mercoledì 30 giugno 2010

Introspezione e decisioni

Oggi finamente siamo andati con il maschio alfa a parlare con la direttrice della Montessori per concludere tutta la questione cambiamento scuola. E la prima cosa che ci ha detto è stata: fossi in voi aspetterei ancora un anno.

Mi è letteralmente caduto un peso dalle spalle. Avremo un anno per vedere come va la dependance, un anno per i bambini per scendere bene a patti con l'idea, perché è vero che ieri a tavola al giro di raccontarci la cosa più bella e la cosa più brutta Ennio ha detto che la cosa più bella era stata la visita alla nuova scuola, ma immagino che anche per loro è stato tutto troppo inaspettato, troppo veloce, troppo tegola che ti cade in testa. Un anno anche noi per vedere cosa succede.

Ieri hanno guardato i bambini, soprattutto li hanno visti reagire insieme, hanno telefonato alla scuola d'origine per controllare se quello che avevano notato loro corrispondeva ed insieme sono giunti alla conclusione di consigliarci così.

"I bambini separatamente sono molto vivaci, ma il punto non è questo. Il punto è che secondo noi non gli fa bene fare un anno nella stessa classe, e una classe separata gliela possiamo offrire solo dal prossimo anno. Sono molto focalizzati l'uno sull'altro, e alla fine succede che uno diventa quello dominante che a casa racconta la sua versione dei fatti e quella versione diventa definitiva. L'altro, indipendentemente se sia il piccolo o il grande, non ha più una storia sua".

Che dire, io mi ritengo fortunatissima ad avere avuto tutte queste attenzioni da parte di entrambe le scuole. Data una situazione di partenza, tutti si sono davvero messi ad esaminare il singolo bambino e vedere cosa è meglio per lui.

Nel frattempo ieri pomeriggio mi sono anche vista con la mia psicologa preferita. Con Anna Calogero, che conosco da 15 anni, visto che noi italiani di Olanda prima o poi ci incrociamo tutti, ho deciso di avviare un percorso che mi aiutasse ad uscire da tutte le sfighe dello scorso anno (elaborazione del lutto, mi pare si chiami:-0), ma nel frattempo è diventato un corso di resistenza alla vita. Io sono molto timida e ci vuole poco per azzittirmi, avvilirmi, vergognarmi ecc. e tutto questo oltre a impicciarmi, mi imedisce di stabilire i miei limiti, sia per me stessa che nei confronti degli altri.

Raccontandole di tutto il processo decisionale degli ultimi giorni, mi sono resa effettivamente conto che sto iniziando a reagire diversamente a certe situazioni. Soprattutto nelle discussioni con il capo (ma mi succede un po' con tutti) ci sono delle situazioni abbastanza riconoscibili in cui io non riesco a relativizzare o ascoltare l'altro, ma mi chiudo a riccio, mi sento attaccata, smetto di ascoltare in modo costruttivo.

Stavolta sono riuscita a non farlo, dirò di più, invece di nasconderle ho manifestato le mie insicurezze e questo ha permesso al mio interlocutore di prenderle sul serio. Di trovare insieme una soluzione.

Sul momento magari ho annotato che stava succedendo, ho notato che stavo reagendo diversamente, ma poi in fondo sono andata avanti con la cosa in questione. A posteriori davvero posso dire che in 6 sessioni ho imparato un paio di trucchi che mi aiutano ad aiutarmi. A me sembra fantastico, perché non l'ho fatto prima? Ma molto prima? Ma molto, molto prima? Quanti anni ed energie sprecati, ma vabbé, questo è. Già mi sento fortunata per averlo fatto.

Non sono costretta da me stessa ad essere Wonderwoman. Posso essere una sfigata qualsiasi e già mi va molto bene. E quindi posso ammettere serenamente che anche se sono adesso ancora più convinta che la Montessori possa essere un'ottima scuola con un ottimo metodo per i miei figli (specialmente per quanto riguarda la matematica, che è la loro gioia), tutta questa fretta di decidere con le relative conseguenze di fondo non mi convinceva.

Ognuno ha i suoi tempi e a casa nostra quelli decisionali sono molto lunghi. Questo perché dobbiamo mettere insieme due metodi, quello ellittico mio e quello logico-ordinato del maschio, che in fondo si integrano ala perfezione permettendoci di mettere insieme sia la pancia che la testa. Solo che come tutte le cose che tendono alla perfezione, ci vuole il suo tempo per arrivarci.

Quello che, in modo più ampio, sto cominciando a vedere è che delle volte non sono solo io con i miei riflessi condizionati che tendo a sentirmi attaccata dall'altro. Un paio dei miei interlocutori preferiti hanno anche i loro: uno tende a sentirsi manipolato, l'altra a sentirsi contestata gratis. Scoprire come funzionano questi meccanismi sta permettendo anche a me di ascoltarli meglio ed accoglierli meglio, visto che sono persone a cui tengo.

Ma una delle mie questioni da risolvere era quella dei confini: sto diventando più brava. mi rendo conto adesso che non ho bisogno di tutto e di tutti, che con alcune persone a cui voglio molto bene ma di cui non condivido il modo di crearsi problemi (che poi devono discutere a tutti i costi con me inchiodandomi delle ore) devo semplicemente ridefinire le aspettative e le attività da fare insieme.

Devo chiarire meglio che se una cosa è importante per loro non necessariamente lo è per me, che li ascolto volentieri ma meglio essere consapevoli di questo fin dall'inizio e non aspettarsi da me quello che non posso dare. E che sta a me capire subito dove andiamo a parare e dire fino a che punto posso arrivare io.

Qui si sta prospettando un'estate interessante, decisamente.

martedì 29 giugno 2010

Sarà che ho deciso

Io perché mi complico la vita? Lo faccio per partito preso, per metodo, perché so che dopo sto meglio (o quantomeno lo spero?)

Questa corsa alla decisione Montessori subito o l'anno prossimo mi ammazza.

Ieri sera il capo è rientrato stanco e stressato, e per quanto sappia che con un maschio in queste condizioni non si possono fare discorsi incoerenti, io mi dovevo sfogare. Però si è sfogato lui. Che ha paura, che non vuole farsi mettere fretta, che in tal caso non si decide niente e si fa l'anno prossimo, che i bambini stanno benissimo dove stanno.

Il sottotesto percepito da me ovviamente era un altro: non mi fido di te, gli argomenti che mi porti non mi convincono, sei tu che ti inventi dei problemi che i bambini non hanno, se va male sarà colpa tua nei secoli dei secoli.

Il che mi faceva pensare alla sindrome del letto nuovo. 12 anni fa abbiamo dovuto comprarci il nostro primo letto serio (fino ad allora avevamo usato un pacchetto a una piazza e mezzo scartavetrato, verniciato e montato amorevolmente dal capo per il suo primo appartamento condiviso da universitario. Era anche il letto per comprare il quale ha approfittato per comunicare a sua madre in ansiosa attesa di morosa o quanto meno annuncio di potenziale moroso, meglio che niente, che il suo primogenito dormiva con me e o si allargava il letto o si rovinava la schiena).

Quando una ha più tempo dell'altro per cercare che fa? Quello che ho fatto io, cerca, seleziona e visita 11 negozi, testa infiniti letti, si fa una cultura su lattice, gomma, lana, sintetico, molle nude o rivestite, sommier ecc. Poi trova il negozio fornitissimo che ha un po' tutte le marche interessanti che ha visto, oltretutto ha anche un aggeggino computerizzato che misura i punti di pressione del tuo corpo e ti indica il tipo di materasso che fa per il tuo peso e posizioni preferite, costa dei soldi ma se compri da loro poi te li rendono.

Io non sono il tipo che si fa un file excel per paragonare caratteristiche, prezzi, condizioni, marche. Io dopo che ho parlato con 30 persone e ho sfogliato infiniti cataloghi mi fai vedere un letto e mi ricordo a memoria se il prezzo vale o se ho già visto qualcosa di meglio, o uguale a meno. Tocca fidarsi dei miei distillati mentali o rifarsi il lavoro da sé.

Nella percezione del capo, perché i negozi di letti non fanno i test di sabato perché c'è troppa gente e allora tocca uscire prima dal lavoro per testare, lui è stato costretto a comprare un letto costoso nel primo negozio che abbiamo visto e in più con l'inghippo del test a pagamento da restituire all'acquisto.

Poi per carità, quel letto lo usiamo ancora con soddisfazione, anche se stiamo pensando di ricomprarcene uno eccetera, però io a volte ho l'impressione che quando c'è da rinfacciarmi una scelta poco meditata, nelle nostre menti aleggia il fantasma di quell'acquisto.

Così come adesso sulla scuola. Sul momento stavo per incazzarmi, tirar fuori la storia del letto paro paro come l'ho messa sopra per dimostrare che risultati ottenuti nel passato dimostrano che anche se sembra che io le decisioni le prendo di pancia e mi va bene di culo, io ale cose ci penso, solo che comincio a farlo tre anni prima di quando ci sia necessità. E di quel lavorio tego a mente solo le conclusioni, che poi magari non posso bibliografizzare.

"Ma cosa credi, che io sia sicurissima di tutto? Che non abbia anch'io paura di fare uno sbaglio che poi si riflette sui bambini?"

Quella è stata la chiave per spiegare che si, la scuola dove stiamo adesso va bene, ma io ho tanti miei motivi per preferire una scuola vicino casa e adesso che ce l'abbiamo vorrei provarci.

Poi per fortuna che ho un blog e i patemi degli scorsi mesi e degli scorsi anni se me li vado a guardare posso anche rintracciarli. Io in quella scuola vedo molta buona volontà, molto interesse per i bambini, molta voglia di trovare insieme delle soluzioni ma scarsa comprensione per le istanze specifiche che discutiamo. e le soluzioni possono venire solo da una direzione, allora che vengo a parlare a fare? Arrangiatevi da voi se il genitore critico è solo una seccatura. E so che lo è, perché vengo da una famiglia di insegnanti.

Poi è andato a parlare con i bambini che erano a letto.

"Dicono quello che hai detto tu".
(Grazie. In entrambi i sensi, quello buono e quello ironico).
"E Orso dice che gli mancheranno i suoi amici, deve essere in questa fase, perché non parla di altro di quanto gli manchino già i due che hanno traslocato".

"Senti, io non ho una soluzione e sono stanca morta. Purtroppo non posso fare e decidere niente finché loro domani non vanno a fare la prova e poi sentiamo, prenderò un appuntamento per andare a parlare insieme e si vedrà. Se necessario chiediamo di poter decidere alla fine delle vacanze".

E stamattina siamo saliti in bici e siamo andati, che c'era un gran bel sole.

Becchiamo la direttrice che mi riconosce e stringe la mano ai bambini.
"Ciao, tu devi essere Orso vero? Io sono Dineke. E tu" sbircia nel suo foglietto,"sei Ennio. Bene andiamo a farvi vedere le vostre classi di oggi".

