venerdì 28 gennaio 2011

Aperti i cancelli, la memoria di cosa?

Quando gli inglesi - che erano poi gli inglesi? mi pare di si, ma con le cronache di famiglia succede che si va all' essenziale e i dettagli giornalistici contano meno, per questo poi oltre alla storia orale abbiamo bisogno di quelli che per professione tengono le fila del discorso - vennero a liberare mio nonno e i suoi compagni -che poi, compagni? Compagni di sventure, compagni di prigionia, ma anche gente che per alcuni anni è stata artificialmente tenuta insieme in una situazione in cui la morte dell' uno spesso allontanava quella dell' altro, magari di poco, ma così era, e allora di quale compagnia stiamo parlando - dal campo di concentramento - terza interruzione, quale di preciso? So che Treblinka l' ha fatto, era sotto casa, e Auschwitz e anche un terzo, ma in quale ordine boh -si accorsero che c' era un' epidemia di tifo. E per paura del contagio li richiusero subitissimo quei cancelli per aspettare che i malati morissero e chi sopravviveva buon per lui.

Così fu che lui, mio nonno Ludwik intendo, insieme ai suoi amici si aspettarono, chi stava meglio curò gli ammalati in attesa che stessero meglio anche loro in modo da avere il permesso di tornare a casa. Cosa che fecero.

Poi per sapere queste storie di mio nonno, sua moglie e i suoi figli attesero una trentina d' anni, quando uno di quei suoi amici, il ragazzo dello stesso quartiere finito in cucina e che gli nascondeva le bucce di patate e gli altri avanzi, a rischio di esecuzione sommaria se lo beccavano, pubblicò un suo libro di memorie. E mio nonno continuò a non aprire bocca fino all' ultimo inverno in cui vissi con loro per alcuni mesi e ogni tanto qualcosa me la diceva, non narrrativa o esplicativa, dettagli, bozzetti, però a tutti i figli regalò una copia del libro.

Ora il punto è che la giornata della memoria, che io devo sempre metabolizzare un pochino, è sulla data in cui aprirono i cancelli ad Auschwitz ed è giusto che sia così, quando decidiamo di fare della reductio ad Auschwitz il simbolo di tutto il male e di tutti i massacri e genocidi del mondo. Che mi starebbe anche benissimo, ma non mi permette di raccontarvi in questa sede di quando Tamara, lei russo-polacca imprigionata quindicenne da Stalin, e Nicola, lui soldatino italiano con le scarpe di cartone, si incontrarono in un campo - quale? - in Russia forse o in Germania? E in Germania come ci erano arrivati? e dopo la liberazione rientrarono scalzi e a piedi in Italia.

E appena entrati in paese, prima di tornare a casa, il compare Nicola che per me e sempre stato il compare Nicola, Nicola di Tomaso per la cronaca, entrò dal calzolaio per chiedere come stessero i suoi, e stavano bene, allora gli prese due paia di scarpe a credito, perchè sfiniti e stracciati si, ma scalzi non si vanno a conoscere i futuri suoceri, quello di presentarsi in società scalzi era un tabù nelle nostre campagne, come appresi dall' imbarazzo grave di mia nonna quando io giravo scalza per casa in presenza di vicine locali. E niente, poi lavorarono un sacco, misero su un bel negozio, si costruirono una bella villa e però lui morì di una qualche malattia che ancora quasi non avevano traslocato.

E non vi posso neanche raccontare di zia Janeczka, polacca di Vilnius, deportata con tutta la famiglia e tutta la città e tutti i polacchi baltici, come anche gli Armeni, sempre Stalin, ma c' è mica solo lui. che poi sposò zio Kazik che nella Polonia liberata dopo la guerra divenne diplomatico e al primo ricevimento ufficiale del lavoro di lui lei sentì parlare russo e cominciò a tremare, ma a tremare che dovette andare a nascondersi. E oggi ha più di 80 anni ma ancora balbetta leggermente.

Nessuna delle due ha mai avuto figli, perchè c' è un limite a quello che si può fare al corpo di una ragazza giovane in termini di abusi e privazioni per anni, senza che ci siano conseguenze. Che il corpo delle donne per me sono questi corpi qui, anche questi.

E non vi posso parlare dei serbi del Kosovo, altro genocidio nascosto dalla politica, di Vera che vive da non so quanti anni in Italia e che grazie ad amici italiani di stanza lì e con il passaporto italiano è potuta rientrare nel villaggio, cosa che ai suoi genitori ed altri è precluso, vedere la sua casa natale, andare a prendere il caffè dai vicini e parlarci come se niente fosse, quegli stessi vicini che però quando ha tentato di fotografarsela la casa, le si sono avventati, glielo hanno impedito, l' hanno praticamente cacciata via e non può tornarci più neanche se stavolta la scortano i caschi blu. Perchè fotografarsi casa sua diventa la prova che in fondo si, era ed è stata casa sua e dei suoi e non appartiene dalla notte dei tempi a chi ci sta adesso.

La cacciata sua e dei suoi forse è meno legittima di quanto la ragion politica vuole farci credere per amor di pace e comodità di chi ha qualcosa da dire sulle vite e le case degli altri. E il messaggio che è passatp è che di tutti quanti quelli stronzi, brutti, delinquenti e fascisti erano i serbi e solo ed esclusivamente i serbi, come se in quella guerra lì di stronzi, brutti, cattivi e fascisti non ce ne fossero stati molti l' un contro l' altro armati, ma per amor di pace abbiamo coperto tutti gli errori di quel periodo, quelli locali e quelli ancora più grossi supranazionali e pace.

Si aprano i cancelli. Fra 50 anni ne riparliamo e magari istituiamo anche lì una bella giornata della memoria, che vengono meglio a bocce non solo ferme, ma affondate nella polvere.

Magari richiudiamoli pure un attimo dopo la foto i cancelli per far crepare definitivamente quelli che ci stavano dietro e che dovevamo liberare. Poi magari aperti i cancelli, arrangiatevi e schiattate. Ma lontano dalle telecamere pliiis, perchè dopo tante sfighe abbiamo bisogno di star tranquilli e rincoglionirci, quindi niente storie scomode.

Una cosa così essenziale, la giornata della memoria, che mi stupisco quasi che non sia venuta in mente a me.

1 commento:

cristina ha detto...

mi è capitato di conoscere in un bel borgo in Langa un signore over 70. Mi ha raccontato che durante la guerra quando i tedeschi cercavano i partigiani fra le cascina di notte, sua mamma gli tappava la bocca perchè non si svegliasse piangendo e quindi facesse scoprire gli uomini che occasionalmente nascondevano in casa, facendo fucilare tutti. Oggi la borgata è stata acquistata e ristrutturata fantasticamente da tedeschi innamorati delle colline e del vino, ma lui mi diceva che quando li sente parlare la sera, anche se sa che stanno magari facendo festa, sente sulla bocca la mano di sua mamma e gli pare di soffocare. lo so che non è una storia di prigionia fisica, ma nessuno dovrebbe rabbrividire quando sente parlare un'altro uomo e i cancelli nella mente per molti non si sono più aperti.
forse è un OT, abbi pazienza.