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mercoledì 23 marzo 2011

Bello no, ma facile si



Lo slogan dell' ufficio imposte olandese è: non possiamo abbellirlo, ma possiamo semplificarlo. Con l' idea che se pagare le tasse in tempo è più facile che tentate di svicolare, uno fa prima a pagarle, e rischia di farlo persino volentieri quando si rende conto di tutti i vantaggi che ha e dei servizi alla comunità che ci si finanza (tranne la cultura, perchè adesso sono al potere le destre e secondo loro la cultura è un hobby di sinistra).

Però il cartello sopra mi ha uccisa. Praticamente siccome la dichiarazione dei redditi va fatta entro aprile, e se la fai elettronicamente tocca schiacciare Invia prima di mezzanotte, ti ricordano di tener presente l' ora solare perchè hai un' ora di meno.

Cioè, quando si dice la gente coerente.

(quelli del parcheggio invece sono degli stronzi, ho fatto un ricorso giustificatissimo per una multa che mi hanno fatto proprio mentre ero alla macchinetta a pagare e non me l' hanno accolta con una cosa preterstuosa. E siccome non posso spedire un nuovo ricorso per dirgli: cocchi belli voi non mi avete detto se i cinque minuti che ci ho messo per pagare me li accettate o no considerato che non ho il dono dell' ubiquita e a camminare aspettare, tirare fuori il portafoglio e rientrare quelli sono i tempi. volevo andare in tribunale, perchè quello ti dicono, se non sei d' accordo puoi ancora rivolgerti al tribunale pagando i diritti di cancelleria (che costano più della multa, ma li avrei pagati volentieri), ma a chi lo faccio un dispetto? A loro certo no).

Insomma, le tasse, se riesco a metter mano al mio casino contabile, le pagherò volentieri, ma quelli della Cition meglio che mi stiano ala larga, perchè viene voglia di rivolgersi all' ombudsman per quanto ti complicano la vita, perchè evidentemente il comune di Amsterdam tira su i soldi dove può, che sono tempi duri.

martedì 11 agosto 2009

Gnente gnente fossimo davvero uno stato laico?

Sarà che è vacanza? Prima passa la pillola abortiva, adesso leggo questa notizia rincuorante.

Miracolo, forse stiamo per ridiventare uno stato laico, che nll'ultimo paio d'anni mi sembrava l'Iran, una tocrazia bella e buona.

E no, cara Binetti, gli insegnanti di serie A e di serie B ci sono già: se non sbaglio l'insegnante di religione viene nominato dal vescovo, quindi non ce la siamo inventati noi questa situazione. Sono già di serie B, perché mica la laurea in teologia è obbligatoria per insegnare religione.

E per gli studenti e le famiglie, sempre di più, che non si avvalgono dell'insegnamento dela religione cattolica, e per tutti quei genitori di cui abbondano i mommy-bllogging, tanto laici e non praticanti, ma che per varie pressioni sociali del paesello iscrivono i figli a religione, questo secondo me è un messaggio rincuorante.

Poi hai voglia ad offenderti: la religione cattolica occupa già un posto talmente prominente nell'ordinamento scolastico italiano, che credevo fosse appunto uno stato laico, che uno manco si accorge più della sua invadenza.

Sarebbe tanto più adulto e furbo concedere che sarebbe meglio istituire una materia come storia comparata delle religioni, o di etica, che quella si che ci farebbe tanto bene.

Ma tanto, che lo dico a fare, lo sappiamo tutti dove andava a finire l'ora di educazione civica. Al compito in classe, o al ripasso o a qualcos'altro.

Lo dice una che appena ha compiuto 18 anni si è fatta esonerare da religione perché trovavo offensivo, per la religione appunto, quello che succedeva in quelle ore, propaganda ciellina per la DC. Ed avendo un gran senso religioso, come ha sgamato da tempo mio marito, a me questa situazione facva un gran male che da adolescenti si sa, siamo intrasigenti.

Ho dovuto aspettare i 18 anni perché mio padre si rifiutava: non per convinzione, ma per paura che se in un futuro avessi deciso per un lavoro statale, magari saltava fuori e perdevo punti. Mio padre ha lavorato sempre nella Pubblica Istruzione, io gli davo del paranoico, ma magari sapeva quel che diceva.

Ma togliamola quest'ora di religione, e ci togliamo un pensiero. Tanto chi ci crede sul serio dovrebbe provvedere di persona, e per mezzo della sua chiesa, all'educazione religiosa dei propri figli, perché soffrire tutti?

lunedì 26 gennaio 2009

Del femminismo (non so proprio che titolo dargli)

Approfitto delle famigerate esternazioni del nostro PdC, per sviscerare in tutte le direzioni che mi pare un argomentino a cui per tanti motivi sono sensibile. Più che altro perché riconducibile a un paio di post recenti che parlano di tutt'altro.