I miei figli una volta entrati, viste le maestre e annusata la classe, hanno fatto la stessa domanda: ma oggi dobbiamo anche fare dei compiti? Certo.

"Orso ti ricordi come si chiama la tua maestra?"
"Dineke".
"No, quella qui in classe".
"No".

Poi arriva un ragazzino:
"Ehi Orso, ti va di venire a giocare al computer?"
Orso si precipita.
"E tu come ti chiami?" gli faccio io, che questi dettagli ai miei figli sfuggono.
"Teun".
"Anche nell'altra mia scuola c'è un Teun" fa Orso rasserenato.
Lo lascio in buone mani, questo Teun se non è vero avrebbero dovuto inventarlo.

Vado a vedere come se la cava Ennio.
"Guarda, io ho un rosso, ma in realtà sono verde" mi fa mostrandomi il suo banco.

Le cose che una non sa delle scuole dei figli. i banchi, a seconda della misura, hanno un tappo colorato sul tubolare. Giallo i più piccoli, rosso i medi e verde i grandi.

"Ma è solo per due ore, si vede che non ne avevano uno libero della tua misura. Alle 11 ti incontrerai con i bambini che verrnno con voi nella nuova scuola, lo sai?"

Poi ho parlato con la direttrice, ho preso un appuntamento domattina con il capo così dopo si spera che decidiamo e mi sono sfogata.

"Io lo so che certe cose sono difficili da dire e che i genitori come me sono una seccatura, ma il problema vero che ho sulla scuola dei bambini è che comunque si notano, perché sono bilingui. E da quando vanno all'asilo ce n'è sempre una. E poi specie Ennio è ipersensibile e tutti e due sono più intelligenti della media e so che non sta bene dirlo ma è così. e il risultato è che lui a volte è fuori posto e si convince che è colpa sua e che è lui quello anormale".
"Io ho un figlio di 29 anni, anche lui era superdotato, solo che a quell'epoca non se ne sapeva niente. Capisco benissimo".
"Bene, intanto lei lo sa cosa mi preoccupa sul serio e perché, anche se stanno in un'ottima scuola in cui si trovano bene, io sono contenta perché mi sembra che qui troveranno un ambiente più adatto a loro".

Lo troveranno? Boh, è sempre un salto nel buio e speriamo bene.

Anche alla prima scuola di Ennio io ero entusiasta della direttrice perché mi prendeva sul serio dal punto di vista emotivo. Poi quando lui ha cominciato lei se ne era già andata a causa di un conflitto con il corpo insegnante e lì i miei peggiori timori si sono puntualmente avverati al punto che gli abbiamo dovuto cambiare scuola.

Questa nuova, se ha un figlio di 29 anni, spero non mi vada in pensione fino a che almeno Ennio non va alle superiori.

Domani le domande logiche e razionali e spero entro il weekend una decisione.

Anche perché, mi ha ricordato la maestra di Ennio, martedì fanno la festa di addio all'altro bambino che si trasferisce e allora se si sa, la si fa a tutti e due. Mannaggia, pure la festa d'addio mi tocca organizzare. Meno male che me lo ha detto.

lunedì 28 giugno 2010

Le cose che si muovono troppo in fretta


Tempo fa ero andata ad informarmi alla Montessori di quartiere, che è un po' lontanina, ma aprirà a fine agosto una succursale dietro casa nostra. Con vista sul nostro parco preferito.

Cambiare scuola ai bambini senza una vera necessità è un passo lungo. Loro sono felici, hanno tutti i loro amichetti lì e il nostro schema di prenderli e riportarli funziona in fondo abbastanza bene.

Però pensando al lungo termine io credo che una scuola vicino casa abbia dei grandi vantaggi in termini di coesione con altri bambini nel quartiere in cui vivi e conseguente vita sociale. Che abbia un grande ruolo di responsabilizzazione e non devono essere accompagnati e ripresi in macchina fino ai 12 anni per poi essere buttati nel mondo.

"Fondamentalmente è più facile per te" ha detto il capo a suo tempo.

Si anche. E anche questa può essere una priorità importante nella vita di famiglia, visto che i figli me li spupazzo io. Ma io penso soprattutto a loro e penso a cose che loro in questo momento non possono vedere. Penso che un pomeriggio di pioggia in cui ti annoi può essere molto bello dirmi: mamma, vado da tizio, prendere la bicicletta ed andarci da solo, perché tanto abita nella strada accanto. Cose così.

Ennio all'inizio si è rifiutato in toto di parlarne, ma so che sta elaborando la cosa. Sabato siamo andati in bici al centro commerciale e gli dicevo di guardar bene la via per ricordarsela, visto che Lorenzo abita lì vicino e volendo potrebbe andare a trovarlo.

"Questa è anche la strada che va all'altra scuola, vero?"

Ha accettato di andare una volta a vedere.

E csì abbiamo mandato un modulo di iscrizione alla lista d'attesa della Montessori specificando che comunque li volevamo entrambi nella stessa sede in Azaleastraat e che in generale eravamo interessati all'anno scolastico 2011-2012. Il che ci dà un anno per pensarci bene, e decidere anche in base allo sviluppo che faranno i bambini.

Ennio infatti è già andato una volta a scuola da solo in bici, ci vuole riprovare, noi siamo disposti e stavamo persino valutando di comprare un cellulare prepagato da mettergli in mano quando va a fare queste cose per eventuali emergenze. ltre a tatuargli sul polpaccio tutti i numeri di emergenza miei, del padre e dei vicini, amici e parenti fino al terzo grado.

Poi nel frattempo abbiamo avuto il colloquio di fine anno a scuola. E alla maestra di Orso ho raccontato che stavamo pensando a questa cosa e che io avevo anche la deriva di far cominciare Orso subito nella nuova scuola senza perdere il posto nella vecchia, tanto per provare ed essere sicuri, ma che so che non è possibile.

"E Ennio invece?" fa lei. "Se quest'anno va in quinta e comunque volete fargli cambiare scuola forse è meglio farlo iniziare subito nella classe in cui farà il test di uscita in ottava. Mentre Orso, così come risulta in questo momento, gli farebbe meglio farsi la terza in un gruppo che fa solo la terza, invece che di cominicare in un gruppo misto terza e quarta come fanno alla Montessori".

Ussignur, pure questa ci mancava per aumentarmi i dubbi e i patemi.

Alla festa della scuola mi sono attaccata a Laura, che ha avuto Ennio in classe due anni fa e quest'anno avrebbe Orso. Perché risulta che dividendoli tra le due terze, Orso sta si con laura, come segretamente desideravo, ma anche tutti i suoi amichetti sono finiti nell'altro gruppo.

E allora se cambia classe, tanto vale cambiar scuola adesso no? Tranne che Orso ha già fatto una serie di lezioni di orientamento nel gruppo di scambio e la nuova classe li conosce tutti.

Di Laura ho un'opinione non ottima, di più, ed è una gran fortuna che dal prossimo anno diventi anche vice-preside, perché la preside è un gran manager, ma non viene dall'insegnamento e si vede. Ci vuole un pedagogo per dare una direzione alla scuola e Laura lo è.

"Perché hai scelto specificamente per la Montessori?"
"Non ho scelto la Montessori, ma è l'unica scuola vicino casa che mi piace come funzioni e che mi dà l'idea di essere un indirizzo adatto a Orso, che sappiamo il tipo che è. E poi credevo che il passaggio da Dalton a Montessori sia più semplice per loro come metodo".

Mi guarda scettica.
"Oh, non lo è? In fondo che ne so".
"Tuo marito che ne pensa, è d'accordo? O lascia la decisione a te".
"Più o meno è d'accordo sul fatto che io raccolga tutte le informazioni possibili e poi andremo insieme a vedere. Capisci che con questa novità che forse è Ennio quello che farebbe meglio a cominciare quest'anno, e che in qualsiasi momento una famiglia lì può traslocare e si libera forse un posto per lui, se ci si arriva io devo poter essere in grado di prendere una decisione in fretta".

(Sempre con il problema di fondo che la succursale dietro casa cominica quest'anno con le classi da prima a quarta e che solo l'anno prossimo avrebbero la classe di Ennio. Ma se per lui è meglio allora preferisco rendermi la vita difficile e portarlo alla sede principale, tanto punto a farcelo andare da solo in bici).

E per me prendere una decisione informata significa sfrantecare i maroni a più gente possibile nel tempo più breve del mondo. Per cui d'accordo con il capo ho pensato di chiamare la Montessori e chiedere anche lì un appuntamento con chi si occupa dei programmi e delle valutazioni generali, portargli le pagelle dei bambini e guardarle insieme per capire se anche dal loro punt di vista Orso sarebbe meglio tenerlo un altro anno nel gruppo unico.

Chiamo oggi, non la trovo, devo richiamare.

Mi richiama la direttrice dicendomi che hanno altri bambini dell'età di Ennio e che se si aggiunge lui fanno partire da quest'anno anche la quinta nella succursale.

"Lo so che è difficile decidere così all'ultimo minuto, ma domani alle 11 li mettiamo tutti insieme. Se vuoi e se possono, magari potrebbero venire a fare un giorno di scuola qui e annusare l'ambiente".

Basta, domani ce li porto. E vediamo. E annusiamo. E io che speravo di aver rimandato la decisione di un anno. E com'è la storia che i bambini della Montessori non sanno l'ortografia?

Certe volte le cose vanno terribilmente in fretta, più in fretta di quello che vorrei. Ma decisamente con la fretta delle volte si semplificano pure.

E adesso vado a dirlo a Laura.

domenica 27 giugno 2010

Dove dormire e cosa fare a fontecchio (AQ) fino a ottobre



Ricevo una mail di aggiornamenti da Alessio di Giuio, che avevo perso di vista dopo maggio scorso, quando l'avevo chiamato per sentire come stavano a Fontecchio.

Alessio e sua moglie Luisa avevano una bellissima struttura ricettiva entro le mura del borgo vecchio di Fontecchio, alloggi che si erano ristrutturati loro, usando materiali ecocompatibili (tipo la pittura in grassello di calce, il riscaldamnto azionato da una caldaia che si nutre di scarti della lavorazione delle olive come combustibile).

Nel frattempo loro vivono in un modulo, della struttura si è salvato la torricina e un altro paio di stanze con servizi e cucina con cui danno continuità all'offerta ricettiva. Io di quella torricina me ne sono innamorata subito: in giardino, affacciata sulla valle dell'Aterno che in quel punto sembra un canyon verdissimo, era una delle torri di guardia che comunicavano tra loro per mezzo di segnali luminosi. Per questo ha finestrelle deliziose da tutti i lati, mentre a pianoterra ci sono un bar e un angolino cottura.

Da anni dico che ci devo portare il capo per una botta di romanticismo, forse è la volta che mi decido.

Ecco l'indirizzo, se quest'estate siete in zona:
Casa Torre del Cornone
Cantone della Terra 22
67020 Fontecchio (AQ)

www.torrecornone.com
info@torrecornone.com
www.ilexitaly.com
info@ilexitaly.com

tel (++39)086285441
mobile (++39)3280617948

Andateci soprattutto perché hanno messo su un programma interessantissimo di corsi, escursioni, sessioni di cucina nel vecchio forno medievale in piazza.

