La settimana scorsa ho conosciuto di persona un amico (si, è diventato un amico, capita) che finora conoscevo solo per e-mail. Si tratta di un collega italiano, che aveva una volta contattato e intervistato i miei compari di radio. Ci siamo mandati una mail così per cso, e da ottobre ci scriviamo giornalmente o quasi e ci raccontiamo i fatti nostri.
Fa sempre strano vedere in faccia una persona che nel frattempo hai imparato a leggere tra le righe e che di colpo ti si materializza accanto. Cose del genere in passato mi succedevano telefonicamente, come l'amicizia con l'Anna, che ci siamo messe in contatto per un corsista che dovevamo passarci e siamo state un anno a telefonarci e diventare intime, prima di vederci e sorprenderci per come eravamo diverse dalle rispettive immagini interne. anche adesso con Anna siamo molto vicine, anche se ci telefoniamo molto meno, purtroppo. Per dire che non è Internet, che senno' i bloggisti fra un po' cominciano a darmi dell'imbranata, che loro stanno tutti in Italia, talvolta vivono nella stessa regione e città e fanno subito a decidere di conoscersi di persona. Voglio dire che certe cose sono sempre esistite.
Dicevo che per e-mail con l'amico in questione, ovvero Don Stalin, ce ne siamo dette di tutti i colori, ma lui da mesi me la menava che nulla sostituisce la presenza fisica, il guardarsi negli occhioni eccetera. Secondo me invece è un caso di deformazione professionale: a me per iscritto, se sono scritti spontanei, sono poche le cose che mi sfuggono. Di persona invece sono distratta, mi scordo le cose che mi dicono, sono troppo multi-tasking. Lui lavora con i corpi e le voci, quindi il silenzio gli sottrae un sacco di metamessaggi che gli potrebbero essere utili.
A un certo punto l'ho visto quasi incazzarsi quando ho detto che mio marito mi rimprovera spesso che non ascolto la gente, e che ho notato che ultimamente preferisco sentirle, le persone, piuttosto che ascoltarle. Perché lui ha capito che non lo stavo ascoltando (beh, forse, un momento, non mi sento di escluderlo).
Ma mi rifiuto di farmi bocciare il mio sistemino. È una modalità che ho scoperto e di cui mi fido da relativamente poco, che noi femmine dall'intelletto ipertrofico mica stiamo lì a fidarci delle sensazioni. E sbagliamo.
Me l'ha insegnato Orso, il mio secondo cucciolo che fra un po' fa quattro anni. Orso è una roccia. A volte sta li e pensa e io a un certo punto, in primavera, mi chiedevo: ma io lo so cosa pensa quel bambino, che sta sempre zitto e pensa? L’ho chiesto a suo padre: Ma tu lo capisci Orso, lo sai cosa pensa? (che anche Orso padre è un gran taciturno, però nella vita sembra cavarsela in qualche modo, voglio dire, a me c'è riuscito a convinceri a venire quassù per lui, e allora ho pensato che forse tra laconici si capivano a modo loro). Lui riflette e mi fa: un po’ si. Beato te, io no. Poi invece ho capito che forse non saprò cosa pensa ma so molto bene, e a un livello puramente fisico e istintivo, quello che prova. E allora non me ne importa affatto di sapere a cosa pensi, basta che io percepisca se sta bene o male e che riesca ad intervenire in modo adeguato. Cosa che finora mi riesce.
Ma Orso si sta aprendo molto anche lui crescendo, ha smesso di farsi venire le crisi di rabbia, che si butta per terra e non riponde, e adesso parla un sacco. Però mi ha insegnato una cosa fondamentale che mi sta aiutando un sacco nella vita, checché ne pensi Don Stalin, che non deve arrabbiarsi se non lo ascolto, perché io sono e resto distratta.
Ma Orso mi ha insegnato veramente una cosa bellissima, del che lo ringrazio. d'altrone i figli servono a farci crescere ("...the child is father of the man...").
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