Allora, il bello di fare respirazione, o qualsiasi altra attività di autocoscienza e crescita personale è che a un certo punto ti accorgi di come cose che tu sai benissimo che ti dicevano da piccola, una tantum o al basso continuo, cose che addirittura racconti come aneddoto di lessico familiare, improvvisamente ti ascolti dirle e ti rendi conto: 'azzo, è da lì che mi viene.

E a me viene da zia Filomena, la mia prozia monaca di casa, zoppa e gobba, ex-maestra e presidente dell'associazione donne cattoliche. Una di quelle cattoliche doc che negano l'esistenza del corpo, in quanto dobbiamo aspirare alla spiritualità e alla santità, per meno del paradiso il gioco non vale la candela.

Zia Filomena non esce dal vuoto, è un tipico prodotto della sua epoca, della sua storia familiare e del suo ambiente. Ho capito davvero alcune delle fisse sue e di mia nonna solo quando ho letto un libro fantastico, Santa pazienza, di Marta Boneschi, ovvero la storia dell'emancipazione femminile in 100 anni di storia patria. Lì ho capito tante cose e mi sono covata una gran rabbia per tutto quello che ci hanno fatto a noi donne nel corso della storia.

Meglio così, che a mia madre l'anno scorso quel libro ha fatto capire veramente da dove veniva mio padre e cosa pensava davvero delle donne e dell'emancipazione. Lei che è cresciuta in un posto dove grazie al socialismo reale se non altro in teoria (e poi perché non era bon ton dire altrimenti) la parità und uguaglianza tra i sessi era un dogma di partito e si cercava di comportarsi di conseguenza. Poi il polacco che si ubriaca e mena alla moglie esisteva prima e purtroppo esiste adesso, e non è secondo a nessun popolo in questo.

Per dire che mia madre quando è venuta in Italia si sentiva talmente uguale a chiunque che certe battute alla PdC di mio padre, lei le prendeva per battute e basta. Divertenti o cretine, riuscite o meno, ma ha passato gli anni della mia adolescenza a cercare di convincermi che non me la dovevo prendere, che lui diceva così ma la pensava assolutamente all'opposto, che con lei lui parlava diversamente. Povera donna, come ci illudiamo delle volte sul conto dei nostri cari.

Ma io che in quell'ambiente ci ero cresciuta e me lo ero assorbita tutto, conoscevo i miei polli e in più c'è questa cosa, che io e mio padre ci leggevamo nel cervello. Lui con me non aveva neanche bisogno di finirla una frase che già sapevo dove andava a parare, e (anni adolescenziali, quanti ormoni in circolo) lo cazziavo a sangue. Lui in compenso mi faceva incazzare oltre ogni limite dandomi della femminista. Che io non ero femminista, ero una persona normale, non uno stronzo in malafede come lui, e quindi pretendevo una parità che, guardiamoci in faccia seriamente, né mio padre, né il mio ambiente, né il mio paese potevano offrirmi.

Infatti me ne sono andata. E poi mi sono messa a lavorare su me stessa a costo di patirci, ma questo è un altro discorso. Il discorso è che la parità ce la diamo da sole, a costo di comportamenti non paritari, che la pelle è nostra e non ce la protegge una legge per delitti contro la morale. Che ad aspettare la legge stiamo fresche. Però intanto la legge la pretendiamo e guai a chi la tocca.

Comunque zia Filomena è stata la mia prima formatrice in senso morale e intellettuale. Per me è stata sempre in un certo senso il mio grande modello di emancipazione. Emancipazione come quella delle ragazze musulmane che per poter andare all'università senza farsi dare della troia indossano il velo, emancipazione secondo il massimo che ti permettevano le circostanze. Ma comunque il massimo.

Mia zia è nata nel 1900, da un padre come tutti i padri dell'epoca autoritario e chiuso di mente, e da una madre straordinariamente illuminata, che ha fatto studiare come poteva tutte le figlie. È diventata maestra, nonostante la malattia e l'handicap fisico, è sempre stata autonoma finanziariamente, ha sempre avuto una forte autorità morale in famiglia e in paese e non si è mai sposata, in parte per via della malattia e dell'handicap, ma in parte, temo, anche per un'esagerata sensibilità nei confronti della carne che l'hanno portata a rifugiarsi nella religione e nello spirito.

Erano gli anni che l'Azione Cattolica dava un ruolo sociale alle donne fuori casa grazie alla totale segregazione dei sessi, che Khomeini ha avuto poco da insegnarci.