Io l'unica cosa che mi fa rabbia è che di Fontecchio ho foto bellissime ma in questo momento non le trovo, le rimetterò. queste che vedete le ha fatte antonio di maggio negli immediati paraggi, tanto per farvi sentire l'aria di casa.

sabato 26 giugno 2010

Figure e riconoscimenti

Inutile, io quando si tratta di fare brutte figure, mi ci impegno. Due anni fa a scuola per dei mesi non ho fatto altro che confondermi la mamma di Timo con la mamma di Abe. La mamma di Abe raccoglieva soldi per il regalo alla maestra che si sposa? E io correvo dalla mamma di Timo, ma mica con discrezione, proprio con:
"Fermaaaa, che ti devo dei soldi e continuo a scordarmi".
"Ma no, non li devi a me"
"Ma si, per la maestra"
"No, quella è la mamma di Abe".

E all'epoca erano tutte e due mie vicine, quando rientravamo con figli e biciclette dalla porta posteriore ci incrociavamo sempre, con l'una o con l'altra. (Il padre di Timo, onestamente, non so neanche se l'ho poi mai visto, con lui faccio ancora a tempo a confondermi).

"Ma figurati, mi fa il capo, io per un anno ho pensato che Abe e timo fossero fratelli" perché è vero che abitando nello stesso palazzo stanno sempre insieme e le madri se li palleggiano a turno.

Nel frattempo quest'anno Timo ha fatto calcio con Ennio e io mi sono abituata, ma l'attimo di incertezza ce l'ho sempre. D'altronde non mi si può dare al 100% torto.

"Ma voi in effetti vi somigliate un pochino", fece una volta quell'anima innocente di mio figlio, perché è vero, sono alte uguali, magrissime, stessi capelli biondastri portati corti alla diotifulmini, stesse facce magre, solo che la madre di Timo è più cordiale mentre l'altra è più abbottonata. Adesso che ci conosciamo da qualche anno, ecco.

Quest'anno ho fatto il bis con la mamma di Youssra, perché in un certo senso è fisiologico, finché stanno nella classe mista della materna di prima e seconda, i bambini vanno, vengono, li cambiano di classe da un anno all'altro e prima che io mi ricapi con le madri (che dico, io già non mi ricapo con i bambini) quel paio di anni che poi arrivano e fanno tutti la terza insieme come gruppo definitivo e alla fine mi abituo, io nel frattempo mi confondo.

Il punto è che un giorno la maestra mi prende da parte e mi fa:
"Sai, durante il disegno Orso ha disegnato sulla maglietta di Youssra, non l'ha fatto apposta, ma magari è meglio se parli con sua madre tu, la conosci no?"

A me in quel momento mi si è materializzata una dele madri con cui facevo la sorveglianza e dico, si, certo. Non sono mai riuscita a beccarla, ma nel frattempo Youssra è capitata nel mio gruppetto quando siamo andati a teatro e almeno lei l'ho inquadrata. Bionda, occhi verdi larghi, e un caratterino autonomo peggio di Orso. Ragazzi, che peperino che è questa qui a sei anni, il giorno che si fidanza questi uomini li farà correre.

Insomma, alla fine mi rimetto a fare sorveglianza, ribecco la madre che credevo fosse, ovvero Hassnae, e la acchiappo al volo e le faccio tutto un discorso e Orso, e la maglietta e Youssra e senti, vorrei tanto ricomprargli o la maglietto o un regalino, tu sei d'accordo?

Lei mi ascolta con santa pazienza a poi mi fa:
"Ma io non sono la mamma di Youssra".

Mi vede che faccio la faccia di quella che dice 'oddio che figura' che gli olandesi che sono un popolo della colpa magari ci sono meno sensibili e non ci fanno caso, ma noi popoli mediterranei, popoli della vergogna ce ne accorgiamo subito.

"Guarda, non ti preoccupare, io la conosco, non è tipo da farsene un problema, figurati".
"Si, però per favore glielo dici, che mi sento in colpa per quel vandalo di mio figlio?"

Chissà perché poi, io mi sento in colpa per tutto. Da piccoli ai giardini se volevano prendere un giocattolo di un altro o farsi un giro su un triciclo altrui. Che ci ho messo due anni a capire che qui siamo tutti molto ma molto rilassati con queste cose e nessuno mi giudica una madre di figli maleducati se non li fermo ad ogni respiro (eeeeeeh, il complesso del figlio maleducato della madre italiana, ce ne fossero di più, delle volte).

Il fatto è che ho il complesso della madre straniera, e del non ci facciamo subito riconoscere se facciamo le cose scontate in modo non scontato, insomma, che dirvi, ci devo ancora lavorare su questa cosa, ma per altre mi sono rilassata. Anche perché è un dato di fatto che io non sono molto brava a mettermi d'accordo e prendere appuntamenti con le altre madri.

Poi in altre occasioni e sempre in presenza di Hassnae, perché loro sono tutto un gruppetto di madri islamiche, praticamente quasi tutte col velo e a scuola le vedi fare gruppo a sé e chiacchierare, ho agguantato un paio di madri sbagliate. E pure ieri ala festa, alla fine ho beccato quella di Yusip. Meno male che era presente pure la madre giusta, che fra mille risate Hassnae si è decisa a presentarmi e spiegarle perché rompevo tanto.

Io, devo dire, per come sono di solito che mi viene da sprofondare per la vergogna e mi continua per dei mesi, ho preso la cosa con molto aplomb. Merito delle sessioni con la psicologa, non ci sono dubbi (che lo so io su cosa stiamo lavorando).

"Me almeno mi ti ricordi come mi chiamo", mi fa Mariam sfottendomi.
"Si, però un giorno mi dovrai spiegare bene se è Mariam, Miriam o Meriam", che è un dubbio che mi attanaglia da quando la conosco questa donna, solo che Anja, che lingue mediorentali le aveva pure studiate, mi spiegò con aria svagata e relax, che quella donna lì non si stressa per le cose serie, figurati per uno scambio di nomi:
"Ma sai, non è altro in fondo che un problema di trascrizione"
e io lo capisco bene, ma mi piacerebbe chiamarle giuste le persone a cui vado in casa.

Insomma, se diovuole ho parlato con la madre di Youssra, che era carina e bendisposta e ha detto si, ma certamente quando ho detto che volevo prenderle una maglietta nuova. Poi abbiamo capito che lei pensava che fosse stato Orso il danneggiato per il quale reclamavo una maglietta nuova io (che noi madri straniere di figli vivaci conosciamo i nostri polli e non ci sorprenderebbe se un giorno un poliziotto ce li portasse a casa avvertendoci che stavano dando scandalo in pubblico).

Allora ci siamo messe ancora più a ridere. E lei mi tranquillizza.

"Senti cara, bambini. Succede sempre. Mica compriamo vestiti cari e poi mettiamo assicurazione. Non serve, bambini sono così".

E con tutto questo casino, che dirvi, improvvisamente mi sono sentita anch'io parte di quel gruppo di madri lì, nonostante i problemi di comunicazione in olandese e sarà un guaio quando cambieremo scuola a rifarsi questi contatti che io ci metto tempo.

E il motivo per cui questa volta mi sono sentita un pochino extra in colpa, è che non a caso anche queste madri qui avevano qualcosa per cui si somigliano tutte e io mi confondo: avevano tutte lo stesso stile di velo doppio. E secondo me un po'si è capito che era per questo che me le confondevo.

E anche se è puramente una questione estetica (un po' allo stesso livello del un problema di trascrizione) sono sempre quelle cose per cui ti senti un pelino razzista, anche se a sproposito.

Ma adesso se non altro mi sono messa l'animo in pace e stamattina ho preso il pennarello per le stoffe e ho copiato il pesce della maglietta preferita di Orso, che ha la passione dei pesci (e non a caso è il suo segno, direbe l'amica strologa) su una maglietta bianca, perché l'originale è veramente da buttare.

Così mi sfogo io a disegnare sulle magliette altrui.

venerdì 25 giugno 2010

Un venerdì qualunque (TGF)

Ho portato figli e vicina a scuola, raccolto ogni sorta di legno di recupero per fare una zattera, andata con il capo a fare la spesa per la festa della scuola, deciso che invece di mettermi a cucinare gli apro 3 barattoli della mia meravigliosa caponata di carciofi che bisogna sgombrare la dispensa, ho preparato 30 vasetti di pere al vino bianco e cardamomo (sterilizzandoli prima) per raccogliere fondi per la radio, forse riesco a lavarmi i capelli, prenotare la macchina, passare da Giulia a prendere i libri che vuole donare per la raccolta fondi, raccattare costumi da bagno per i figli in preda ai giochi d'acqua per la festa della scuola, scaricare le cose per la serata all'Astarothteatro, ricordarmi di stampare il testo che leggerò, riportare la macchina, vestirmi, andare alla festa della scuola, scapparne via per andare al reading e rientrare non troppo tardi, ma già spero si facciano come al solito le due.

Solo che improvvisamente si è fatto vivo un nuvolone nero e brutto. Magari posso fare a meno di lavarmi i capelli? perché toccherebbe rientrare i cassetti che sto verniciando fuori e le vernici.

Buon venerdì sera a tutti and Thanks God it's Friday.

giovedì 24 giugno 2010

Venerdì: ULULATO DI PRIMA ESTATE (con Sol-S-Tizio incorporato)

Domani sera rifacciamo l'Ululato, ultimo evento pubblico della fondazione prima delle vacanze. Io arriverò scapicollata dalla festa della scuola, che qualcuno ha avuto la bella idea di spostare causa calcio e quindi stiamo tutti incasinati. Ma arriverò con un brano cattivissimo. ecco di cosa si tratta, nelle parole di Roberto, in arte Ruvy.

Ci saranno libri da portar via in cambio di un € 1 per le casse della fondazione. Se state ripulendo gli scaffali, portateci i vostri libri che avete deciso di lasciare andare via nel mondo.

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Dal 2004 l'Ululato ha conosciuto almeno 6 edizioni, da quello che posso ricordarmi. Tradizionalmente l'Ululato si tiene alla Libreria Bonardi e nasce come reading letterario con la formula open podium. Immancabilmente l'evento è cresciuto ed è arrivato a presentare veri act teatrali e musica. Ora per la prima volta Quelli di Astaroth portano l'Ululato all'ASTAROTHEATRO, volendo con questo sottolineare ancor più il carattere teatrale della serata. Eccovi titolo e breve presentazione di questo Ululato 2010:

UN ULULATO DI PRIMA ESTATE (con Sol-S-Tizio incorporato)
Venerdì 25 giugno ore 20.30 Sint Jansstraat 37 Amsterdam
Ingresso € 5 + offerta libera
Prenotazioni: http://www.ondaitaliana.org/Nederlands/site/Theater.htm o Tel. 06 25382491

...Dove durante una calda serata estiva si può trovare uno stimolante ed energizzante refrigerio fatto di rinfrescanti performances. Una serata varia ed eventuale per chi è assetato di proposte culturali a un buon livello: letture di poesia e prosa, musica e canzoni e chissà che altro!

