intanto stavo pagando la nostra merenda, vesto Ennio e lo ricarico in bici, sto pensando se chiamare il tassista o cosa, ma andiamo prima dalla logopedista, intanto richiamo mia suocera, il mio helpdesk medico personale ma non c'è, è la quarta volta che chiamo in pochi secondi.

Pensa.
Intanto andiamo dalla logopedista e sentiamo che dice lei, devo comunque avvertirla.

Pensa.
Va bene, adesso chiamo il capo. Lo aggiorno al volo mentre pedalo.

La logopedista, anche se ha lo studio a casa del diavolo abita nella strada accanto alla nostra e ha due gemelli nello stesso asilo. Da madre capisce al volo quello che sto pensando.

"Senti, tanto dopo di lui ho solo un'altro bambino, se Ennio mi aspetta in anticamera con un gioco che ne dici se lo lasci qui e scappi subito, te lo riporto io, tanto ho la biciclettona per riprendere i miei e te lo consegno a casa." La bacerei.

In 15 minuti (e no, non sono riuscita manco stavolta a riportare indietro il tempo, ma a dilatarlo un po' si) atterro dal medico per beccare Orso con un bel cerotto giallo sul naso, Anouk e Karolina in anticamera. E dal quel momento lui parla a macchinetta, il mio figlio laconico, e io so che sta benissimo a parte la botta e ricomincio a respirare normalmente.

Aggiorno il capo, che sta già per strada.

Torniamo a casa e tre secondi dopo arriva Claudia con la bici carica dei gemelli e di Ennio, che chiede subito se la prossima volta può tornare in bici con lei.

Avvio un tentativo di cena. A cena Orso, che non ha smesso di chiacchierare un secondo, aggiorna fratello e padre appena rientrato sulle avventure del pomeriggio.

Ecco, a questo punto ho tanta voglia di svenire, come una damigella anemica. Posso?

domenica 2 marzo 2008

Baci

NOn vedo l'ora di essere di nuovo a casa con i maschi domani sera per sbaciucchiarmeli come si deve. Che per quanto in questi giorni abbia cercato di ovviare con Spinacino, a cui evidentemente sono piaciuta, e ieri mentre raccontavo qualcosa alla sua mamma stava affascinato a seguire il movimento delle mie mani (eh, c'è chi mi ha definito una soave affabulatrice, magari comincio a crederci) a me mancano un po' di coccole quotidiane serie. Inconvenienti del viaggiare.

Non so gli altri, ma a me piace molto dare bacetti, specie ai miei orsi, e per quanto possa essere incazzata con il capo (eh, si, ci sono anche quei momenti lì) salutarci con un bacio sulle labbra la mattina per noi fa parte di quei rituali che rimettono l'asse terrestre a posto in quei momenti in cui tutto sembra sbarellare. Oppure semplicemente la meridiana su cui calcolare le nostre giornate.

Penso sia così per tutte le coppie innamorate: lasciarsi la mattina con un bacio sulle labbra, come talismano per la giornata e per il tempo che si dovrà passare separati.

Mi è rimasto impresso un bacio del genere un paio di mesi fa: mentre portavo i mostri a scuola, ho notato due signori in perfetto abbigliamento da ufficio con valigetta e tutto, uno bicidotato che se la portava a mano, camminare chiacchierando verso la fermata del bus sopra al ponte. Arrivati lì si sono scambiati un bacio veloce a fior di labbra, quelli che denotano la coppia di lunga data, e poi uno ha inforcato la bici e si è avviato sul ponte, l'altro è rimasto ad aspettare l'autobus.

Normale scena di coppia del mattino ad Amsterdam (in prossimità di un asilo und scuola, aggiungo per coloro che gradiscono i dettagli). Nessuno se li è filati, può darsi che altri abbiano registrato la scena en passant come me, ma in fondo cos'è mai un bacio altrui.

Che adesso per non far sorgere idee sbagliate, che poi uno pensa chissà che, non è che ad Amsterdam in tanti anni io abbia visto tutte queste coppie omosessuali slinguarsi per strada, tutt'altro. Se vedi una coppia camminare tenendosi per mano o darsi un bacino al volo, ciò avviene una tantum, con la massima discrezione e senza esibizionismi di piazza, uomini o donne che siano. Così, come io darei un bacio a mio marito se per caso abbiamo fatto qualcosa insieme e adesso dobbiamo temporaneamente separarci.

Altra cosa sono i ragazzini arrapati, per esempio i due in macchina davanti a noi l'altro giorno, che si abbracciavano e si esagitavano e sbandavano ("ma che, gli stava facendo un pompino" ha commentato il capo nel momento in cui dopo una sbandata è emersa per la prima volta nel lunotto la testa riccia di una ragazza, fino a quel momento invisibile) eeh, beata gioventù, il sospiro di sollievo che abbiamo tirato quando hanno girato in un'altra direzione dalla nostra, che mi stavo innervosendo non poco all'idea di tamponarli.

Per questo mi ha fatto tanta tristezza, durante questo viaggio in Italia, salutare la metà di una coppia ultradecennale sotto casa con un casto bacino sulla guancia. Non io, che per quanto in manca di coccole, non mi metterei a sbaciucchiare il ragazzo di un'amico davanti ai suoi occhi, che non mi sembra carino. La dolce metà legittima, intendo.

E mi chiedo quanta strada dobbiamo fare per accettare che due persone che si vogliono bene e che sottolineano questo affetto con una relazione duratura, possano esprimerlo come tutti, con uno di quei bacetti rassiuranti per superare una breve separazione. Senza giudicare, senza farne pretesto di battaglie politiche, semplicemente così, perché è bello darsi un bacino in strada quando ci si vuole bene.

sabato 1 marzo 2008

Aria di casa

Oggi toccata e fuga ad Ofena per una questione amministrativa alla posta, accompagnata da Vic e lo Spinacino bimestrale. Sono entrata in casa, mi sono fatta un giretto per le varie stanze, poi ho richiuso, sono passata da Giacinta a prendermi una forma di pane da tre kg., di quello che dura una settimana da riportarmi (io non so cosa pensano di me i doganieri che scannerizzano i bagagli, ma non lo metterò nel bagaglio a mano, almeno quello), un attimo al cimitero e siamo ritornate all' AQ.

In tutto ciò Spinacino ha dormito come un angelo nel MaxiCosi per tutto il tempo, svegliandosi subito prima di pranzo, farsi un pranzetto di mamma, per poi permetterci di pranzare al Monteselva, sulla strada subito prima di Poggio Picenze. L' idea era di pranzare alla Locanda della Posta di Poggio, ma non ci siamo arrivate. Il Monteselva è stato una sorpresa piacevolissima, per la prima volta nell' Abruzzo interno vedo servire piatti con un minimo di decorazione, e pure fatta bene. Madò, dove non arriva la civiltà.

Io ogni volta che torno in Italia a Ofena ci passerei un po' di giorni, ma ci vuole la compagnia, o un progettino. Intanto ci sono andata, e già solo quello mi arricchisce, non so come spiegarlo.

Tutte le piane e il vallone erano coperti di mandorli fioriti. Fra un po', prima di Pasqua, fioriranno anche gli alberi di Giuda, con i loro mazzetti di fiorellini fuxia che spuntano persino dal tronco. Appena torno a casa riesumo una foto dei mandorli fioriti che Stefania mi mandò un po' di anni fa e vi faccio vedere.