Mia zia avrebbe voluto farsi suora, ma la madre, pragmatica come sempre, la convinse a farlo in casa: perché andare ad aiutare i figli degli altri, quando con otto sorelle e i nipoti poteva già fare tanto bene in famiglia? E fece la matriarca di un mucchio di gente, lei senza figli.

Mia nonna restò prestissimo vedova e andò a vivere con la sorella, farle da serva, in cambio dell'aiuto nell'educazione dei figli e lo stipendio fisso in casa. Mio padre dice sempre che zia Filomena è stata la sua vera figura paterna. Ma diciamoci pure che a quell'epoca una vedova, senza padri e senza fratelli che ne proteggessero l'onore o potessero farlo potenzialmente, era poco meno della donna di tutti, e provati a ribellarti. Meglio vivere nell'aura di santità di zia.

Anche questo l'ho capito, come tante cose, dalla letteratura. Non se abbiate letto Il mandolino del Capitano Corelli, non la sciacquetta di film che ne hanno fatto, il libro. Il libro dove lui, consigliandosi con il padre della sua amata, decide di non sposarla prima che la guerra e le circostanze li separino, perché, come dice il padre greco, se lui dovesse morire in guerra, una vedova da noi è come una prostituta. Il primo che passa se la prende.

Altre vedove nella mia famiglia ci sono state. Due, dell'epoca di mia nonna, si sono risposate, una con un tizio che giocava e beveva, la picchiava e viveva del suo stipendio di maestra (quanto è stata lungimirante quella mia bisnonna che mirava all'emancipazione economica di quelle figlie senza fratello protettore) e forse, si sussurra, le ha anche molestato la figlia adolescente.

L'altra ha sposato un ex-innamorato, che per anni ha costretto la figlia di primo letto a chiamare la madre zia, perché si vergognava che sua moglie avesse avuto un altro uomo, cioè, non lui, che lo sapeva benissimo quando l'ha sposata, gli altri. Che l'uccello è la misura di tutte le cose e guai, quando un uomo non è contento della misura che si ritrova.

Tutto sommato a mia nonna e a tutte le donne della mia famiglia che hanno fatto della repressione sessuale una strategia di sopravvivenza sociale è andata bene. Ma il loro prezzo l'ho pagato anch'io, che in fondo sarei di un'altra epoca.

Però, come diceva sempre la mia coach: "tutto quello che ti hanno inculcato e di cui ti vuoi liberare, ricorda che è sempre stato fatto per amore. Per proteggerti con i mezzi migliori che conoscevano. Sta a te proteggerti con quelli che invece ti vanno bene".

Zia Filomena non era una santa. Era anche una donna dura, severa, con un gran senso della propria autorità e guai a metterla in discussione. Ma ha voluto un gran bene a tutti noi, e questo l'ho sempre saputo.

E così, per insegnarmi a proteggermi, quando avevo forse meno di 4 anni, un giorno mi spiegò. Mi spiegò che non bisognava mai farsi toccare da un uomo. Neanche la mano. Perché dalla mano sarebbe passato al braccio, dal braccio al corpo e poi, poi "diventa il tuo padrone".

E io alla parola padrone mi dissi (con altri termini che avevo pur sempre manco quattro anni e venivo cresciuta ad essere una perfetta signorina ben educata), mi dissi: col cazzo che diventa il mio padrone (e mentalmente devo essermi anche fatta il gesto dell'ombrello, che all' epoca non conoscevo). Così sono diventata femminista ad oltranza. Non di certo un percorso regolare, ma insomma, tutto fa.

Anche per questo ho sviluppato troppo presto questa paura degli uomini, della carnalità e del sesso come mezzo per schiavizzarmi. Magari ce l'ho di mio l'intelletto ipertrofico, ma negare di avere un corpo aiuta tanto. Mettiamoci anche la timidezza patologica, che le bambine ben educate si creano così, reprimendole e creando loro un gran senso di vergogna inutile.

Leggere non aiuta. Mi capitò per mano Dalla parte delle bambine davvero troppo presto. Ancora di più la rabbia e la consapevolezza che il mondo era fatto in modo sbagliato. Io reagivo menando tutti i maschi con comportamenti prevaricatori, che quello è l'ambiente in cui sono cresciuta io. Non aiuta molto a fidanzarsi quel paio di anni dopo, ma almeno non ti scoccia nessuno.

La cosa che ancora mi sorprende è che in fondo io ho sempre avuto davanti agli occhi il matrimonio dei miei genitori che è davvero stato un bellissimo matrimonio felice. Come ho fatto ad assorbire tutta la negatività dei rapporti tra i sessi trasmessomi da due donne anziane, senza marito e che non hanno mai sentito la mancanza di una sessualità felice, ma al contrario sono cresciute con questo binomio corpo=peccato, proprio non lo so.