Un piccolo aneddoto: quando nel 2003 chiesi ad una mia amica in Italia (Faenza) se potevo propore un breve reading letterario sul podio del suo bar (podio sul quale regolarmente si fa musica), lei mi rispose: Ma che cazzo di reading e reading vuoi fare? No, alla gente non frega niente di 'sta roba qua che vuoi fare tu. Dopo meno di un anno nasceva il primo Ululato ad Amsterdam come reading letterario. Un piccolo successo. Una mia piccola rivincita.

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Ruvy, io ci posso aggiungere solo questo: che in realtà per far funzionare una cosa del genere ci vogliono gli amici giusti, quelli che partecipano e quelli che vengono a vedere. e noi ce li abbiamo tutti e due (persino a Faenza, dai).

Una volta erano giardini

Vi giro esattamente come l'ho ricevuta, una mail di Francesco, si, quello della ricotta 2.0, perché è stata una cosa che mi ha suscitato 3000 riflessioni. Domande su cosa stiamo facendo, dove stiamo andando, che vita vogliamo. E mi viene da pensare se non si possa applicare anche a quelle terre che dice lui il sistema degli orticelli in affitto che si usa qui.

Perché quello che come lavoro non ti rende, come hobby e vocazione da fare nel tempo libero ti regala prodotti cresciuti da te, lavoro all'aria aperta e la soddisfazione di essere l'artefice del tuo cibo. Permette ai tupoi figli di capire da dove viene quello che mangiano, non perché la scuola li porta a vedere un film, ma perché glielo fai vedere e glielo insegni tu, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione.

Io ci sto pensando su, ma intento eccovi la mail di Francesco:


"Una volta erano giardini..
oggi sono distese incolte e cimiteri di viti estirpate.
Quelli che una volta erano contadini dal cervello fino ora sono persone demotivate in attesa di ricevere una buona e convincente offerta per coltivare pannelli fotovoltaici o pale eoliche..
E' tempo di trebbiatura del grano ed è un'ottima annata.. si producono 50 quintali per ettaro ma non bastano a coprire le spese vive considerato che se si è fortunati si vende a 14 euro al quintale.
L'uva, quando si vende, costa 25 euro al quintale, olive idem per non parlare delle aleatorie coltivazioni e quotazioni di ortaggi vari che hanno mandato sul lastrico tantissimi imprenditori agricoli.
Ed allora, come dargli torto?
5000-7000 euro all'anno per 25 anni per lasciare che i giardini diventino campi di pannelli fotovoltaici o parchi..eolici.
Ma quando li guadagnerebbero coltivando grano duro....

Non siamo contrari alle energie rinnovabili anzi i pali eolici tutto sommato non ci infastidiscono nemmeno alla vista.. ma non è possibile che si dimentichi la vocazione di queste terre.. di questi giardini.
Senza approfondire il discorso e soprattutto senza scavare sui guadagni a 6 zeri delle società del sole e del vento..
vogliamo soltanto lanciare la nostra sfida, una sfida Agrycult:

L'orto-giardino di Parco dei Buoi deve sopravvivere e rubare terra ai pannelli solari, aiutateci a trovare adesioni al nostro orto..
Grazie!

In questo video (non di alta qualità purtroppo ma ci stiamo organizzando) documentiamo quello purtroppo ed incredibilmnte sta succedendo,
http://www.youtube.com/watch?v=gn-vIYcTxdo&feature=player_embedded


Francesco"

mercoledì 23 giugno 2010

Operazione ricotta 2.0

Oggi vi lascio con un consiglio per gli acquisti: Francesco di parco dei Buoi, un'azienda agricola in Molise, ha lanciato una serie di prodotti freschi da ordinare e farsi spedire a casa. Per avviare l'operazione ricotta, mancano ancora 10 persone e siccome mi sembra una bellissima iniziativa per cominciare a mangiare cose fatte bene, invece di regalare i margini di guadagno alla grande distribuzione che sarà comoda, signora mia, ma sull'ampio raggio quanti danni che fa, specie ai piccoli produttori.

Io del Parco dei Buoi adoro l'olio e i salumi che mi hanno fatto assaggiare in fiera, quindi mi sento di segnalarvi la ricotta anche se per adesso non l'ho ancora assaggiata.

Qui tutti i dettagli e anche quelli della prossima iniziativa: l'orto d'estate digitale.

martedì 22 giugno 2010

Considerazioni orsesche sul proprio futuro

Ennio da venerdì sta male a intermittenza e stamattina ho deciso d'ufficio di non mandarcelo proprio a scuola. Così non devo ritirarlo a metà giornata o farlo vestire, portarcelo, per decidere che tanto vale che me lo riporti a casa. L'ho lasciato a letto con la coperta tirata sulla testa.

Cosa che mi offre delle belle routine mattutine rilassate con Orso, che è vero che comincia zombiesco però poi si scioglie. E mi racconta i suoi pensieri.
"Sai mamma, io non credo che diventerò un cantante da grande".
Come non mi diventi un cantante? E i progetti rocchettari con tuo fratello? che uno vuole fare il lead guitar e l'altro il batterista, e lumare le pupe e difendersi dalle groupies?

"Come mai, topo, non ti piace più?"
"È che io non so fare neanche una canzone".
"Ma hai tempo per imparare, ti eserciti. Senti, che ne dici se dopo le vacanze grandi andiamo a cantare con degli altri bambini? C'è un bel coro, così impari e ti diverti".

Ci pensa sopra perplesso.
"Ma lì non facciamo però le canzoni dei Metallica".
"Senti, lì intanto impari a cantare con le canzoni che fanno, poi se vuoi quelle dei Metalica ce le studiamo a casa".



Marco Spinello, mi senti? Non è che vi servono un paio di aspiranti cantanti quando fate le prove, voi metallari?

giovedì 17 giugno 2010

La giornata dei fortunelli



Io, mai stata brava in niente dove si vince. La mia prima partita a tombola, con i fagioli, a Pedicciano, nella grossa cucina di zia Vittoria e zio Ginetto, che avevo fatto un ambo o terno o quello che era e cercavo di farmi sentire da zio Giovannino che estraeva i numeri, niente, non mi ha manco vista. Ha vinto qualche adulto più assertivo di me.

Poi c'è di mezzo anche tutta la filosofia di mio padre, che comprava per tradizione un biglietto della lotteria di capodanno, ma niente altro.
"Tanto se la botta di fortuna proprio ti deve capitare, ti capita che tu lo compri o meno".
La filosofia di Gastone Paperone che il biglietto vincente gli sbatte in faccia portato dal vento.

E così, oggi che ha fatto caldo per quel che dura (sabato 14 gradi, che faccio, mi iberno?)e pur tornando da scuola con i bambini in bici ho saggiamente rinunciato a checchessia attività (e ne avevo un paio in mente, meno male che ho soprasseduto) per arrivare a casa, montare una tenda in giardino per le belve e schiantare a letto, prima di tutto ciò due signore in grembiule rosso all'angolo della strada mi mettono in mano un depliant.

Ed era di una cosa che proprio domenica i miei quasi vicini con figlia a scuola con i miei, grafici artistici pure loro perché se non sono artisti non li vogliamo, mi avevano parlato di questa iniziativa del centro di quartiere, proprio di fronte a casa nostra.

Resto van Harte, ovvero il ristorante di cuore, che ogni mercoledi e giovedì serve cene da tre portate a € 5 a testa, in grandi tavolate, cucinate e servite da volontari, e stasera insomma, con la partecipazione della lotteria del CAP, che sembra un insulto ma è solo la Postcode loterij
, la cena costava € 3. E la povera mamma stanca che sa che il padre si cucina da sé in questi giorni e torna pure tardi, non le è sembrato vero convincere i figli ad andare a provare la cena egiziana di fronte casa.

Schiodarli dal computer è stata la solita impresa improba maaaaaaaa.....

Questi della Postcode Loterij avevano fatto le cose in grande. Un Bingo tra una portata e l'altra, il cantante con tastierista un paio di imbonitori che ci sapevano fare e lo facevano con gran gusto. I miei figli concentratissimi sulle cartelle della tombola. Il primo premio, una bici strafiga della lotteria, che da sola avrebbe potuto risollevarmi dal furto della bici-carro.

"Ragazzi, noi andiamo per la bici".
"Siiiii". (non l'abbiamo vinta ve lo dico subito, che dopo tutta la tensione fatta montare ad arte non la reggo più nella vita).

Il primo bingo è mio, un pallone regolamentare cucito a mano d'oro con relativa pompa. Pompa dotata di tre beccucci di cui orso ne ha già fatti fuori due senza per questo averla gonfiata.

La bici l'ha vinta un signore, ma per poco.

Poi un bel bingo lo fa Orso, esita ad andare e il fratello gli strappa di mano il biglietto e corre sul palco, lui si mette a piangere, una delle volontarie carucce al nostro tavolo che aiutava i bambini a controllare i numeri se lo prende per mano e lo porta. Quando capisco che sta per toccargli il secondo pallone d'oro intervengo (anche perché a quel giro di bingo ce n'erano 4-5 e solo perché Ennio era arrivato per primo a spingere il biglietto in mano allo scrutatore mo una mica si può allargare, che queste cene sono per la coesione nel vicinato).
"Ragazzi, voi un pallone ce l'avete, vogliamo darlo a qualcuno che non ce l'ha?"

Immediatamente gli mettono in mano una scatola di dolci vari tipo Mars, Milky way ecc. e una maglietta arancione che gli arriva a metà polpaccio con sulla schiena il 14 di Cruyff. Felice come una Pasqua lui, io pure che gli ficco la maglietta addosso prima che servano il piatto principale e si spatacchi.

La commensale caruccia per compensare mi rifila anche una borsetta, devo dire carinissima, color sabbia, che ci farò l'estate. Le penne extra le avevano già.


Abbiamo anche ballato


Baffetto languido è quello che ha dato l'avvio alle danze, schiodando le persone dalla sedia una ad una.

Sentite, ve la faccio breve perché ci hanno riempito di premi. Tutti i commensali sono tornati a casa con un cappellino arancione (tre),
che bisognava mettere e togliere per dare le risposte a un quiz e trovo che la signora qui sopra era quella che gli stava meglio di tutti, la maglietta idem (quattro in totale) e una busta con due biglietti gratis per il cinema da lunedi a giovedì a testa (ho sei biglietti da consumare entro il 29 giugno e mi sa che faccio una carrettata di bambini un mercoledì pomeriggio).


