venerdì 10 aprile 2009

Imparare dalle figlie (ma non dai figli)

Ada ha sei anni, 18.000 miliardi di capelli scuri a onde del mar, le ciglione flop flop, due fidanzati ed è una principessa.

"Adesso ti racconto come mi ha cucinato e servito uno dei due che era venuto a giocare qui l'altro giorno", mi fa sua madre.

Lui arriva con in mano un cavaliere e un drago di plastica, che le vere principesse hanno castelli pieni di queste robe al loro servizio.

"Chi è il più potente, il drago o il cavaliere?"
Lei lo guarda. Flop, flop.
"Sei tu, il cavaliere".
Flop, flop.
"E sei tanto più potente del drego, tu lo ammazzi subito, così".
Flop, flop.
"Non trovi anche tu?"

"Io mi chiedo", si interrogava criticamente sua madre, che a noi madri piace interrogarci criticamente su tutto quello che fanno i figli, per esempio adesso io mi preoccupo dell'avvertimento mafioso che Orso ha dato alla povera supplente giovanissima il primo giorno che era in classe, "mi chiedo se io sono mai stata in grado di fare robe del genere a un ragazzo e me ne sono dimenticata, o se proprio manco ci arrivavo".

Comunque si propone di osservarla attentamente e provare ad imparare, che sono social skills, questi, sempre utili nella vita.

Io invece se c'è una cosa che NON mi propongo di fare, è di dire al prossimo che mi contraddice perché vuole che faccia determinati lavori e non solo quello che mi pare:
"Io ti riempio di botte e poi chiamo mio padre e mio fratello e ti riempiono di botte pure loro".

La povera maestra è rimasta paralizzata, sto ancora facendola parlare per superare lo shock, anche perché, dice, quando è successo a me aveva già parlato e non le sembravamo quel tipo di famiglia lì. L'ho caldamente rassicurata in proposito.

Resta il fatto che, ad avere uno sguardo aperto, dai figli si imparano tante cose.

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