Eppure a parte zia Filomena, con cui pure da piccola dividevo il letto e mi rendeva felice dormire con qualcuno, io vengo da una famiglia straordinariamente affettuosa fisicamente. Baci, coccole, carezze, dormire tutti insieme nel lettone genitori, figli, zie, cugini, nonni, come cuccioli in un cesto. Ma ho negato per anni qualsiasi cosa del mio corpo che potesse vagamente aver a che fare con la sessualità. Il sesso è una cosa astratta che non ha nulla a che fare con il mio corpo, guarda un po' che ragionamento sensato.

Mi ci voleva il sant'uomo e i figli che mi ha fatto per togliermi tante paturnie. Perché sarà che con le gravidanze i miei ormoni danno il meglio di sé, sarà che forse non a caso ho avuto una bella depressione post-natale mai diagnosticata, sarà che in quel periodo oltre ai figli ho cominciato a fare teatro (ho debuttato con Orso di otto mesi nella pancia) insomma, l'ho capito tardi che avere un corpo è meglio che fingere di non averlo.

Per cui che Berlusconi faccia certe dichiarazioni a me non scandalizza né ferisce più di tanto, perché non è mio padre e il mio parricidio rituale in questo senso l'ho già consumato per le vie intellettuali che so. Mi dà semplicemente la triste percezione che come parla lui la pensano in molti e che c'è n'è parecchia di strada da fare.

Dico però, in nome della moralità bacchettona con cui sono stata cresciuta per proteggermi, che un padre di figlie femmine dovrebbe stare molto, ma molto attento a quello che fa nel creare l'immagine degli uomini e della sessualità nelle proprie figlie. Un po' quello che pensavo all'epoca di Clinton e della Levinsky, mi sono sempre chiesta che effetto potesse fare a una ragazzina adolescente, poco più giovane della stessa Levinsky in fondo, sapere certe cose di suo padre spiattellate in faccia al mondo da un'aula di tribunale.

Concludo con una frase da una recensione del libro della Boneschi:
"In conclusione si può dire che quel movimento minoritario e impopolare, che viene definito "femminista", oggi così in declino, ha comunque raggiunto un obiettivo: una donna è una persona e lo sa, nessuno più mette in discussione tale asserzione".

Purtroppo no, ma ci stiamo lavorando. E io sono nonostante me stessa, ancora una femminista. Maschi prevaricatori, non azzardatevi a venirmi vicino che vi dò un pugno. Che vabbé signorine di buona famiglia con pianoforte represse e ben educate, ma quanno ce vo' ce vo'.

(Di Camille Paglia e dello stupro parlo in un prossimo post).

martedì 20 gennaio 2009

Davvero, perché mai?

Ho visto dei posteroni in giro con una scritta:

"Se sei di sinistra dai addosso ai cristiani.
Se sei di destra dai addosso ai musulmani.
Davvero, perché mai?"

firmata dallo scrittore Joost Zwagerman.

Dagli torto. Veramente un domanda intrigante.

sabato 3 gennaio 2009

La Cina è vicina

Tornando dal doposcuola, frammenti di notiziario delle 18 in macchina. Cina e melamina. Io non ci faccio caso, Ennio si.
"Trecentomila bambini ammalati? Ma come è possibile?"
"Amore tu sai che i bambini piccoli bevono il latte della mamma? Ecco, se la mamma non ha il latte, gli danno un latto speciale. E quel latte lì era sporco e i bambini si sono ammalati e gli faceva male la pancia".

(Specifico la questione neonati in modo che si renda conto che non è un latte che può bere anche lui).

"Ma ci sono così tanti bambini piccoli in Cina?"
"Si, in Cina ci sono tantissime persone, per questo anche tantissimi bambini".
"Ma perché hanno sporcato il latte".
"Perché sono stupidi"(questa devo averla detta un pelo alterata, ma è così, questa storia mi fa incazzare ogni volta che ci penso. Per tutta la stupidità umana che sottende).
"E poi si sono messi a ridere?", che il massimo della cattiveria ovviamente è far male a qualcuno e ridergli in faccia.
"No, quello no".
"E adesso lo rifanno?"
"No, speriamo di no".

Nel frattempo le trasmissioni radio si sono interrotte perché eravamo nel tunnel, ma quando riusciamo con mio disappunto, non siamo ad un'altra notizia, ma all'intervista con qualcuno che spiega il tentativo di avere giustizia dei genitori, cosa pressoché impossibile, un genitore contro una grossa azienda, in Cina perdipiù.

"I genitori che protestavano chiedendo giustizia nel frattempo sono stati trattenuti in un centro, diciamo pure una specie di prigione..."

"Hanno messo i genitori dei bambini malati in prigione? E perché?"
Sospiro, ci penso e mi butto.