Ballando gli è passato il dispiacere
Ennio ha scoperto il campetto di calcio dietro, ha provato a fraternizzzare ma erano tutti ragazzi grandi che lo hanno messo in porta e lo hanno fatto nero di pallonate ('sti megastronzi, pure loro) per cui è riuscito piangendo, ma poi è tornato a guardare e gli ho spiegato che dopo le otto di sera ci stanno solo i grandi, ma il pomeriggio ci saranno bambini più piccoli e potrà giocare con loro.

E già che ci siamo i maschi sono belli che equipaggiati per andare sabato con padre e zio Tjibbe, fanatico di calcio, a vedersi la poartita contro il Giuappone sul megaschermo in un qualche caffé che sa lo zio, così tutti arancioni mi si mimetizzano nella folla e si divertono pure.

Tanto lo so cosa mi diranno al ritorno, scandalizzati:
"Mamma, bevevano tutti la birra".

Che se c'è una cosa formativa del calcio in questo paese è quando vanno in massa al caffé a guardarsi la partita.

Grata e riconoscente perché gliel'ha organizzata qualcun altro, io sabato mi defilo, che ho la prova della pecorina a teatro.

Esercizi di autonomia


Manco a farlo apposta, Piattinicinesi lancia il tema di ansie materne VS autonomia dei figli proprio in questi giorni in cui qui si fanno prove tecniche di andare a scuola in bicicletta.

La premessa è che da qualche giorno c'è il sole, fa freddo ma c'è sole ed io esco sempre con quel golfino in meno che poi mi servirebbe tutto, ma vabbé. E mi sono pure rimessa a fare sorverglianza a scuola che ce n'è un gran bisogno. Il che mi complica la logistica e spezzetta le giornate.

Risultato, ieri siamo andati a scuola in bicicletta. Già uscendo di partenza quei 5-8 minuti di ritardo per perdere il traghetto, e con Orso che avrà anche tanta buonba volontà ma ha fatto troppa poca pratica senza rotelle. Nel senso che come ha imparato ad andarcio senza la bici si è rotta, è arrivato l'inverno ecc. ecc. e sulla bici non ci è salito più.

Come è andata ieri, per i masochisti, lo spiego dopo, dico solo che stamattina avevo rinunciato a rifarlo, ma Ennio ha insistito per andare da solo, e io l'ho accompagnato al traghetto, l'ho portato di là, gli ho raccomandato di salire in bici solo dopo aver superato il semaforo per i pedoni che vanno in stazione e che di mattina sono particolarmente furastici con i ciclisti che gli bloccano il passaggio, e vai. Dietro seguiva la madre diSterre con i suoi di figli e le ho chiesto di controllare per me a scuola che fosse arrivato. Mi è appena arrivato un sms di conferma e sto respirando. Orso invece è andato in macchina con la vicina.

Il capo è tutto contento, perché allora dal prossimo anno possiamo mandarli a scuola in bici anche da soli, che con orso non so, ma di Ennio mi fido.

Orso, ah, Orso, invece, che giornata campale ieri per la povera mamma (ma anche per lui, che però a mia differenza ne è uscito trionfante e rassicurato, io rassicurata e distrutta).

Intanto Orso ha imparato a partire senza spinta sulla schiena, ma continua ad impuntarsi come un mulo nei momenti più imprevisti, una sta lì bella pedalante ringraziando il signore che finalmente si è preso un po' d'avvio almeno fino al prossimo semaforo e trac, nel bel mezzo del nulla, lui inchioda. che sarebbe una cosa da niente se non ti trovassi sul tratto di pista ciclabile dietro la stazione alla discesa del traghetto, praticamente la tangenziale all'ora di punta e un'infinità di gente in ritardo per il lavoro e incazzata di suo che ti pedala alle spalle.

Spiegagli l'utilità di mettersi di lato prima di frenare e se non c'è spazio aspettare per farlo che ce ne sia. Capisce e onestamente ci prova pure.

Poi c'è il fatto che i ponti gli fanno paura. Gli fanno paura in discesa, che lo capisco benissimo, anche se ogni volta gli ripeto che andare in discesa è più facile che andare in piano (e poi, discese, discese, ma che scendere da un ponta di Amsterdam è una discesa?)

Gli spiego che quando la discesa comincia a diventare veloce, deve frenare un pochino. La prima volta inchioda e praticamente si ribalta oltre la bici. Poi capice e comincia a dosare. Se non si distraesse troppo, come alla discesa dopo la scuola che è finito addosso alla bici di una signora perché guardava altrove, potrei dire che ci siamo.

Ma per motivi che non ho ancora capito bene i ponti gli fanno paura anche in salita. Insomma, a 50 metri dalla stazione tutta un sali, spingi, riparti, incoraggia, scendi, risali, Ennio si è stufato, ha chiesto se poteva andare avanti da solo, gli ho detto si, ma aspettaci al semaforo e via, ho rivisto la sua bici parcheggiata a scuola molto tempo dopo e ho capito che era arrivato pure lui. Con Orso siamo arrivati con 25 minuti di ritardo, ma la maestra gli ha fatto i complimenti per aver pedalato tutto da solo.

"Ennio è entrato ma stava incazzato nero perché era in ritardo", mi avverte l'amica Monique che mi vede arrancare alla fine. Due minuti, che sarà mai.

Poi di corsa in ufficio per una traduzione urgente che avevo appena finito ma non mandato, perché il mio computer è morto in quel momento. Ma proprio morto. Il caricabatteria pare non carichi.

Era un lavoro da 10 minuti, per cui ho chiamato l'agenzia, ho spiegato la situazione, mi sono scusata e le ho proposto o di chiedere a qualcun altro o di farmi sapere che tentavo di correggere e rispedire su I-phone. Non c'è stato problema, il che mi fa chiedere: ma io tutti quegli anni in cui mi rovinavo fegato,nervi e salute e correvo come una pazza di qua e di là per risolvere questo tipo di cose a costo di rimanerci dallo stress, io questi anni qui, quando mai li recupererò?

E meno male che sto imparando a fare diversamente e non credere che siccome sono Wonderwoman A ME LE CAUSE DI FORZA MAGGIORE NON DEVONO CAPITARE e se mi capitano meglio morire nel tentativo di risolverle che ammettere che tutto non posso fare.

Poi recupero i figli, li rimetto in bici, andiamo allo zoo, altra via crucis perché Orso di certi tratti di strada aveva paura. Il punto è che lui anche in bici vorrebbe andar piano per godersi la strada e guardarsi attorno, ma non sa andare piano e restare in equilibrio, sbanda da morire e si impressiona e mi tocca dirgli tutto il tempo di pedalare forte così sta su.

Ci siamo accordati che in certi punti gli sarei andata di fianco per spingerlo e sostenerlo nel fare le curve, in altri io andavo avanti, lui mi seguiva e Ennio chiudeva la coda per avvertirmi se c'erano intoppi (e ce ne sono stati, e quanti, oh yeah!)

Siamo andati allo zoo, ci siamo divertiti, ho preso il sole, ogni tanto incrociavamo mezza scuola in festa di compleanno lì e non ho invidiato per niente quei genitori.

Poi siamo andati in centro al giardinetto giochi segreto dietro al Crea che gli avevo promesso (strada deviata, vai per i canali, per i ponti in salita e quelli in discesa e i turisti quali pecore al pascolo), poi siamo sopravvissuti pure a quello, ho recuperato il computer cadavere dall'ufficio, siamo arrivati attraversando la bolgia dantesca che è la stazione davanti, in pieno giorno, siamo arrivati al traghetto per NDSM, quello lungo che non prendiamo mai, da lì ho fatto mente locale su come arrivare in piscina senza navigatore, abbiamo fatto nuoto (la prof, santa donna, ha invitato Ennio a partecipare gratis alle lezioni fino alla fine dell'anno scolastico, ancora 2 o 3, per vedere se dopo vuole continuare lì, geniale, dico io, geniale).

Poi si è posto il problema, alla fine della giornata, di tornare a casa e io a quel punto ero morta, perché dalla mattina mi trascinavo sulla schiena computer, roba da nuoto, libro, provviste, spingevo la bici di Orso, morivo di patemi vari a ogni incrocio e ogni semaforo.

Invece, sarà il sole, sarà che dopo le 18.30 le infinite zone industriale e darsene che abbiamo attraversato sono deserte, siamo arrivati tranquilllamente a casa con pochissimi intoppi, abbiamo mangiato pasta col pesto, che io lo dico sempre che quando non hai voglia di cucinare l'importante è aver fatto la spesa e io ho un mazzo di basilico bellissimo avanzato dai festeggiamenti compleannizi, ci siamo schiantati tutti a letto dopo aver raccontato la storia della settima principessa (e per fortuna nessuno in queste due settimane abbiamo saltato la quinta) e avendo finito anche gli oggetti d'oro da riportare in questa queste su cui si basava la storia ho deciso che dopo la coppa d'oro, la spada d'oro, lo scudo d'oro ecc. questa qui doveva trovare e riportare dei denti d'oro (e poi ha sposato il dentista e non il principe a cui aveva fatto un tatuaggio, 'ste principesse moderne).

Adesso mi chiedno l'equivalente con 7 principi maschi e almeno uno deve riportare un anans d'oro. Si prevedono serate narrativamente interessanti, spero mi resti la forza di continuare ad andare in bici.

mercoledì 16 giugno 2010

Perdere il padre

Mio padre è ormai morto da 15 anni e mi ci sono voluti tutti. Mi ci sono voluti tutti non solo per dare un posto al mio quotidiano senza di lui, ma anche per scendere a patti con il fatto che non ci potevo più litigare. Non potevo più contestarlo. Rimproverargli quella cosa che aveva detto o fatto e che mi era costata tanti patemi e decisioni sbagliate nella vita.

Oh, io fino a un paio di anni fa, ma cosa dico, ancora adesso a volte mi ritrovo a litigarci nlla mia testa a rimproveragli cose che da vivo e al momento opportuno non ho potuyto fare, a incazzarmici. Con tutto che la prima cosa che ho pensato davanti a quel letto in terapia intensiva era la gratitudine per essere tutti in pace tra noi, che ci sono famiglie che un letto di morte si sbranano, mi dicono, e invece noi ci siamo sentiti ancora più uniti.

Io poi ero veramente un caso limite di daddy's girl, amore folle fino all'adolescenza per poi piombare nella contestazione ad oltranza. Mio padre in fondo è sempre stato una compagnia piacevole e mi ci sono fatta tante risate, solo che, povero, veniva (e si era notevolmente affrancato, c'è da dire pure questo) da un ambiente e una mentalità che sono anni luce dalla mia. Insomma, il modello dell'uomo e del tipo di relazione che non avrei mai voluto per me, e infatti si vede, mi sono sposata il capo.

"Ma insomma, Freud l'avrai pure letto" mi disse la compagna di studi olandese, quella che sarebbe andata in Italia al mio posto con lo scambio Erasmus e che mi aveva invitata a cena insieme all'altra studentessa con cui sarebbe partita per saperne di più su cosa aspettarsi dall'Aquila.

Chiacchierando chiacchierando avevamo iniziato a tirar fuori le foto degli sposi e alla mia Yvonnefece di botto: "Ma questo è Berend".(Ci era andata insieme al liceo).

