Oggi mi sono portata dietro Orso che ci ha guadagnato una scorta di leccalecca offerti dall'ospite di turno. Poi mi è venuto in braccio.
"Ma è vero che quando io e Ennio eravamo nella tua pancia c'era anche un altro bambino?"
Allora lo ha ascoltato.
"Si amore, quando c'eri tu ce n'era un altro di bambino, ma ci è rimasto poco".
"E perché?"
"Mah, forse perché si è accorto che già ci eravate voi, e allora ha pensato che un'altro bambino poi era troppo per me, così ha deciso di tornare indietro e aspettare un'altra mamma".
"A me papà ha detto che è morto".
Ma come ti viene in mente, voi e i vostri discorsi da maschio? Che poi il follow-up tocca a me e io non ce la posso fare?
Che nella mia personalissima percezione delle cose le due parole bambino e morto proprio non ci stanno bene insieme. Perché mi metto immediatamente a piangere.
Alla faccia della respirazione, delle prese di coscienza, dei rituali e dell'agopuntura. Che io sono femmina, ecco. E la pancia è mia.
"Si, in effetti si può anche dirla come dice papà".
Che sarà anche vero, per come stavo messa allora, con due gemelli neonati e un piccolo di poco più grande e la nostra vita di allora, adesso non sarei qui a raccontarla. Se guardo le cose in faccia spassionatamente così è, non ce l'avrei mai fatta ad uscirne sana di mente.
Però per la mia percezione quel frutto di 9 settimane (dio aribenedica mia suocera per la parola frutto che usò allora, che da un punto di vista medico magari è anche giusto, ma per me è sempre stato un bambino) che ha smesso di crescere, io continuo a piangerlo come un mio figlio morto.
Anche se so che i figli morti non sono un trauma mio ma l'ho ereditato da mia nonna, non ci posso fare proprio niente per consolarmi.
Magari la visione del proprio corpo come un santuario sarà passata di moda, quello che è imprescindibile dalla vita di una donna fertile è la percezione del proprio corpo come una bara, quando succedono queste cose. E io sono di quelle che evidentemente con il proprio corpo, nelle sue infinite accezione, ci deve ancora scendere a patti.
10 commenti:
Eh, già, morto è una bruttissima parola. Ma scendere a patti col proprio corpo e parlare serenamente di quello che è stato: si deve proprio? Perché io dopo tanto tempo mi sarei anche rassegnata. Non ce la farò mai, e pace.
Un abbraccio.
Hai ragione che scendere a patti non ce lo prescrive il dottore, ed è proprio un pensiero su cui sto rimuginando da alcune settimane.
Ci si può anche mettere il cuore in pace che su certe cose preferiamo non scendere a patti perché ciò implicherebbe guardarle in faccia e dargli un nome (e certe volt almeno fin lì io ci arrivo pure). Poi in effetti su alcune ho deciso che le lascio dove sono, fino alla volta dopo, che tornano su, pungono per ricordarti che ci sono, e se ne rivanno in deposito.
Anch'io ci sto arrivando...
Poi magari, chissà, tra vent'anni, mi (ci) torneranno su, e usciranno fuori, e troveranno il loro posto nell'ordine delle cose.
Questo post mi ha smosso dentro. Ma non riesco a tirare fuori nulla di sensato da scriverti. Quindi è meglio se mi limito a ringraziarti, e tiro oltre. Grazie.
nn ce la faccio nemmeno a commentare.
come fai a scrivere queste cose con serenità tristezza e lucidità insieme?
Mah, forse perché contro l'ordine delle cose uno si mette il cuore in pace. Forse perché è un tipo di lutto che condivido con tante di quelle donne, che saperlo ridimensiona il mio.
Forse perché tutte quante certe volte abbiamo bisogno che qualcuno risollevi l'argomento, che appunto ci ricorda a tutte che è li e sta con noi e alla fine divnta anche una specie di compagnia.
E infine perché sono una donna fortunata: ho due figli fantastici che mi stroncano così non ho troppo tempo per i pensieri oziosi e che mi ripagano di tutte le sfighe della vita. E lo so che vivere in attesa del peggio non è saggio, ma certe volte è sano e un modo migliore per adesso non l'ho trovato.
Come giustamente dice LGO, riparliamone fra 20 anni, magai la menopausa fa quello che l'introspezione non può. Ed è comunque sempre il nostro corpo che ci dà la battuta.
Anche a me è successo, avrei un figlio di 27 anni se non ci si fosse messa di mezzo una patologia della placenta che ha posto fine ai miei sogni intorno alla dodicesima settimana e dopo un periodo piuttosto lungo di sempre più ansiosa ricerca della gravidanza.
Ricordo lo choc, il dolore profondo e la preoccupazione, visto che per risolvere definitivamente la faccenda dovetti pure fare qualche ciclo di chemio.
Però su questo piano non riesco a seguirti, non riesco a pensare a 9 settimane come a qualcos'altro che una potenzialità di vita. Poteva essere e non è stato. I figli morti per me sono un'altra cosa.
/graz
E' proprio bello il modo in cui l'hai spiegato a Orso...
Mia mamma ha avuto tre aborti naturali, altrimenti ora saremmo in sei e probabilmente tutti e sei maschi.
A distanza di oltre 35 anni per lei è ancora un problema parlarne.
Per cui, da maschio, ti capisco.
Sei maschi? Questa veramente non potrei proprio farcela. Grazie Jos.
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