"Amore, la Cina è un paese molto complicato. Il governo ("cos'è il governo?"), il governo che sono i signori che comandano, come da noi la regina, ma lì non hanno la regina e ci sono dei signori, questi hanno paura. Perché i cinesi sono tantissimi, ma proprio tanti e allora il governo ha paura che se si arrabbiano li mandano a casa e non possono più comandare. Per questo non vogliono la gente che protesta. per esempio, in televisione e sui giornali, non gli dicono ai cinesi cosa succede. Noi certe cose le sappiamo, ma loro no. E per questo non gli fanno guardare Internet".

"Non ce l'hanno Internet in Cina?"
"Un pochino ce l'hanno, però certe cose, dove scrivono per esempio cosa succede nel mondo, non glielo fanno vedere".

"E hanno paura che i cinesi si arrabbiamo?"
"Si, perché sono in tantissimi".
"Più che in tutto il mappamondo?"
"Penso di si".

"E se fanno la guerra ammazzano tutti?"
"Ma no, la guerra non la fanno".
"Ma magari la fanno quando ci sono i miei bambini?"
"No, questo non credo. Vedi, tanto tempo fa c'erano tante guerre, non c'era la polizia e tutti quelli che erano forti ammazzavano gli altri. Poi abbiamo inventato la polizia, le leggi e un pochino alla volta abbiamo smesso di fare le guerre. Perché le guerre non servono a nessuno. E piano piano ci sono sempre meno guerre, quindi sono sicura che quando i tuoi bambini saranno grandi, non ci sarà nessuna guerra".

"Però se i cinesi adesso vengono qui e fanno la guerra, noi ci nascondiamo, e poi io prendo la mia spada di legno e così non ce la fanno più".

Le discussioni di geopolitica il 2 gennaio con un seienne decisamente mi fanno paura. Ma sono così orgogliosa dei suoi ragionamenti e delle sue domande, che spero che continuiamo così fino a quando i suoi bambini non sono grandi.

lunedì 7 luglio 2008

Come rischiare il linciaggio

L'amica Wanda è quella che ha tenuto banco alla festa di Marta, anche se di dive ce n'erano parecchie. Solo a un certo punto le si è intrecciata una parola sulla lingua:

"...e quindi stavamo guidando in Germania e dovevamo arrivare a quella città sul mare, dai, aiutatemi, non me la ricordo, quella che cominica con S.. St..."
"Stuttgard?"
"No, quell'altra, ma perché non mi viene, St... St..."
"Stettin?"

Non ditelo, a un compleanno di polacche. Non ditelo soprattutto con il nome tedesco.

Perché ci sarà pur stato un monmento storico in cui a rigore avevo ragione, quella città tedesca sul mare che cominica con ST...

Ma resta il fatto che loro la chiamano Sczeczin.

venerdì 14 marzo 2008

A gentile richiesta: risotto ai funghi

Caro Marco di Pannacotta (che ti faccio pubblicità),

Mi commuove che ti sia piaciuto il mio risotto improvvisato di domenica e visto che vuoi la ricetta, il che equivale a sputtanarmi in pubblico, che questo blog non lo leggono gli olandesi a cui posso mettere a credere le cose che voglio di cucina italiana, eccotela. Così ho la scusa di essere nostalgica.

Innanzitutto il brodo: io, devi sapere, 10 anni fa nel business plan di Madrelingua ho messo questa annotazione: il grande vantaggio di lavorare da casa è che quando sto a tradurre come una disperata posso sempre farmi un brodo o un sugo come si deve.

Qualche anno prima, invece, quando dovevo reinventarmi una professionalità in Olanda e puntavo sempre sulla conoscenza delle mie sette lingue e l'esperienza di management (e battevo quindi tutte altre strade), mi ero pure fatta una lista di: cosa voglio e cosa non voglio dal mio futuro lavoro, e ricordo che nella prima colonna avevo messo che volevo un lavoro in cui potevo mettermi in tailleur, che era ancora la fase insicurezza=powersuit. Adesso invece giro in calzamaglie a fiorami verdi se sono in servizio fuori casa, o direttamente in pigiama se non devo uscire. Per dire, come cambiano le aspirazioni lavorative della gente.

(Al brodo del risotto ci sto arrivando, sappi che sono ellittica).

Il discorso è che nella mia ingenuità, al mio primo lavoro dai diamantari ad Amsterdam, ci avevo preso gusto a lavorare in uniforme e tacchi alti e presentarmi la mattina al lavoro dopo una grassa e tranquilla colazione leggendo il giornale e ascoltando Astrid Seriese, mentre i capelli mi prendevano la piega nei bigodini (altri tempi, ora cara grazia se esco spettinata ingollando una tazzina di caffé e latte mentre sprono le belve a scendere, mettersi la giacca, mettersi le scarpe e poi comunque ce n'è sempre uno che deve fare la cacca e possiamo ricominciare daccapo, che son dettagli scatologici, ma è la pura verità).

