giovedì 2 settembre 2010

Parco giochi?

Io delle volte ho il rimorso che i miei figli alla sabbiera ce li ho portati poco. Un po' che abitavamo nel posto più ventoso di Amsterdam, un po' il clima, un po' le età per cui quando Ennio aveva scoperto com'è bello tirare la sabbia negli occhi degli altri bambini Orso aveva appena imparato a camminare e si dirigeva con passo malfermo ma deciso verso la darsena per guardare l'acqua, le papere ed eventualmente imparare a nuotare. E io che mi ero appena abbandonata sfinita su una panchina gli dovevo correre dietro.

Per sorvolare sull'impresa inumana di scenderli 5 piani a piedi, vestirli, calzarli, convincerli senza sollevarli troppo di peso che la schiena mi serviva tutta per caricarli in bici e poi pedalare. E a quel punto ce n'è sempre uno che si fa la cacca addosso e puoi ricominciare. Il tutto infilando l'impresa tra sonnellini, allattamenti, giramenti di palle, fieri pasti e semplicemente il momento di sconforto e abbiocco che mi assaliva quando non dovevo allattare, cambiare, nutrire e addormentare nessuno e che ti dici: ne approfitto? Per cosa, per portare i panni 4 piani più giù a lavare e 5 piani più su a stendere ed asciugare, per lavare due piatti, per asciugare il bicchiere di latte che qualcuno ha appena rovesciato sul parquet, per finire quella traduzione che fra mezz'ora devo mandare al cliente? Fare una spesa, cucinare? O svengo direttamente sul divano?

Il più delle volte rinunciavo.

Poi mi leggo Panz e la sua esperienza del parchetto e riconosco un sacco di cose. A parte che lei tra i genitori del parchetto ha il nostro scrittore preferito e anche se l'uomo è furastico e lei quindi non glie l'ha mai confessato che ama i suoi libri, però vuoi mettere?

Riconosco quel momento magico in cui abitavamo sull'isola e nonostante il vento, il maltempo e l'acqua incombente eravamo tutti famiglie miste riprodottesi negli stessi anni, con figli coetanei che si conoscevano dalla prima ecografia, con problemi di inserimento nella società olandese comuni, con modi di fare molto più liberi, per cui ritrovrsi nell'atrio del nido con un pargolo urlante che non vuole mettere le scarpe o smettere di giocare, fai sempre subito a dire: dai che se ti sbrighi usciamo con l'amichetto, oppure, dai che li invitamo a mangiare le polpette da noi, per cui se andava bene alle 19 non stavi piena di sconforto a sparecchiare una cena fatta di fretta, lasciata a metà dai figli e troppo fredda per attrarre te che hai ancora fame, no.

Alle 19 ci si saluta stanchi, felici, mangiati, giocati e hai avuto persino la possibilità di fare una conversazione adulta. Magari aperto una bottiglia di vino. Riconciliata con la giornata lavorativa appena trascorsa. E sparecchi canterellando o aiuti qualcuno a riempire una lavatrice, mettere scarpe, giacche pigiami, lavare i denti insieme, fare una cacca in compagnia che come ti convince l'amichetto che già è autonomo nessuna supplica materna ci riesce. Scusate se è poco.

Poi niente, i figli sono cresciuti, sono andati in scuole diverse e alla fine abbiamo traslocato tutti sparsi ai 4 venti. E io adesso tutta questa vita sociale me la devo reinventare, ci si riesce, ma a fatica.

1 commento:

Panzallaria ha detto...

hai capito esattamente il senso (e sullo scrittore preferito ho riso davvero troppo! ;-))...ci pensavo l'altro giorno al fatto che io, che non si direbbe ma sono attaccatissima alle abitudini, alla casa, perfino ai negozi del quartiere, chissà come reagirò quando qualcuno - inevitabilmente - traslocherà o semplicemente i figli non andranno più a scuola insieme... perché crescono loro e cambia la vita, cambia sempre ma con loro costanti, non so come dire, te ne accorgi di più, ogni loro centimetro è un cambiamento e prima di averli, sti figli, mica te ne rendevi tanto conto dei cambiamenti, non erano così evidenti. detto questo, io sono convinta che tu ce la farai a ricreare un contesto come quello che avevi, ce la rifarai e ti dirò: io mi sentirei fortunatissima ad avere un'amica come te vicina...sei un mondo sorprendente.