... (si dice da noi quando qualcuno fa danno, per esempio con una zappa), e a chi te l'ha messa in mano (tanto per dire che la responsabilità individuale non esiste poi davvero. Se uno è labile di suo, chi lo conosce e gli sta vicino deve proteggerlo da sé stesso, nascondendogli gli oggetti pericolosi. Per esempio la zappa. O il telefonino).
Insomma, sono scomparsa per un po' perché partendo per il mare ho messo via le cose inutili, tra cui la tesserina con i codici magici della SIM italiana. Poi, visto che la uso poco, per comprare la ricarica, ho sventrato il telefonino per vedere cosa c'era scritto sopra. Così si è spento e per riaccenderlo avevo bisogno del codice PIN, che non ricordo e non ho cambiato. Abbiamo sbagliato 3 volte (il capo che conosce i suoi polli ha tentato con 0000 e con 1234, io con quello che credevo di ricordarmi). A quel punto l'aggeggio mi ha chiesto il codice PUK.
Ora, io non so voi, ma quando qualcuno mi fa domande così intime e personali, poi ho reazioni strane e inconsulte. Mi sono detta: 'affanculo. Il telefono resta spento.
E così mi sono goduta tre giorni in missione piastrelle con il capo, inframezzate da bagni nel mare della mia infanzia e cene con gli amici e i parenti, mi sono strafocata di pesce anche se non era molto chiaro se il fermo biologico fosse già iniziato o no, e mi sono rifiutata di attaccare il laptop a Internet, che non avevo voglia e avevo troppo da fare.
E non sono neanche andata a Fano a sentire le insolite note, che mi dispiace proprio tanto, ma non mancherà altra occasione.
Che dire, tre interi giorni senza telefono e computer.
Ragazzi, questa si che è vacanza. Anche se non eravamo venuti in vacanza.
E sulle piastrelle non ci siamo manco chiariti le idee, ma vuoi mettere, io e il capo, per la prima volta in Italia senza figli, praticamente due fidanzatini.
Le belve mi mancano, come no. Ho visto per la prima volta da quando è nato il figlio di mio cugino, un bambinone di otto anni, che mi sembra abbia qualcosa di Orso tra occhi e naso, e me lo sarei mangiato i bacetti, per compensare. Ho evitato, per non creargli il truma da zia pazza. Che già li vedo poco questi nipotozzi.
Ho ricevuto due non-inviti a fare da madrina di cresima a mia nipote (si, quella che non parla con nessuno, però si cresima) e da testimone all'altra mia coppia di amici contraria al matrimonio ma che è costretta a sposarsi per i soliti motivi pratici di chi vuole condividere la quotidianità, il possesso di una casa e un cane, e forse il desiderio di riprodursi. Non me lo hanno chiesto che sanno come sto messa nei prossimi mesi.
Mi fa piacere. Però mi dispiace. Ecco, se qualcuno si chiede cosa voglia dire andare a vivere fuori, sono anche queste rinunce affettive. Oltre all'uso saltuario di SIM con cui non sei davvero in intimità, e che te ne fanno di tutti i colori.
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venerdì 8 agosto 2008
mercoledì 12 marzo 2008
Offline (o dei pericoli dell'autocritica)
Da un po' di giorni non abbiamo la nostra bella connessione Internet veloce. Vado a manovella con una linea analogica del fax, che non solo è lentissima, ma mi blocca tutti gli attachment che non le garbano. Risultato, ricomincia sempre da capo, i 9 messaggi iniziali finora mi saranno entrati una ventina di volte, poi si inceppa e vai che si procede a singhiozzo.
Proprio ora che dovrei stare appiccicata giorno e notte ai siti di materiali da costruzioni, piastrelle, cucine, mobili, il design di seconda mano, che il capo crede che abbiamo trovato la casa ideale per metterci tutti i nostri mobili esistenti, ma non sa delle mie aspirazioni nella vita sugli arredi d'interni.