Che dopo tutta questa tranquillità del mattino, che vivevo da sola e mi sentivo sola, ma godevo, appunto dei piccoli vantaggi della solitudine, poi arrivavo al lavoro per ricevere tutti i consigli sul maquillage dai colleghi, specie i maschi, che erano una via di mezzo tra mia zia Ela e un image consultant (su mia zia Ela un'altra volta). Mi ero messa in testa che quel tipo di disciplina mi facesse bene, poi invece mi è venuta la depressione, adesso invece non posso permettermela la depressione, anche se a volte penso che un paio di settimane a dormire 18 ore al giorno mica mi farebbero schifo, ora come ora, ma vabbé.

La cosa bella di quel lavoro era però di avere come capo e collega N. un serbo che sa tremila lingue, infatti ci confidavamo in italiano, una faccia tosta come il vetro antiproiettile, ma grande viveur e uomo godereccio. Per dire che nella pausa pranzo andavamo al mercato, lui si comprava una bistecchina di tonno, se la condiva al lavoro a crudo con la salsa di soia, ci metteva un'insalatina, mentre noi pischelli mangiavamo schifezze.

In quel mercato mi presentò un giorno il suo macellaio di fiducia, che si faceva arrivare la carne fresca dalla Jugoslavia, che in quei tempi non si sottilizzava tanto sui confini. Io invece l'unica cosa che vidi in quel negozio fu una mensola piena di bustine blu di Vegeta. Inconfondibili.

"La Vegeta", riuscii ancora a mormorare, con il tono che altri riservano a una visione della Madonna.
"Ma sei proprio una polacca", sbottò lui.

Perché la Vegeta, in epoca non sospetta, era il condimento mitico dei polacchi. Fondamentalmente dado da brodo in polvere con quel bel colorino giallo del glutammato, ma aveva in più le carote e altre verdurine liofilizzate, il che gli dava quest'aura di prodotto genuino e autentico quasi come il brodo della nonna, che i polacchi a queste cose ci tengono. Prodotto in Jugoslavia, ed evidentemente tutti i polacchi al mare dell'epoca se ne riportavano delle tonnellate in patria.

Ecco, caro Marco, se ti interessa ne producono ancora, di Vegeta, sempre nelle bustine metallizzate blu con lo chef arrapato sopra stampato, e si vende in tutti i negozi etnici di Amsterdam e forse forse pure al supermercato. Ecco, tu mi chiedevi cosa cavolo ci ho messo nel risotto di domenica che aveva un sapore così buono, c'era una spezia insolita, mi dicevi al telefono. Io non lo giurerei sulla testa dei miei figli, però forse forse era proprio la Vegeta.

Che domenica vi volevo fare pasta e fagioli, poi avete insistito per il risotto e io da quando ho due figli, tempo per tirarmi un brodo di carne mentre traduco ne ho sempre di meno, specialmente a marzo, che è il mio mese campale da qualche anno.

Quindi con la Vegeta, due cipolle messe ad appassire nel burro, poi il risotto a tostare, poi un fondo di vino rosso che avevano regalato al capo per l'ultimo giorno dal cliente editore, e che essendo il capo astemio mi sono prima ubriacata in solitario e poi ho usato il resto per bagnare il riso nella cipolla, poi il brodo alla Vegeta mentre con Margherita, Maria Laura e Alma in cucina si parlava di sesso, sex-shop, seni rifatti, ammucchiate e biancheria comprata nel sex-shop, che sembra un dettaglio, ma considerato che io il risotto lo faccio solo se ho compagnia allegra in cucina mentre aggiugno un mestolo di brodo alla volta e mescolo, che io sono di mio impaziente e odio stare delle ore a fare lo stesso gesto, ho pure smesso di stirare, ecco, magari invece era quello.

Che nel frattempo ho messo un paio di manciatone di porcini secchi a riprendersi nell'acqua calda, che me ne sono riportata un bustone da mezzo kg. e lo tengo in un barattolone di latta cinese in cui tenere il the verde, ecco, poi ci ho aggiunto i porcini ammollati e anche se non si dovrebbe, un pochino dell'acqua del bagno, non troppa che a volte è amara, assaggia prima, poi un sacco di parmigiano grattuggiato non da me, che io odio grattuggiare il parmigiano ed e meglio se lo fa qualcun altro di quelli che mi parlano di sesso in cucina mentre faccio il risotto, ecco, aggiungici che eravamo stati tutti, ma quasi tutti due giorni in fiera ed avevamo una fame bestia, secondo me è per questo che è venuto bene il risotto. E la prossima volta faccio porzioni più grosse.

