Rientrare in Abruzzo mi riconfronta sempre, in modo piacevole, con il "tu" di default. Che noi abruzzesi diamo del tu a tutti, non per eccessiva informalità, ma proprio perché ci viene così. La formalità, quando serve, la esprimiamo chiamando qualcuno " signore" o " signora".
E in genere quest' ultimo appellativo ci mette dentro anche la distanza. Tranne per mio padre, che dava del tu a tutti, ma che le signore sposate, a meno che non fossero proprio di famiglia o quasi, gli sembrava brutto chiamarle per nome. E così lo si sentiva salutare dall' altro lato della strada: " Signora, come sei bella stamattina, tuo marito dev' essere proprio contento" e lui lo diceva così, senza pensarci eccessivamente, spargeva complimenti come lubrificante sociale perché era un ex-timido e si terrorizzava se qualche femmina in crisi ci vedeva dell' altro. E correva da mia madre urlando "Margherì".
Questa cosa dell' evitare a tutti i costi di nuocere al buon nome di una signora sposata l' ho riconosciuta ed amata nell' amico Vincenzo, che aveva il dono del baciamano (alle signore sposate) e dello sbaciucchio sulle guance alle altre. Finché non gli ho fatto notare che essendo mezzo mondo al corrente del fatto che lui fosse a cena almeno tre volte alla settimana a casa nostra rischiava di compromettermi con quel baciamano insistito, che poi magari la gente pensava che avevamo chissà cosa da nascondere. Lì ha ceduto, che va bene il formalismo e dio sa se il mio coté polacco non ci sia abituato, baciamani e inchini compresi, ma il mio lato abruzzese a volte ci patisce.
Ecco, il mio lato abruzzese, con mia madre che da brava polacca, verso gli otto anni mi ha spiegato con la massima serietà che a chiunque abbia almeno 5 anni più di te bisogna dare del lei. al che mi feci un rapido calcolo per concludere che Tonino, il fratello grande della mia amica e vicina Dalila, rientrava nel lei. Solo che lui a mia madre, e anche a mia nonna dava del tu.
Zia Maria Laura invece dava del voi a tutte le sorelle della suocera, un tratto che me la rendeva molto cara, ma c' è da dire che zia Maria Laura è sempre stata tra il cuginame di mio padre il grande esempio di mia madre.
E a proposito del voi, quando studiavo linguistica e mi leggevo articoli su tutti gli argomenti possibili e immaginabili, ho imparato per esempio che dare del voi, per i napoletani, funziona come strumento di inclusione o esclusione nel gruppo. Cioè, se ti danno del voi ti riconoscono implicitamente come membro del proprio gruppo di appartenenza.
E così funziona il tu dalle nostre parti, per cui ogni negozio in cui entro, in particolare i supermercati, mi sento riconoscere come uno dei nostri dal semplice fatto di sentirmi dare del tu.
Che poi non è neanche l' unico appellativo degno di rilievo. A Tortoreto nella mia scuola gli attaccabrighe cominciavano a darsi del " parò" prima di venire alle mani. Degli sgnorfoli di 8, 9 anni che si urlavano per 10 minuti prima di attaccare. Io ci mettevo molto meno, prima menavo poi ascoltavo le spiegazioni. ma i maschi, si sa, hanno tutti i loro rituali inutili per stabilire la posizione rispettiva nelle gerarchie del branco.
Io chissà che mi immaginavo significasse, poi ho capito che parò è semplicemente il titolo del padrone del peschereccio, che con la democratizzazione è un titolo che non si nega a nessun marinaio (anche questo inclusivo, nel senso che se lo dicono tra di loro).
Invece la cosa buffa è l' evoluzione che la democratizzazione ha portato a signor/a. che adesso, proprio perché non si nega a nessuno, il latifondista lo distingui perché in paese lo chiamano don o donna + il nome proprio, visto che siamo in confidenza, e dandogli sempre del tu. a meno di esserne il contadino, che in tal caso lo chiama il compare, per ovvi motivi. Che se hai un padrone, per forza di cose, tanto vale farselo compare. Peccato sia sempre a senso unico.
