giovedì 8 maggio 2008

Epiteti locali

Oggi ho tirato fuori la giacca di lino dalla bustona della tintoria che è ora (si, ad anni alterni mi ricordo persino di portare le cose in tintoria). Mi sono messa il collierino, gli orecchini e la fedina di diamanti (nessuno saprà mai che diamanti di scarto ho rimediato una volta, il capo, chiamato ad esaminarli con me, non faceva che dire: "Ma questo ha un punto nero enorme", "Si chiama inclusione amore e nella montatura non si vede più". che avevo chiuso per sempre cpon il vendere diamanti e volevo un souvenir di quel periodo).

Questo perché andiamo in esplorazione nella campagna ricca dell'Olanda, il Gooi. Dove i campi da golf superano i campi di luppolo, dove le villotte affondano nel verde, dove la concentrazione di SUV che ti frenano a due secondi dagli alluci mentre cerchi di attraversare è la maggiore del paese, dove genitori e figli giocano a hockey di default, dove tutto il complesso radio-televisivo del Paese è concentrato nel Media Park (dove fecero fuori Fortuyn, per capirci), ecc. ecc. Vado nel territorio delle mie lettrici, insomma. Quelle che leggono Seasons.

Quelle signore con giardino che leggono i miei resoconti culinari dall'Abruzzo, che bisognava nascondere la scollatura della mia vicina mentre facevamo in pomodori in bottiglia a Ofena per il reportage, anche se la vicina è nonna e portava un normalissimo zinale da lavoro, ma si, secondo la fotografa carampana, queste qui, abituate ai twin-set, minimo minimo gli pigliava uno sturbo. Da allora non ci ho scritto più per Seasons.

Queste signore che se gli racconto dei pranzoni di matrimonio sull'aia nella mia infanzia campagnola, con le ricette dei piatti che nonne, zie e vicine cucinavano per tre giorni di seguito, esclamano "Oh, bimba, che delizia" (Ach, kind, wat eeeenig!)

Ecco, è dagli epiteti che si riconosce la razza. A me sentirmi chiamare "kind" mi intenerisce solo se lo fa la nonna, qualcuno che conosco. Come epiteto generalizzato non mi dice niente, anzi, un filino mi secca. Paternalistico. Io sto ad Amsterdam, porca puttana, mica come voi affondata in campagna.

Ad Amsterdam, invece gli Amsterdamoni popolani ruspanti e doc ti chiamano tesoro. L'idraulico simpatico, la signora sessantenne sbiondita, cotonata ed abbronzata che mi passa il cartoccione di patatine fritte ("hier schat"), i muratori dalle impalcature, ma anche tutti i maschi gay e fatui di cui questa città abbonda, e che abbondano loro in tutte le professioni di servizio al pubblico, nei caffé, nei negozi, sul tram a timbrarti biglietti.

Ecco, a me sentirmi dire "schat" invece mi piace, indipendentemente da chi me lo dica. Un po' come in Canada, un'amica d'infanzia di mia nonna mai vista mi abbracciò dicendomi "Core me" e commuovendomi fino alle lacrime. Un po' come quei negozianti simpatici che ti dicono "stella". O che ti chiamano "bella" a ogni piè sospinto (ecco, questa è mia, io do'del bello/bella a chiunque mi capiti a tiro).

Questa cosa che anni fa scoprii che le ragazze olandesi che bazzicavano l'Italia (studentesse di italiano all'Università, in genere) le irritava da morire. Il sentirsi chiamare indiscriminatamente "bella". Per loro era un approccio indesiderato (e sono fatti così, che ti devo dire. Per approcciarli un minimo rilassati bisogna berci insieme, e capisci che se uno è astemio qui rischia di morire vergine. Nano, mi senti? PNV? Dico a te, non verresti quassù?)

Erano talmente rigide nei confronti del supposto macho nostrano, che magari gli sfuggiva che "bella" te lo dicono davvero tutti e che non significa niente. O significa tutto, perché a livello subliminale ti fa illudere di essere amato e coccolato, e ciò è sempre una soddisfazione.

Un po' come un conoscente polacco dei miei complimentoso al limite, che senza averla ancora conosciuta di persona esordiva al telefono con mia madre "Signora Margheritina buongiorno, ma la vedo davvero splendida oggi". La vedeva. (in Africa, mi dicono, la formula di saluto in certe zone è "Ti vedo". Brik, confermi?)

Insomma, visto che amarci non ci costa niente, amiamoci, amici miei, come diceva Hoffman ai discorsi commemorativi degli ex-soldati polacchi arenatisi in Italia dopo la guerra. Belli miei tutti quanto, vi auguro una bellissima giornata, io vado a perdermi tra i campi da golf e le villone nel verde in cerca di cucine e pavimenti.

4 commenti:

Costanza ha detto...

ciao, bella,

divertiti, ma poi torna ad amsterdam, mi raccomando!

Anonimo ha detto...

ma che bel post !!
e che bella giornata ti attende !!
te lo dice un'invidiosa, sommersa dagli acari e dalle cianfrusaglie delle pulizie di primavera !!

a presto
lasimo

Vera ha detto...

:)bellissimo questo post, credo che ci vuole proprio vivere in un posto per cogliere la sua anima, i turisti si fanno solo delle ilusioni ...
qui mi chiamano "sorella", oppure madame Burkinabé, un modo simpatico di essere vicini ... utopicamente ...
com'è pura utopia che tutte "belle" siano proprio belle in Italia ..

Anonimo ha detto...

il mio barista preferito (che adesso purtroppo ha cambiato lavoro ─ purtroppo per me, non per lui) mi chiamava "anima luce" :)

io invece sono quella che dice "bella/o" a tutti, specialmente quando lavoravo in un pub pieno di clienti abituali ed era difficile ricordarsi i nomi di tutti (soprattutto perché in media c'erano quindici Paolo, ventitré Marco e ottantanove Sabrina... ma i genitori romani degli anni Settanta fantasia niente, eh?)