giovedì 27 novembre 2008

Deontologia professionale: l'immagine dell'interprete nella coscienza nazionale

Gli olandesi, tanto per dirne una, per anni avevano la fama di quelli che sanno tante lingue. Quando sono arrivata qui nel '90, non solo mi sconvolgevo a sentire come parlassero bene in inglese anche gli studenti di facoltà non linguistico/letterarie, ma un po' tutti. Il patataro al mercato, per dire.

Quell'anno uno dei miei giovani cognati faceva la maturità e così scoprii il fenomeno della lista dei libri: entro la fine dell'anno per ogni lingua bisognava leggere una lista obbligatoria di 10 libri in quella lingua.

(Nella lista ci va letteratura anche molto contemporanea, infatti un sacco di adolescenti finiscono per leggersi Giphart, che parla tanto di sesso, signora mia, come ha spiegato lui come si fa un pompino a regola d'arte in Phileine zegt sorry, nessuno. Però scrive bene ed è un po' oltre la semplice narrativa. Lo hanno tradotto in italiano).

Comunque, dicevo, il cognato con un penchant tanto letterario/linguistico aveva deciso di portare come materia d'esame olandese, inglese, francese e tedesco. Che al liceo ci sono un tot di materie facoltative, e va bene che chi va al ginnasio spesso ci va su consiglio dei genitori che poi lo costringono anche a farsi latino e greco, ma le lingue se le era scelte tutte lui.

Risultato, sua madre quell'anno si rilesse un bel po' di classici della letteratura francese per fargli i riassunti, che 40 romanzi in una normale cariera scolastica, magari in italiano alla sua età io me li sarei pure fatti, ma letture in lingua, godermele davvero, ho cominciato solo dopo la laurea. Poi lui si è iscritto a russo, per passione degli amici stranieri e dei viaggi e per tigna si è imparato nel corso degli anni un 15 lingue, tutte poi dimenticate perché nel momento in cui ne scopriva una nuova ci si buttava anima e corpo e non aveva tempo di praticare le altre, isnomma, è un plurilingue latente ma adesso insegna inglese ed olandese (valeva la pena, dico io?)

Sto divagando come al solito e nel frattempo non è solo la Gelmini che fa scempio della pubblica istruzione. Da quando sto qui ci sono state tante di quelle riforme scolastiche, più o meno disastrose, che nel frattempo la competenza in inglese delle giovani generazioni si riduce agli intercalari shit, fuck e cool che si sentono a ogni piè sospinto.

Sul fiore dell'imprenditoria e del management italiani, anche se nel corso degli anni dei tenui miglioramenti si vedono, c'è tuttora da mettersi le mani nei capelli. Gli spagnoli, i portoghesi, i greci, ma anche tutta l'Europa dell'est, se vogliamo, è da un pezzo che ci hanno superati.

Meglio per me che faccio la traduttrice e l'interprete? Ma lasciamo perdere. Non c'è infatti professione più bistrattata, nell'economia italiana. L'omfaloscopia (credits: Chiara da Vinci) nazionale è a un livello tale, che persino quando ci sarebbe da guadagnare ed investire, su tutto si spende, tranne sull'unico mezzo che ti permette di muoverti su altri mercati. Comunicare con la gente nella LORO lingua, che ti dà un vantaggio strategico non indifferente.

Per dire, quando alla Confindustria umbra ho raccontato che il capo del team che trattava per l'Antonveneta, anni prima che ne sapessimo qualcosa, mi si fece organizzare un corso di italiano, perché per lui era fondamentale per una trattativa a quel livello non solo avere l'interprete fisso, ma saperla lui la lingua per capire come funzionava la testa dei suoi interlocutori, questi proprio non capivano di cosa stessi parlando. Ma perché perdeva tempo ad imparare l'italiano (sto parlando di uno che quasi ci dormiva, in ufficio, e nella pausa pranzo faceva lezione)?

Per dire, un'azienda in trattative trova normalissimo portarsi dietro un tot di portaborse e badanti benvestiti vari in missione, tutta gente a cui comunque va pagato un biglietto aereo e un albergo, se proprio le loro giornate di lavoro non contano. Una persona in più ti butta su come minimo il budget di un par di migliaia di euro.

Ma l'interprete, l'unica persona della banda con una professionalità, che investe continuamente in questa professionalità ed è quello che ti salva il culo quando stai per firmare un contratto tutto a tuo svantaggio o quando fai la gaffe del secolo per cui il tuo partner si alza, ti dice arrivederci e grazie e lascia il tavolo delle trattative, o che quando stai per credere a una cosa di cui io so con certezza che la legge olandese non la prevede e ti potrei dare uno strumento tattico per volgere le cose a tuo favore adesso, non parecchie parcelle di avvocati e fiscalisti dopo, quello va compensato con la mancia.

In genere, mandi un preventivo già tirato rispetto al mercato in cui operi perché sai che al cliente italiano non bisogna dire come gira il mondo sennò si stranisce. Se va bene seguono trattative sfiancanti. Se va male decidono che si porteranno dietro dall'Italia qualcuno che parla un po' di inglese, o la sorella/figlio/moglie/segretaria del tizio che andava con l'IF in Inghilterra da piccolo.

Questo porta a un'altra situazione: il proliferare di cosiddetti "interpreti" che magari si pagano l'affitto con tutt'altro lavoro, ma all'occorrenza si mettono in malattia e vanno un giorno ad arrotondare. Cosa sia la professionalità che offrono, si lascia facilmente immaginare. Un taxi e un ristorante, se la cavano ancora, ma una trattativa seria no. Però inquinano il mercato, rovinano la reputazione alla categoria e non riusciranno mai a fare seriamente questo lavoro.

Non a caso, le agenzie serie ti chiedono quanti giorni di cabina fai l'anno. Perché se lavori saltuariamente, non puoi tenerti in esercizio, quindi non sei bravo per definizione. Quanti interpreti conosco, che in nome di questo perfezionismo a un certo punto hanno deciso di fare un altro mestiere? E quanti ne conosco che si sono sputtanati con colleghi ed agenzie perché insistevano a fare lingue che un altro avrebbe fatto meglio?

Poi succedono i casini e la colpa era dell'interprete. In generale, quando arrivano richieste per un "interprete" dall'Italia, se non è una cabina capisci già come andrà a finire. Io chiedo subito: mi dica se le occorre un vero interprete o una hostess che sono due cose diverse e anche due tariffe diverse. In genere decidono di portarsi loro qualcuno dietro. Senza capire che solo di spese gli costa di più.

Davvero, la logica di tutto ciò mi sfugge, ma sarà per questo che siamo come siamo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Questo post è meraviglioso.
Descrivi perfettamente il pressapochisimo all'italiana, a tutti i livelli, e la mancanza di professionalità dei clienti prima ancora dei fornitori. Facevo la consulente e ne so qualcosa.
Detto ciò, i miei amici olandesi si sono trasferiti a vivere in Italia. Sono pazzi? Nì.