Fammi sapere come ti viene.

giovedì 14 febbraio 2008

Buon san Valentino, da donna a donna

Mia madre e mia nonna sono state della generazione che ha vissuto la propria sessualità con un'unica, grande angoscia: speriamo di non rimanere incinta. Io sono di quella che decide di fare figli tardi e ha semmai, a volte, l'angoscia opposta: ma perché non rimango incinta?

Che gioia. Mia madre per farsi prescrivere le prime pillole (che la stroncavano di emicranie) e la prima spirale, senza controlli una volta iniziato, è dovuta andare in Francia, non proprio un viaggio di piacere e un gran sacrificio economico all'epoca. Ma sempre meglio di un aborto clandestino da un medico di Alba Adriatica, il cui nome veniva sussurrato dalle donne in attesa nella macelleria.

Quando gli italiani hanno detto si al referendum sull'aborto ero alle elementari. L'epoca era quella e io ero una bambina curiosa, quindi verso i 12 anni sapevo a memoria tutti i metodi contraccettivi esistenti sul mercato con la relativa percentuale di sicurezza. Il miglior surrogato al sesso in sé, che a noi giovani intellettuali ipertrofiche magari interessava più in teoria che in pratica.

All'università ho scoperto l'AIED, e un paio di volte ci ho trascinato amiche in cerca di prescrizione per la pillola del giorno dopo, facendomi un'idea della burocrazia necessaria a farsi prescrivere una pillola anticoncezionale in Italia.

Quando a me la pillola l'hanno prescritta in Olanda, sono rimasta shoccata nel sentirmi dire, non che dovevo fare 1000 analisi del sangue e visite prima, ma semplicemente: la pillola va trattata come un antibiotico, se ci sono controindicazioni note non possiamo prescriverla e bisogna cercare un'alternativa, comincia a prenderla e vediamo che succede, e qualsiasi effetto fuori dalla norma noti, vieni immediatamente a farti vedere. Dopodiché la ginecologa (italiana, dio ti benedica Katia) che mi aveva visitato e spiegato tutto per bene mi ha consegnato un tot di scatole di Diane sufficienti per almeno un anno e mezzo.

E anche così bastava me ne scordassi una per cadere nel panico, perché a me un aborto continua a sembrare la cosa peggiore che mi possa accadere. Ma esigo come donna e cittadina che le donne possano decidere da sole su una cosa così delicata. Non fate della 194 un mercato di poltrone, potere e voti o m'incazzo di brutto.

Perché sono troppe le situazioni umane e possibili in cui bisogna valutare, ognuno per sé, se una gravidanza è una benedizione o una tragedia. È troppo l'oscurantismo nel nostro paese, che fa sí che genitori "moderni" non parlino con i figli di cosa comporti una sessualità vissuta serenamente. È troppo grosso, ma nessuno ci fa caso, lo scandalo dei medici obiettori. Fai il geriatria, il dentista, l'urologo se hai problemi di coscienza. Sono troppi e troppo stanchi i medici non obiettori che si ritrovano a fare solo aborti, non certo la carriera ideale per chi da bambino voleva fare il dottore. E poi perché il banco del macellaio? Esiste o no una pillola abortiva?

Per questo sottoscrivo e vi invito a leggere anche i due post di Panzallaria in proposito: http://www.panzallaria.com/

E chi può, fatelo per san Valentino, può andare a dimostrare contro il blitz al Sant'Orsola. Un modo migliore di festeggiare san Valentino rispetto a comprare cazzate:

http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article1583

Perché, tanto per aggiungere un solo accento al titolo di un libro (che non ho letto), scritto da Karol Woityla quando era cardinale, L'AMORE È RESPONSABILITÀ.

Allora, visto che fra un po' ci tocca votare, facciamo come certi sacerdoti: interroghiamo le nostre coscienze, guardiamo in faccia il ruolo che ci stanno appioppando come donne e cittadine con le discussioni sulla 194, e votiamo secondo coscienza. Coscienza di donne sula propria autodeterminazione. Ricordiamocene quando i nostri figli ci faranno domande sul sesso.

E buon san Valentino a tutti.

domenica 27 gennaio 2008

Chi si ricorda il numero di mio nonno?

Il mio nonno paterno ricordo di averlo conosciuto di persona consapevolmente quando avevo circa 4 anni. Lui viveva in Polonia e avere il visto allora non era semplice. Però quell'estate lui venne in Italia a trovarci. Ricordo che mi ha portato un costume bellissimo da krakowianka, con un fantastico corsetto ricamato di paillettes, e il diadema di fiori di carta.