I veri compari e commari, invece, sono più dei parenti di sangue, certe volte. In parte perché te li scegli tu, ma neanche poi tanto. I nostri compari e commari a Tortoreto sono sempre stati i Biancò (questo ovviamente è il soprannome della famiglia, non il cognome), perché all' epoca in cui mia nonna ci è arrivata sposa c' erano solo quelle tre case: la nostra (che non è più nostra da tanto).
Poi c' era quella della Salvià che, l' ho capito molti anni dopo, era una pinciaia, una casa di
terra cruda tipica della zona. Il giorno che la buttarono giù, per far spazio a quella che sarebbe diventata la casa del mio amico Mauro, eravamo tutti a guardare come una gru con una grossa palla la buttava giù. Si sbriciolò, letteralmente, davanti ai nostri occhi. Erano i primi anni ' 70 e lì cominciò quella fame di costruire che ha modificato irrimediabilmente tutta la nostra costa.
E poi c' era la casa dei Biancò nostri compari, in cui la linea dei comparati e commarati si è fermata a mio fratello, a cui Alessandro ha fatto da testimone. Ma tanto io e Rossana, senza saperlo, abbiamo proseguito la linea dei figli paralleli. Noi due, nate a due giorni di distanza grazie (pare) a una famigerata cena a base di Pedro Jimenez, riportato da suo padre che faceva la Spagna, e i nostri figli, tutti e quattro nati a due a due con pochi mesi di distanza.
Per dire, il sangue non è acqua, ma i compari e le commari sono, a volte, anche di più. Se poi sono i tuoi unici vicini, si fa subito a fargli battezzare ogni bambino.
A Ofena invece c' è un' altra tradizione, quella delle comari di san Giovanni. Noi avevamo la comare Silvia, grande amica di mia nonna (che era la loro commare Peppina), i cui due figli erano amici del cuore, e la cui figlia abbiamo sempre chiamato comare Maria.
Fino a che, interrogandomi su come funzionava precisamente quel rapporto lì, non scoprii che non c' erano di mezzo battesimi, matrimoni e cresime (come per esempio il compare Italo, che era stato compare d' anello, ovvero testimone di nozze dei miei genitori), ma che Peppina e Maria erano comari di san Giovanni.
La cosa funziona così: se si ha una cara amica con cui si vuole suggellare ancora di più l' amicizia, a san Giovanni le si manda un regalo accompagnato dalla formula:
il dono è piccolo, l' affetto è grande
accetta la commare di san Giovanni
al che la commare accetta, se crede, rimandando ad un' altra festività che non ricordo un altro dono con la relativa formula.
E allora, visto che del tu, del lei o del voi puoi darlo a chiunque e se ci sono significati speciali va a interpretazione, io a un certo punto ho deciso di mandare un regalo a san Giovanni all' altra Silvia, la nipote della comare Silvia.
Che morte le nonne, una comare Silvia a casa nostra proprio ci mancava. La comare Peppina invece mi sa che deve proprio aspettare: che a parte che questa faccenda di Gnorpo 3 è ancora tutta un' incognita, ma onestamente, non so se chiamerei Peppina una figlia. Già lo hanno fatto a me questo favore.
2 commenti:
Hai fatto una descrizione precisa e divertente di quello che io, abruzzese d'adozione, sto cercando di capire. Comunque, ho imparato a destreggiarmi abbastanza bene. Anche se a ogni "Come stai, signora?" non posso non sorridere divertita, dopo più di due anni non sono riuscita ad abituarmi. Troppo belle 'ste cose, spero che non si perdano in questa omologazione e globalizzazione forzata.
Sei ancora in Abruzzo o siete già a casa?
'notte. :)
che bello tutte queste cose. grazie per queste informazioni preziose
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