Gertrude le prese la foto: "Ma è vero, è proprio Berend".

Che anche Groningen in fondo era una piccola cittadina universitaria dove tutti conoscevano tutti, o almeno gli studenti di lettere. E dal fidanzato al padre, e dal padre alle differenze tra i due, ecco Yvonne mi ricordò Freud.

Insomma, per dire i modelli maschili con cui una cresce, e come influenzano le tue scelte sentimentali.

"Tuo padre è un fascista" si sfogò in un paio di occasioni il Berend in questione ai primi tempi di quella che mia nonna chiamava "l'amicizia".
"Ma no, ma no, poveretto, è che proprio non ci arriva".

Il bello è che i modelli maschili e femminili della tua vita certe volte, anzi sempre, non si limitano ai tuoi genitori ma inglobano i genitori dei tuoi amici.

Diciamo la verità, quanti di noi figli di madri che lavorano invidiavano segretamente le amiche con le madri che stavano a casa e quindi sempre a disposizione come autista, confidente delle amiche, stiratrice eccetera eccetera?
Io questo ce l'avevo molto con la madre di Monica, ma c'è da dire che tra me e lei c'era anche un'affinità di carattere che aiutava. E anche lei riconosceva nei conflitti con mio padre delle cose che lei aveva con il suo.

Però ci sono anche i padri delle amiche, quelli ironici, intellettuali, che ti passano tutti i libri e la musica che ti formano. Quelli che non urlano, che sono distaccati, che sanno dare i consigli senza parere. Quelli che delle volte capisci pure che hanno i loro limiti nei confronti delle loro figlie tue amiche, come tutti i padri e per carità il tuo è sempre meglio, però delle volte ti chiedi davvero: dove sarei adesso se avessi avuto un padre così invece?

Per questo quando la tua migliore amica, e in fondo tutta la famiglia tua migliore amica perde un padre, un po' è come se lo avessi perso anche tu.

E ti dici: ma se quella volta fossi andata a trovarlo, ma quante volte mi sono detta, sapendo che stava male, che mi sarebbe piaciuto andarmici a fare una bella chiacchierata, che diceva sempre cose interessanti.

In quest'ultimo anno, che in Abruzzo ci sono stata così tante volte, me lo sono detta spesso, ma la vita mi inseguiva. E dovendo scegliere sceglievo di stare con sua figlia, che è pur sempre la mia migliore amica. A cui in questo momento vorrei davvero tanto essere vicina fisicamente, e non posso.

E quanto mi dispiace che sapendo che quello era il destino, non sia potuto morire in pace nella sua L'Aquila e neanche a Francavilla, ma sia stato sbattuto a Padova, così lontano o fuori strada per tutti quelli che gli volevano bene.

Perché quando insegni tutta la vita in un liceo della piccola città, beh, è un po' come la storia di Berend che a Groningen lo conoscevano tutti. Anche a Piero all'Aquila lo conoscevano tutti. Non ci si potevano fare 20 metri in centro perché ogni centimetro qualcuno lo riconosceva e attaccava bottone.

Ce ne sono di persone a cui hai messo in mano un libro risolutivo per il loro diventare adulto, a cui hai dato consigli fondamentali e lezioni impagabili. E adesso sono tutte sparse e comunque tutte lontano e manca quel passaparola della comunità perché non c'è neanche la comunità.

Grazie Piero Vicari, grazie professore per Zazie nel metro e Gli esercizi di stile, per tutto Pennac, per la Beat generation, per il Sing Out, e per aver potuto condividere la tua casa e la tua tavola e tutte le fantastiche conversazioni attorno alla tua tavola negli anni più formativi della mia vita adulta. E grazie per tua figlia Barbara e per quello che è anche lei.

A Barbara, Letizia, Giuseppe e soprattutto alla signora Leonilde non so proprio cosa dire, se non grazie anche a voi. E che mi dispiace e che anche se è poca cosa rispetto a quello che provate voi, lo sto piangendo un pochino anch'io e già mi manca. Immagino voi.

martedì 15 giugno 2010

Trattative con la fata del dente


A casa nostra siamo un disastro. Non siamo riusciti a conservare manco uno dei denti da latte dei bambini, ce li siamo sempre persi in men che non si dica e quindi è toccato sempre lasciare letterine di giustificazione alla fata del dente sotto al cuscino. Devo anche dire a onore della fata che le ha sempre accettate e lasciato i soldi.

Ultimamente a Orso dondolava un incisivo. Lui di solito si impressiona, ma stavolta era anche contento ed eccitato. Finché l'altra sera all'IKEA, mentre stavano mangiandosi l'hot dog, l'incisivo in questione è caduto, l'ho prontamente riposto e sta ancora lì, avvolto in un tovagliolo, nel vano monete del mio portafoglio.

Adesso toccherebbe ritrovare la famosa scatolina in legno con su il mio primo dentino che qualcuno mi ha regalato quando ero incinta e che ultimamente sia a me che al capo sembra di aver visto in giro.

"Mamma, io però questo dente non voglio darlo alla fata, voglio tenermelo. Lo trovo splendido."

Abbiamo fatto un patto con la fata e ci siamo ricomprati noi il dente. Il capo ha versato a Orso in contanti il premio-dente (€ 2) e pace.

Decisamente a casa nostra non ci crediamo noi per primi a queste cose.

Il fatto è che a casa mia il dente andava lanciato sul tetto: dente in cime aju titte, dente dritte sentenziava mio padre e, devo dire, i denti più dritti del capo in effetti ce l'ho. Mi sa che se non trovo in fretta la scatolina lancio anche questo sul tetto.

lunedì 14 giugno 2010

Il (buon) senso perduto di Susanna Tamaro

Sul Corriere leggo l'articolo di Susanna Tamaro che vi riporto di seguito.

A parte che ogni paio d'anni mi rileggo qualcosa sul corriere e ogni volta mi ricordo perché in realtà cerco di non leggerlo, e che questo è un tipico articolo da Corriere che mi fa passare la voglia di leggere il Corriere, ma:

DI COSA PENSA DI STAR PARLANDO LA TAMARO?


Qualcuno me lo spieghi perché io davvero non capisco. Per spiegare bene la ripugnanza che mi suscita il testo che segue dovrei rileggerlo alcune volte e in questo momento non ho voglia di fargli l'esegesi. Non ho voglia di prendere un paragrafo alla volta e spiegare perché a mio avviso è pieno di errori logici, mancanza di buon senso e impregnato invece di un insopportabile paternalismo.

Vi invito, se ne avete voglia, a leggerlo e dirmi che effetto fa a voi.

Vorrei dire solo una cosa, quella che non c'entra a mio avviso con la maternità, ma con il piacere sessuale, su cui mi pare siano incentrate la maggior parte delle non-argomentazioni: la domanda "dove sono Giulietta e Anna Karenina" è malposta e soffre di quella che io chiamo la sindrome Santa Maria Goretti. Santificata perché meglio morta che sverginata (come vedete non ce l'ho con la povera stella, che la capisco tutta, ce l'ho con il mercimonio che è stato fatto da parte della chiesa cattolica del suo omicidio a favore della retorica della repressione sessuale femminile).

Cara Tamaro, io non so lei dove li abbia letti i suoi classici, ma non mi risulta che né Anna Karenina né Giulietta siano morte vergini, anzi, mi pare anche che siano le eroine della passione accettata e vissuta in barba alle convenzioni e alle conseguenze disumane che queste ponevano alle stesse. Una passione che hanno pagato con la morte.

Come dicevo prima, un sacco di incongurenze su quest'articolo, come se le madri avessero bisogno pure di questo tipo di pubblicità tendenziosa. Perché a me piace ricordare che sia solo statisticamente le donne e i bambini seviziati, torturati, stuprati e ammazzati da uomini (da padri e mariti più spesso che da estranei o dal pazzo di passaggio) sono in numeri tali, che prima che le madri ci si avvicinino solo lontanamente, ci vorrebbe un'ecatombe, che peraltro nessuno auspica. Un'ecatombe che non c'è, e allora, questo articolo che senso ha?

Basterebbe un po'di buon senso. Mi dite la vostra e ne parliamo?

Donne che uccidono i figli
Il senso (perduto) della maternità

L'evoluzione dei costumi ha trasformato l'universo femminile nel clone di quello maschile

di Susanna Tamaro

Sempre più spesso, negli ultimi vent’anni, la cronaca testimonia casi di madri che uccidono i propri figli. Non uccidono solo neonati - cosa che rientra nelle patologie comprensibili della depressione post partum - ma uccidono bambini di sei, otto, dieci anni, bambini per i quali hanno preparato le torte di compleanno, a cui hanno insegnato a camminare e con cui hanno condiviso le fantasie e i sogni sul futuro. A Faenza, una donna italiana, impiegata e regolarmente sposata, all’insaputa del marito - che ignorava la sua gravidanza! - ha partorito di notte nel bagno, nascondendo il bambino in un sacchetto di plastica con l’idea di sbarazzarsene. Pochi giorni fa a Rieti una madre ha lanciato la propria figlia di sei mesi dal balcone, mentre a Vicenza un’altra donna ha aggredito con le forbici la figlia di nove anni che stava andando a scuola, prima di gettarsi dal terrazzo. A Venezia, un marito è tornato a casa e ha trovato il figlio di sei anni soffocato e la moglie impiccata a una spalliera. Le madri uccidono, si uccidono e spesso vengono anche uccise dai loro compagni e mariti. Non c’è giorno in cui la cronaca non ci segnali il caso di qualche omicidio compiuto da uomini incapaci di accettare una separazione. La persecuzione degli ex, o comunque le molestie ossessive, sono diventate un fenomeno così dilagante e pericoloso da richiedere ormai una legge ad hoc.

