Oggi, con la mia valigia ancora da fare, quella di Ennio da correggere (miracolo come un paio di bucati notturni cambino le carte in tavola, valigescamente parlando), i maschi da raggiungere all'ufficio che arriva lo scaffale in metallo galvanizzato che solo io so come si monta, le cose del capo da portare in tintoria, la nostra vecchia tintoria dall'altro capo della città, che una nuova ancora non l'abbiamo vista, mi sono infognata in centro in macchina, maledicendo l'assessore alla viabilità, se ce ne fosse uno a coordinare tutte le deviazioni e lavori in corso che si contraddicono fra loro.
Finalmente sono arrivata sul Blauwe Brug, il ponte blu di fronte al Municipio. Il municipio è una cosa di mattoni rossi e lastroni di marmo bianco, accorpato a un cilindro basso in marmo bianco che ospita l'Opera, e che già che c'erano ci hanno fatto sotto la stazione della metropolitana, un paio di parcheggi e altre cosette di pubblica utilità.
Se superi il ponte sei sul lato dell'Amstel dove sfociano i canali settecenteschi, in centro insomma (in città, viene da dire a me, che sia a Cracovia, che a Groningen, città che amo molto, andare in centro si dice andare in città, il resto è contado, magari un po' ripulito, ma sempre contado).
Il ponte blu è anche il nostro preferito, non solo perché quando ci sei sei in centro, cioè in città, ma anche perché io ci tengo ad insegnare ai bambini i nomi dei ponti quando li so, e Orso il ponte Blu se lo è ricordato subito.
La volta successiva, in macchina verso il centro, l'ha ricordato agli astanti:
"Papà, ma siamo sul ponte Blu".
"Sei sicuro? Davvero? Cioè io non sono sicuro, Barbara tu sai come si chiama il ponte?"
"Il ponte Blu, come il quadro".
Da allora Orso, orgogliosissimo di sapere una cosa che gli altri maschi di casa non sanno, annuncia con voce squillante il ponte Blu ogni volta che ci avviciniamo ad esso, sia in macchina, a piedi, in bici o in tram.
Quindi oggi, districatami dalla tintoria in Javastraat e da tutte le deviazioni, arrivo se diovuole al ponte blu che erano quasi le 8,30, cioè tardi. E davanti a me, attraversato il ponte, vedo sul marciapiede un signore che conosco.
Un signore distinto, in cappottone lungo nero e sciarpina rossa che spunta dal bavero, che si incammina al lavoro, con la faccia un po' accartocciata a causa della pioggerellina sottile rompipalle di cui questa città ha l'esclusiva, che non ci abbassiamo a prendere un ombrello per così poco, però scocciare scoccia.
Ce ne sono altre, di persone, un paio di signori distinti in cappotto e cartelle che attraversano o camminano, ma questo qui, ricordatemi un attimo chi è che lo conosco.
È Job Cohen, il sindaco di Amsterdam, che evidentemente dalla residenza ufficiale, che immagino su uno dei canali, va al lavoro. A piedi, senza ombrello, sotto la pioggerellina. Un signore come tanti che passa inosservato.
(Ma voi, Alemanno, che peraltro se lo incontrassi non lo riconoscerei che non so che faccia abbia, ce lo vedete attraversare un ponte sul Tevere e un paio di isolati prima delle 8:30 di mattina per andare al lavoro?)
A me piace anche questo dei politici olandesi. Che se possono, come tutti, preferiscono andare in ufficio a piedi o in bicicletta. Persino una parlamentare, che ha una invalidità, ha la bici di servizio: un tandem con l'autista che l'aiuta a pedalare.
Ora, il valore maggiore per gli olandesi è che uno, non importa quanto ricco o famoso, resti una persona semplice, che non si dà arie, che se incontra qualcuno saluta per primo e fa la fila alla cassa come tutti. Se sei così ti adorano.
Ma secondo me non è questo, non solo. È che un politico che va a piedi al lavoro, vede più cose di uno che sta blindato in una macchinona blu con la sirena che corre veloce e obbliga tutti a scansarsi. È anche un politico che dimostra di avere fiducia nella gente che lo rappresenta. Che non ha paura degli altri.
Di conseguenza gli altri non ti rompono le scatole. Cioè, ad Amsterdam, a saperli riconoscere e io che non ho TV faccio fatica, gente importante e famosa ne incontri ovunque: rockstar, attori, politici, giornalisti, persino calciatori, toh. Tu sai che qualcuno abita dalle tue parti perché lo/la vedi passare in bici la mattina per portare i figli a scuola, o al supermercato o parcheggiano nella strada accanto.
"Ma lo sai che nel mio palazzo abita Louis van Gaal, l'allenatore, cioè adesso sta in Spagna, ma l'appartamento lo ha ancora lì. E quando abbiamo traslocato tutti insieme è venuto a presentarsi ai vicini", mi fa l'amica Lily. Ecco, se dovessi avere figli con ambizioni calcistiche posso mandarli a giocare a pallone nel cortile manicurato del palazzo di Lily. Gli altri ci linciano, ma vuoi mettere l'occasione?
Bello come aneddoto da raccontare in ufficio ("ehi, ma lo sai chi stava oggi nel mio stesso vagone in treno?") ma non da asfissiarli.
Non so, tutta la gente famosa che si lamenta di non poter fare più una normale vita anonima, a volte mi chiedo: ma ci hanno più provato? O forse è una questione culturale anche questa. Ad Amsterdam comunque è possibile.
È vero anche il contrario, come la ragazzina che anni fa incontra in discoteca il suo idolo calcistico, gli si appiccica, gli amici di lui la invitano ad andare insieme a casa sua e la violentano. Lui no, ma una gran bella figura non ce l'ha fatta lo stesso. Tutta la comunità oriunda di origine lo ha fortemente condannato ("Dovrebbe essere un esempio per i nostri ragazzi, e si invischia in una situazione del genere").
"Ma lui era il suo idolo", si indigna l'amica L. Va bene, ma non ti appiccichi al tuo idolo, ti ubriachi e ti fai portare a casa da due amici suoi che manco sai chi sono. Un modo orrendo di imparare la sfiducia, e spero qualcuno li abbia riempiti di botte quei due, sicuramente non hanno più l'amico famoso, dopo che lo hanno sputtanato così.
O come quell'altro, il dandy checca con palazzo e maggiordomo e le cravatte larghe di seta fatte a mano inventate da lui, che quando lo accusavano di essere fuori dal mondo e non sapere come vivono le minoranze, in particolare i ragazzi marocchini emarginati rispondeva: oh, no, li conosco benissimo, me li rimorchio tutte le sere nelle dark room, e che si muoveva solo nel macchinone chic con autista.
Beh, quello come ha dovuto fare 20 metri a piedi dal parcheggio allo studio televisivo, l'hanno fatto fuori. In Olanda l'auto di servizio evidentemente dà fastidio.
(come al solito butto insieme un sacco di cose diverse, ma sto partendo e non ho tempo di metterle meglio insieme o farne post separati, quello che volevo dire è che finalmente dopo tanti anni ho visto e riconosciuto anch'io un politico per strada, che son soddisfazioni, mi sento di botto molto più integrata)
2 commenti:
praticamente un viaggio!
Nuuuu...hai visto Job Cohen...il mio mitoooo...sono suo fan anche su feisbuc :)
http://lavaligiadicartone.wordpress.com/2008/07/19/olandesi-la-normalita-agire-normalmente/
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