Proprio ora che amici e amanti telematici mi scrivono mail bellissime e piene di sentimento, ma che io leggo semi-congelata e tutta curva intorno al fax, nella stanza meno usata e più fredda della casa, e le risposte sono ugualmente gelide e prive di calore. Quanta passione sprecata dalla tecnica.
Il tutto mi riporta a una riflessione filosofica sui danni dell'autocritica. Perché dal momento in cui le connessioni sono motre, abbiamo iniziato i soliti trucchi di rianimazione che di solito funzionano. Nulla. Abbiamo controllato il controllabile. Nulla. Il capo è giunto alla conclusione che allora doveva essere un problema nostro, una centralina scassata da ricomprare (quando? che tempo non ne abbiamo).
Tre giorni sprecati, fino a che, lunedi mattina, non mi sono svegliata alle cinque con un'intuizione geniale: se il telefono funziona, non posso attaccarmi alla linea telefonica? Il capo mi ha confermato che abbiamo ancora una linea analogica e detto fatto, dalle cinque alle sei e cinquanta sono stata in attesa accanto a detta linea analogica, in camicione da notte di flanella e scalza. Non l'avessi mai fatto.
Poi nella disperazione il capo è riuscito a chiamare il provider, che ci ha ricordato che eravamo appena passati al loro abbonamento privilegiato che bypassa quello telefonico, e che, lo devo ancora raccontare qualcuno che non appena cambi di abbonamento tutto smette di funzionare? Prognosi, massimo 5 giorni lavorativi. sommati ai precedenti persi a causa dell'autocritica.
Quindi, la mia conclusione è: basta cercare in sé stessi le ragioni dei propri limiti. Io sono già fantastica de me e raggiungo spontaneamente la perfezione, è il resto del mondo che non funziona. La prossima volta lo ammazzo di chiamate, l'help-desk.
Dio, ci siamo capiti? Comincia ad assumere un altro paio di operatori al tuo call-centre, va.
Proprio ora che dovrei stare appiccicata giorno e notte ai siti di materiali da costruzioni, piastrelle, cucine, mobili, il design di seconda mano, che il capo crede che abbiamo trovato la casa ideale per metterci tutti i nostri mobili esistenti, ma non sa delle mie aspirazioni nella vita sugli arredi d'interni.
Proprio ora che amici e amanti telematici mi scrivono mail bellissime e piene di sentimento, ma che io leggo semi-congelata e tutta curva intorno al fax, nella stanza meno usata e più fredda della casa, e le risposte sono ugualmente gelide e prive di calore. Quanta passione sprecata dalla tecnica.
Il tutto mi riporta a una riflessione filosofica sui danni dell'autocritica. Perché dal momento in cui le connessioni sono motre, abbiamo iniziato i soliti trucchi di rianimazione che di solito funzionano. Nulla. Abbiamo controllato il controllabile. Nulla. Il capo è giunto alla conclusione che allora doveva essere un problema nostro, una centralina scassata da ricomprare (quando? che tempo non ne abbiamo).
Tre giorni sprecati, fino a che, lunedi mattina, non mi sono svegliata alle cinque con un'intuizione geniale: se il telefono funziona, non posso attaccarmi alla linea telefonica? Il capo mi ha confermato che abbiamo ancora una linea analogica e detto fatto, dalle cinque alle sei e cinquanta sono stata in attesa accanto a detta linea analogica, in camicione da notte di flanella e scalza. Non l'avessi mai fatto.
Poi nella disperazione il capo è riuscito a chiamare il provider, che ci ha ricordato che eravamo appena passati al loro abbonamento privilegiato che bypassa quello telefonico, e che, lo devo ancora raccontare qualcuno che non appena cambi di abbonamento tutto smette di funzionare? Prognosi, massimo 5 giorni lavorativi. sommati ai precedenti persi a causa dell'autocritica.
Quindi, la mia conclusione è: basta cercare in sé stessi le ragioni dei propri limiti. Io sono già fantastica de me e raggiungo spontaneamente la perfezione, è il resto del mondo che non funziona. La prossima volta lo ammazzo di chiamate, l'help-desk.
Dio, ci siamo capiti? Comincia ad assumere un altro paio di operatori al tuo call-centre, va.
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