Infanticidio e benessere
Naturalmente l’infanticidio è sempre esistito, l’ecatombe di figlie femmine che ancor oggi si perpetua in molti paesi orientali non fa che confermarcelo. In tempi passati, però, apparteneva soprattutto a realtà di degrado e di povertà, ma questi omicidi che popolano le cronache con sempre maggior frequenza sono omicidi compiuti in situazioni di benessere materiale. Non c’è una carestia che incombe e un’ennesima bocca che urla implorando cibo, non c’è la disperazione della donna sola, lontana dal suo paese, culturalmente incapace di informarsi sulla possibilità di lasciare anonimamente il proprio figlio in ospedale. Ci sono invece case Ikea sullo sfondo, villini con giardino, appartamenti dignitosi, mariti che lavorano. E allora? Da dove viene questa onda nera che offusca, travolge, distrugge quello che dovrebbe essere l’istinto più forte di una donna? Perché le madri uccidono? Cosa si nasconde in questo che le cronache definiscono «insano gesto?». Negli ultimi trent’anni ci sono stati così tanti e rapidi mutamenti sociali e culturali che è difficile mettere a fuoco un solo elemento scatenante: a partire dagli anni ’70 è avvenuta un’evoluzione dei costumi che ha stravolto i rapporti tradizionali tra uomo e donna, cancellando quello che, fino ad allora, era stata la struttura classica della famiglia. Da questa rivoluzione, eravamo certi, sarebbe nato un mondo più giusto, un mondo in cui le donne avrebbero smesso il loro ruolo di vittime per diventare protagoniste piene della realtà e compagne consapevoli dei loro partner. Anche gli uomini, infatti, erano mutati, avevano abbandonato i lati più retrivi del loro carattere ed erano pronti, senza più pregiudizi, senza più gelosie, ad affrontare i tempi nuovi che si affacciavano. A distanza di quarant’anni da allora, al di là delle indiscusse e indiscutibili conquiste delle donne, una cosa è evidente ed è che il modello femminile si è inesorabilmente conformato a quello maschile. Siamo conformi perché, come ho già detto, l’immagine che i media propongono di noi - a cui una buona parte delle donne consapevoli cercano strenuamente di resistere - è quello di una femmina puro oggetto di piacere e di seduzione. Siamo conformi perché l’aver liberato la sessualità dalla procreazione ci ha reso altrettanto libere dei maschi. Possiamo realizzarci, avere diverse storie secondo l’estro e l’umore, senza che questo coinvolga l’affettività, così come avviene nei maschi per i quali avere un’avventura non è che uno sfogo della loro esuberanza. Abbiamo imparato a gestire la nostra fertilità, facendo scivolare la maternità in coda alle priorità della nostra vita, salvo poi farla diventare un’imperiosa necessità quando ci rendiamo conto che l’orologio del tempo ha accelerato i suoi battiti. In qualche modo è avvenuta una sorta di pornografizzazione della società. Tutto sembra girare intorno al sesso - ad un sesso esibito, parlato, vissuto, consumato, condiviso. I giornali per adolescenti parlano di orgasmi come fossero scampagnate in bicicletta. Non c’è divo o diva che non racconti ai quattro venti le sue abitudini sessuali, il come, il quando, con quante, con quanti. Come non c’è - quasi - giornalista, lo dico per esperienza personale, che non ti faccia domande sulle tue preferenze sessuali. Sembra che il sesso sia l’unico grande pensiero dei nostri giorni e il piacere il pifferaio magico a cui tutti corriamo dietro estasiati. Anche in questo, i giornali e le riviste ci aiutano. Quanto hai goduto? Come hai goduto? Hai trovato il punto G, punto F, punto K? Sei nella norma, lui è nella norma? E la norma, cos’è? Uno, due, tre orgasmi per notte?

Anna Karenina, Giulietta dove siete?
Nella letteratura - che in questo si dimostra specchio della società - non va certo meglio. Non c’è romanzo che non contenga tediosissime pagine di descrizione di rapporti, di umori corporei, di dettagli anatomici, inframmezzati magari da penose osservazioni messe lì per cercare di far lievitare la pornografia in arte. Anna Karenina, Catherine Earnshaw, Jane Eyre, Giulietta, dove siete? I grandi amori contrastati, i grandi amori vissuti nell’ombra, nella difficoltà, hanno creato una letteratura indimenticabile, gli amori avviliti dal cronometro e dai dettagli anatomici provocano soltanto una noia profonda. Il piacere è il democratico tiranno dei nostri giorni. Sembra che l’uomo debba esistere e realizzarsi unicamente dalla cintura in giù, come se improvvisamente sul mondo si fosse sparsa una polverina magica, capace di trasformare gli esseri umani in un esercito di mandrilli in libertà. Ma, a parte i lati comici di questa ossessione collettiva, in una tale visione dell’attività sessuale è racchiusa una estrema povertà. Il livellamento obbligatorio - per cui o fai sesso o non esisti - mistifica quella che è una delle componenti più importanti dell’uomo, quella erotica. Ognuno di noi ha una diversa propensione all’eros, per alcuni è una forma di energia straordinaria, per altri più moderata, mentre per altri ancora è ininfluente nell’equilibrio della loro vita. L’eros è sempre un elemento della complessità della persona, e non solo cambia da individuo a individuo, ma può cambiare, nello stesso individuo, nel corso della sua vita. Tanto il piacere è una banderuola a cui affannosamente corriamo dietro, altrettanto l’eros è una realtà che ci precede, ci compenetra e dà un orizzonte ai nostri giorni. Noi siamo qui grazie all’eros dei nostri genitori, e grazie alla nostra forza erotica siamo capaci di progettare un futuro. L’eros, come ci ricordano tutte le culture dell’uomo, non è una forza indistinta, un magma senza volto, bensì il differenziarsi dell’energia primordiale in due forme contrapposte e pur tuttavia complementari: il femminile e il maschile. Tutto il vivente - a parte le forme ermafrodite appartenenti ai livelli più semplici della vita animale e quelle simpatiche patelle capaci di cambiare sesso in virtù del loro compagno - si manifesta ed evolve secondo questa polarità. Come nel simbolo dello yin e dello yang, ogni femminile deve contenere un punto di maschile, così come ogni maschile deve contenere un punto di femminile. Il momento in cui questa polarità si annulla, la forza erotica si inceppa, inciampa, casca, il suo infinito orizzonte si trasforma nella condominiale balaustra del piacere. Gli effetti della promiscuità obbligatoria, unite alla forza plasmante del consumismo, ci hanno subdolamente privato della nostra natura più profonda, trasformandoci in affannati cloni del modello maschile. Ma anche all’uomo non è andata molto meglio: privato di un vero femminile, si è sentimentalizzato, perdendo quelle prerogative positive implicite nella sua natura paterna e virile. Noi stesse per anni abbiamo in fondo voluto ignorare la nostra natura perché ad essa associavamo un’idea culturale di fragilità, di rassegnazione e di sottomissione che mal si conciliava con il nostro desiderio di libertà e di emancipazione. In questo rifiuto, non ci siamo accorte che tranciare così drasticamente le nostre radici non era molto diverso dal tagliare i capelli di Sansone. Senza spirito materno, ogni forza è perduta, perché è vero che le donne hanno una forza straordinaria, ma questa forza discende direttamente dalla capacità di accogliere e far crescere la vita. Tutte queste persone travolte dall’infelicità, dall’incapacità di mettere a fuoco i propri sentimenti, queste madri trasportate come foglie dal vento, senza più stabilità, senza più una vera ragione per vivere, non sono forse donne private del senso profondo del loro essere al mondo? «L’amore richiede forza», scrivevo in Va’ dove ti porta il cuore. Ed è proprio la forza la caratteristica dello spirito materno, la forza di questo amore capace di abbattere ogni ostacolo, di andare sempre avanti, senza scavalcare, senza aver fretta, ma accompagnando. Questo amore - da cui nasce ogni altro amore - è l’amore materno, perché la maternità non è un’ennesima tecnica da applicare al nostro corpo ma qualcosa che ci trascende, che ci lega misteriosamente all’essenza del nostro esistere. Senza questa consapevolezza, l’avere figli non diventa che un atto come un altro, e un figlio non è che un oggetto che può trasformarsi in un gioiello da esibire ma anche in un peso che non siamo più in grado di sopportare perché ci impedisce di realizzare i nostri sogni. Un peso che a volte non sopportiamo più, così come non sopportiamo noi stesse. Ci sentiamo sole. Per questo ammazziamo i nostri figli, per questo ci ammazziamo. Recidendo questa radice profonda, la nostra vita non è molto diversa da quella dei cumuli di foglie che il vento sposta in autunno.

Lo spirito della maternità
Non si tratta di tornare all’angelo del focolare, ma semplicemente di capire che la centralità della nostra vita di donne è lo spirito della maternità. Ripartire da lì. La maternità. Questa maternità, però, va intesa in senso nuovo, ben al di là della mera capacità fisica di procreare. Si può infatti non aver generato ed essere colme di maternità, come si può essere madri biologiche ed esserne totalmente prive. Questa società così fredda, così necrofila, così impaurita, così cinica - e allo stesso tempo così travolta dalle sbornie del sentimentalismo - ha paura dello spirito femminile perché questo spirito, che è concreto, attivo, la spingerebbe in una direzione opposta. Tornare alla nostra vera natura vuol dire rimettere al centro dei nostri giorni una forza armata di dolcezza. Vuol dire collaborare, invece di competere, saper accogliere e accudire tutto ciò che è piccolo e bisognoso di protezione, tutto ciò che è fragile. Sapere che il grande sforzo - quello che giustamente assorbe ogni nostra energia - è quello della crescita, perché costantemente cambiare, costantemente crescere è il senso di ogni essere umano e di ogni nuova vita che viene al mondo.

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14 giugno 2010

Il dolore del genitore orfano

Io ricordo di aver scritto un post una volta sui bambini che non ti nascono e Serena di Genitori crescono a suo tempo l'ha letto. Io non sono più riuscita a trovarlo, anche se un po' l'ho cercato e ricordo che in quel periodo e in quell'occasione qualcuno mi scrisse: "se perdi i genitori sei orfano, se perdi un compagno sei vedova e se perdi un figlio? Non sei niente". E l'ho trovata un'osservazione molto saggia, da cui il titolo di questo post.

Poi un pochino di tempo fa Serena mi ha chiesto di scrivere un brano sull'argomento del lutto dei genitori, l'ho fatto di getto altrimenti sapevo che non ce l'avrei fatta, ed eccolo qui, me l'hanno pubblicato da loro.

Io queste donne le devo ringraziare, Serena e Silvia, perché affrontano sempre tanti argomenti che a me come genitore sono utilissimi, perché delle volte mica possiamo tutto stare il santo giorno appresso a Google in cerca di soluzioni per l'acqua calda?

E proponendo per questo mese un argomento per molti doloroso, forse per molte più donne di quanto pensiamo o di quanto lo ammettano loro, hanno fatto una cosa utilissima.

Non dobbiamo aver paura del nostro dolore. È vero che per andare avanti certe volte lo nascondiamo in un armadio profondo, ma a me ha fatto molto bene scrivere e poi rileggere questo post per loro. Mi ha fatto piangere, una cosa che amo e trovo tanto liberatoria, ma che per tanti motivi mi impedisco sempre di fare.

E quindi, carissime, vi ringrazio per il favore che mi avete fatto a farmi cacciare per un attimo dall'armadio il mio fagotto, perché farlo ogni tanto fa bene e mi costringe a guardare con altri occhi alle cose belle che la vita mi ha regalato, ovvero i miei maschi.

sabato 12 giugno 2010

Regalo di compleanno e considerazioni sul design olandese


Questo è uno dei collier di Esther Bousché, e dai maschi me ne sono fatta regalare uno della stessa serie che devo ancora fotografare, ma giusto per dare un'idea.

Esther gioca con alcuni dei simboli stereotipi dell'Olanda (gli zoccoletti, la ceramica blu di Delft, le teiere) assemblandoli a elementi di gioielli vintage, pietre dure e argento. Per questo sono tutti dei pezzi unici.