Mio nonno era bellissimo, assomigliava a Paul Newman. Aveva sempre un pettinino nella tasca dei pantaloni per rimettersi la riga in ordine e d'estate portava camicie bianche con le maniche corte. Per questo la cosa che mi è rimasta più impressa di quella prima visita, è che mio nonno aveva un numero blu di tante cifre tatuato sull'avambraccio.

Poi, anni dopo, mia madre mi ha spiegato bene cos'era. E io per anni mi sono letta tutto quello che potevo sull'ebraismo e la Shoah, perché credevo che fossimo ebrei. E anche se sapevo che non era così, con il poco che si conosceva della Polonia e dei paesi dietro la cortina di ferro nell'Italia degli anni '70, almeno quello mi dava un minimo di senso di appartenenza a qualcosa di distante, ma mio.

Mio nonno era una sagoma: estremamente ansioso, camminava sempre di fretta, spronava tutti, aveva il terrore che ci perdessimo se andavamo al bosco dello zoo di Cracovia. Da bravo ragazzo di città aveva quest'idea che nei boschi bisognasse usare il richiamo "Hop hop hop". Una volta che ci siamo finti persi e ritrovati nel bosco dello zoo, ricordo che ci rimproverava: "Ma perché non avete chiamato? Perché non avete fatto hop hop hop?", tutto arrabbiato.

Mio nonno si è fatto tre campi ed e pure tornato a casa, alla faccia degli alleati. Che quando gli inglesi sono entrati a liberalrli, c'era un'epidemia di tifo e la soluzione migliore che è venuta in mente ai liberatori è stata di mandare a casa chi stava bene e lasciar crepare chi era ammalato, per non trasmettere il contagio. Mio nonno è rimasto per curare il suo amico e riportarlo a casa. Il suo amico era un ragazzo del suo quartiere che lavorava in cucina, e quando poteva, a rischio di essere ammazzato, nascondeva per loro le bucce di patate. Si sono aiutati a salvarsi.

Queste cose lui non le ha quasi mai raccontate. Poi il suo amico ha scritto un libro di memorie in cui parlava anche di lui e così i suoi figli hanno saputo qualcosa.

Un paio d'anni prima che morisse ho passato un inverno dai miei nonni a Cracovia, a tentar di studiare russo alla UJ. Così ho potuto conoscere meglio, e da quasi adulta, questi miei nonni lontani che ho sempre visto troppo poco. Mio nonno continuava a camminare a lunghi passi frettolosi. E un giorno, mentre tornavamo a casa con la spesa, gliel'ho detto:
"Ma dai, chi ci corre dietro, facciamo un attimo con calma", sorridendo perché gli voglio bene e anche a me piace camminare a lunghe falcate frettolose. Ma senza esagerare.

E lui si è fermato, mi ha guardata in faccia e mi ha detto:
"Sai, quando ero al campo, ogni mattina ci mettevano in fila per l'appello, e ogni mattina ne tiravano alcuni fuori dalla fila a caso e gli sparavano un colpo alla nuca lì, dove si trovavano. Io per quattro anni, ogni mattina non sapevo se sarei arrivato vivo a sera. Per questo non posso fare con calma, non ci riesco."

Dàgli torto.

E adesso lui non c'è più, oggi è il giorno della memoria, e io mi chiedo: ma c'è qualcuno che se lo ricorda, il numero di mio nonno? che mi piacerebbe tanto saperlo.

lunedì 31 dicembre 2007

Brutta cosa la malafede

Ma il mio retroterra Dietro la cortina di ferro mi rende molto difficile credere alle versioni ufficiali e i comunicati stampa. A casa mia tutte le notizie dei media si leggevano in trasparenza tra le righe (un'ottima e sana pratica anche nell'Italia degli anni 70, 80 e 90) e da bambina guardavo i miei genitori commentare i fatti con scetticismo e versioni alternative con l'aria di chi guarda un prestigiatore eseguire un trucco che tu neanche sai se c'è: ma come faranno mai?

Il tutto per dire che se qualcuno un giorno mi proverà indiscutibilmente che Benazhir Bhutto è morta sbattendo la testa incidentalmente, potrei anche crederci. Ma in questo momento sono scettica anch'io.

Per dire che vorrei anche crederci che domani il TG manderà prima gli auguri del presidente della Repubblica, come normale e giusto in uno stato laico, ma mi sa che ci sarà prima quello del papa.

Per dire che spero che nel 2008 ci siano grandi rivolgimenti per la giustizia, l'ambiente, la democrazia. Ma mi sa che l'ennesimo responsabile del G8 a Genova riceverà una promozione.

Però nel mio piccolo sono contenta di quello che ho realizzato fino al 2007, che spero di andare avanti così, crescere, migliorarmi, amare, sopportare con pazienza le persone moleste e creare qualcosa che lasci un segno anche nel 2008.

E così spero anche di tutti voi.