sabato 5 aprile 2008

Accendiamo la luce

Ogni tanto passo dal circuito del tram di Wetering, di fronte alla birreria Heineken dove la gente va a farsi la Heineken Experience (e vabbé, ci sono pure quelli che vanno a farsi fregare soldi dal Museo del Sesso, che è una stronzata).

C'è un muro con un verso di H.M. van Randwijk (Gorinchem 9 novembre 1909 - Purmerend 13 maggio 1966).



Ecco, ci pensavo stasera dopo una conversazione con dei poeti torinesi in visita a Amsterdam, e una discussione su come sia difficile in Italia uscire dai ricatti. Muori sul lavoro perché non osi lamentarti delle misure di sicurezza che mancano, la politica viene vista come una cosa profondamente estranea, il paese è in mano alla criminalità, come si fa a parlare di elezioni libere in certe regioni, non si dimostra più, tutti sembrano estremamente depressi e hanno l'idea che non ci sia via d'uscita. Che bisogna star zitti e tirare avanti, che tutto il sistema è marcio e protestare, sei da solo, allora abbozzi e subisci.

Detto da poeti, gente che almeno in questo modo una sua via d'uscita la cerca e la trova, che dire, ci ha buttati molto giù. E allora ho pensato al verso di van Randwijk, che in modo bellissimo e intraducibile (mi appello alla corrente di pensiero che afferma che tutta la poesia per definizione è intraducibile) dice che:

se un popolo cede ai tiranni,
perde ben più del corpo e dei beni.
Perché allora la luce scema.

Non facciamola spegnere la luce, per piacere. Deprimendoci, facciamo il gioco di chi ci vuole impotenti.

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