In genere fa collier più corti del mio, questo era stato fatto su richiesta da parte di qualcuno che poi è sparito, e a me piace perché visto che non sono un donnino smilzo una collana più lunga è più in proporzione, e inoltre non mi ci vedo a circolare con teiere e tazzine al collo.

L'alternativa erano un collierino troppo sottile e corto, con un bel tulipano stilizzato con brillantino che piaceva ad Orso (e che, devo ammetterlo, per essere un tulipano col brillantino non era neanche male), e un altro collier con delle rane che piaceva al capo.

Quando sono andata controllare di persona la signora di Thinking of Holland, il negozio di souvenir di design tra Passenger Terminal e hotel Movenpick dietro la stazione a est, mi ha sconsigliato le rane. Secondo lei per quello che costava non valeva la pena ed infatti erano di plastica, il capo l'avva visto in vetrina e non se ne era accorto, pensava fossero in metallo. che la plastica sul collo, dio mio, specie in estate non è il massimo e io non ho più l'età per i gioielli in plastica (be, alcuni però si).

In realtà c'erano parecchi collier carini:
quelli in ceramica di Marije Geursen.

Un'altra idea carina invece è l'anello De ring van Amsterdam di Puck Bomers, a forma della tangenziale, visto che ring vuol dire sia anello che la tangenziale A10 che circonda Amsterdam.

Mi sembra un tipico esempio di design olandese per questa sua caratteristica cervellotica di prendere un'idea di base e dal concetto passare all'oggetto. Basta guardarsi il catalogo di Droog Design per capire cosa intendo.

E c'erano anche delle cosine di Tord Boontje, quello specializzato in uccellini e fiorellini e che fa solo quelli, il che a un certo punto stufa pure e anche se sono bellini, non so, troppo leziosi per me.

Certo, adesso mi ci vorrebbe magari anche l'alberello portagioielli di Louise Christ per appenderci tutti i miei tesori. Me lo metto in lista per il prossimo compleanno.

Comunque anche dagli amici regali graditi: piante di lavanda e clematide per il giardino e un bellissimo barattolo di Alessi, quello con l'ometto appeso al coperchio. E dalla potenziale consuocera una torta con cioccolata e uva buonissima e una scatola di stuzzichini di pastasfoglia al formaggio fatti da Lotte con le sue manine. Decisamente, se la ragazza a manco 6 anni cucina così, il matrimonio con Orso decisamente s'ha da fare. Ora tocca spiegarlo agli interessati.

venerdì 11 giugno 2010

Visita alla Montessori dietro casa

Quando abbiamo traslocato i bambini sono rimasti nella vecchia scuola, che in realtà da gennaio è la nuova scuola, con una palestra bellissima che usa anche il doposcuola e insomma, è impossibile cacciarli da lì.

Però resta il fatto che vanno portati e ripresi tutti i giorni, e anche se abbiamo lo schema con la vicina che funziona benissimo, delle volte rimpiango, per la loro autonomia e i contatti vicino casa, che non abbiamo una scuola dietro casa.

Ma quali scuole? Dietro casa ce ne sono moltissime, ma i miei figli già hanno paura a stare ai giardinetti da soli con quei bambini che ci abitano intorno, non mi rassicura sulla loro felicità scolastica. E quei pochi bambini che conosciamo vanno anche loro tutti a scuole in altri quartieri.

Poi noi abbiamo anche scelto consapevolmente per un certo indirizzo scolastico che è il Dalton, e già il Dalton che sulla carta mi piace tanto si scontra con l'esecuzione che ne danno le maestre. E diciamocelo, le maestre olandesi non è che siano tutte laureate in Pedagogia, e io e la vicina che lo siamo (insomma, ho pur sempre fatto Magistero) concordiamo troppo spesso su dei limiti della nostra scuola attuale nell'accogliere certe situazioni e certi bambini.

Ora, vicino casa non ce li abbiamo questi indirizzi, abbiamo invece tutta una serie di scuole cattoliche o protestanti o sfigate senza denominazione (una si sta talmente riducendo che se fra 4 anni la chiudessero non mi meraviglierebbe).

Tranne che grazie a Giulia, conosciuta grazie al blog e poi una dice che i blog favoriscono le conoscenze con gente che ha i tuoi stessi gusti, ho saputo che la Montessori che non sta proprio vicinissima, ma sempre almeno da questa parte dell'acqua, apre una succursale dietro casa nostra. A metà strada dalla piscina, dove Ennio già va da solo in bici.

E allora ci siamo andate ad informare, perché io e il capo i bambini in bici fra un paio d'anni, anche con il traghetto, a scuola da soli ce li manderemmo pure, ma la vicina ne ha quattro di età troppo differenziate per non averne sempre una troppo piccola in giro (l'ultima ha un anno) e stare inchiodata per i prossimi 12 anni a questo tragitto in macchina non è nemmeno la prospettiva migliore. Per non parlare di tutti gli amichetti, le feste e gli appountamenti che stanno tutti oltre l'acqua.

E poi diciamocelo, proprio noi che siamo di quelle famiglie che entusiasticamente fanno di tutto a scuola dopo una serie di sbattimenti senza costrutto, una si chiede, ma chi me lo fa fare a investire così tanto in una scuola che quando poi arriva il momento che tocca a loro a credere e investire in mio figlio mi dà risposte insoddisfacenti?

Perché diciamocelo, avere per direttrice una che viene dalla pubblicità ha avuto il merito enorme di farla crescere questa scuola e di far realizzare il nuovo edificio scolastico bellissimo, adesso però è ora di sviluppare una visione educativa e didattica e pedagocica e qui non se ne vede ancora l'ombra. ed è già tardi, la scuola è troppo grande ormai per andare avanti come viene viene e tanta buona volontà.

Insomma, siamo andati a visitare la Montessori che ha tante di quelle liste d'attesa che neanche si fanno pubblicità, anzi cercano di restare il più sottotono possibile perché con 400 bambini e una succursale in arrivo, se vuoi garantire la stessa qualità meglio non allargarsi.

Cosa ci ha colpito? Innanzitutto la direttrice, una signora affettuosa, con un carisma enorme, proprio il tipo maestra anziana, che la povera unenne che dopo tante chiacchiere si è stufata e ha cominicato a piangere è stata distratta con un giochino e messa a suo agio senza neanche perdere una battuta del discorso che stavamo facendo. Che noi madri indaffarate il multi-tasking efficace lo sappiamo riconoscere quando lo vediamo.

Poi ci siamo fatti un giretto per i corridoi. un silenzio enorme, è stata la cosa che ci ha colpito di più. 400 bambini con le porte delle aule aperte nei corridoi/atri, tutti concentratissimi a lavorare, qualche maestra a un tavolo a spiegare qualcosa e tutti concentrati.

In corridoio qualche m=bambino e maestra sul computer, a un tavolo un gruppetto di grandi in piedi a fare mosaici (pare sia un'oretta settimanale fissa con insegnante apposta). La prescuola dove al mattino i piccoli che entreranno fanno la materna e due grandi undici-dodicenni in visita, perché in questa scuola ci si possono fare le visite tra una classe e l'altra.

I tappetini al centro delle aule per quei bambini che come Orso nostro riflettono meglio sdraiati che seduti (OK, lo ammetto, questo è il dettaglio che mi ha comprata definitivamente). Il doposcuola della succursale che confina con il nostro parco (cioè, ma ci rendiamo conto che i giorni che escono presto siamo già nel parco? E non devo affittare la macchina ma andiamo in bici?)

I genitori di 45 nazionalità diverse, un po' come da noi, senza grandi prevalenze di questa o quella nazionalità? Certo, i miei figli stanno bene dove stanno e hanno tutti gli amichetti e specie Ennio non vuole neanche sentirne parlare, di una nuova scuola.

Però quando gli ho raccontato che in quella scuola lì non hanno le lezioni contro il bullismo (che quando mi ha detto che in realtà non ne hanno molto, ci ho creduto subito, perché ho visto sia nella progettazione della scuola che in quello che c'era nell'aria tutta una serie di presupposti per non averne) ma hanno 8 bambini che hanno fatto un corso da mediatore e in caso di lite intervengono loro, senza la maestra che viene comunque messa al corrente, questa cosa lo ha affascinato, non la smetteva di farmi domande. Ha quindi accettato di venire una volta a guardare dopo le vacanze.

Il punto è che ci sono grandi vantaggi e altrettanti svantaggi sia nel restare nella scuola vecchia, sia nel tentare quella nuova. Di questa Montessori mi piace anche l'impostazioni a classi multiple insieme, cioè sono sempre due a due in modo che nello stesso gruppo i bambini abbiano in momenti diversi la possibilità di essere i più piccoli o i più grandi. E di adattare il programma anche allo sviluppo cognitivo individuale. vai bene in una materia? Allora ti offriamo il programma più avanzato. Hai bisogno di più tempo per un'altra? Puoi ripetere le basi con i piccoli finché non le sai.

Mi sono attaccata al sito dell'opera Montessori italiana e più leggo, più mi convinco che per Orso questo potrebbe essere l'approccio giusto. Però quest'anno entrambi hanno due maestre estremamente in gamba ed intelligenti nella scuola vecchia e non mi dispiacerebbe che alcune basi le imparassero con loro.

Perché in fondo il dubbio e iul pregiudizio tipico della Montessori è che alla fine è vero che i bambini hanno una gran voglia di imnparare per conto loro e che farli fare è meglio, ma d'altro canto io per mancanza di visioni alternative sono pure convinta che una cosa come le tabelline fai prima ad imparartele a memoria a sette anni e ricordartele automaticamente per tutta la vita che non stare ogni volta a scoprire l'acqua calda.

Insomma, appena Orso sa le tabelline io ci penso su. Tranne che dei due è quello a cui più volentieri farei fare la prova subito e che avrebbe persino il posto garantito subito dietro casa. Forse dovrei chiedere se esiste qualcosa come una dispensa di prova per cambio scuola. Cioè che se dopo tre mesi non sono convinta mi tengono un posto nella classe vecchia. Che come tengo io il piede in due scarpe, nessuno.

martedì 8 giugno 2010

Pubblicità (no, solo una cosina discreta, di buon gusto)


Arriva la bella stagione, la natura si risveglia, i fiori sbocciano (e sfioriscono pure) e le bestie cambiano pelo. E noi ci prepariamo al bikini che incombe.

Vi giro quindi una pubblicità esposta a Torino, giusto per informare, magari torna utile. A me sinceramente cascano le braccia.

Perché le pubblicità fatte dalle grandi aziende puoi sempre farglielo notare, no, che magari ci sono dei limiti (di buon gusto, sessismo, esempio per le giovani generazioni, corporate identity, responsabilità aziendale) che come consumatore uno non gradisce che si superino. gli puoi fare un mail-bombing, per esempio.

Ma qui? Che gli vuoi dire? Ci arrivano, lo capiscono? E i loro clienti, lo capiranno almeno loro? Iopsero che li boicottino a sfracello, solo che non ci credo neanche più.