Ultimamente la lettera e relativa risposta e controrisposta su Repubblica sul confronto treni olandesi-italiani. Ci aggiungo la mia.
"Ma siamo arrivati?"
"Si, adesso scendiamo, poi saliamo in stazione con la scala mobile e poi prendiamo il treno ed arriviamo ad Amsterdam".
Un genio. Mio marito è un genio, a me il dettaglio della scala mobile non sarebbe mai venuto in mente.
Che non solo atterriamo ad Eindhoven e ci tocca prendere un taxi che la navetta per la stazione è in ritardo e siamo gli ultimi della fila. Non solo ci annunciano che tra Den Bosch e Utrecht ci sono lavori e ci trasporteranno per bus. Non solo siamo carichi di bagagli, che tra i saldi e le cose che avevo lasciato a lavare ci siamo riempiti, ma abbiamo anche trovato una pecorella smarrita.
Una signora sopra i 60 anni, che all'annuncio che dovevamo scendere dal treno e proseguire in bus ha cominicato a ripetere con voce lamentosa:
"Ma io devo andare ad Amsterdam. Devo andare ad Amsterdam. Io devo andare ad Amsterdam".
"Ma è normale secondo te questa signora?"
"No", fa il capo.
Penso ai bambini che stanno per arrivare a casa con opa. Alla seccatura di doverci trascinare tutte queste borse. al dubbio se non troveremo traffico in autostrada. A che ora arriveremo a casa. E ignoro la signora.
"Porcaccia miseria. Io devo andare ad Amsterdam. Porcaccia miseria".
Manco ci guardiamo per consultarci, io e il capo. Che ormai ci conosciamo bene e so cosa sta per dire.
"Signora, noi andiamo ad Amsterdam. Lei viene con noi e prendiamo l'autobus."
Io con la mano libera le prendo la valigia, montiamo sull'ascensore più lento che abbiamo mai visto, poi riscendiamo all'altro lato e ci mettiamo in fila per l'autobus.
"Porcaccia miseria. La mia amica in Limburgo, poi devo telefonarle. Porcaccia miseria. Lei si preoccupoava che devo prendere l'autobus e poi il treno. Io devo andare ad Amsterdam".
Alla fila si aggiunge una ragazza marocchina con il velo, un bambino per mano e uno piccolo attaccato al marsupio. Tengo d'occhio il grande, se si allontana o scappa via lo placco per riconsegnarlo alla madre. Che chissà perché, fino all'anno scorso tutti i miei viaggi con i bambini erano dei faticosi esercizi fisici, e per fortuna qualcuno me li riportava, quando ero bloccata da bagagli e cose varie.
"Porcaccia miseria, non ci voleva"
"Vero", concordo.
Finché si tiene sulle frasi standard la signora la capisco. Ma poi mi perdo. Per fortuna il capo le dà retta. Pare abiti in comunità ad Amsterdam e sia andata a trovare questa amica in Limburgo. È veramente sconvolta da tutti questi cambiamenti.
Mi rendo conto per l'ennesima volta come avere dei limiti (una caviglia slogata, un pancione, un bambino che si rifiuta di camminare) e cercare di fare una vita autonoma e soprattutto mobile sia un grosso guaio quando capitano gli imprevisti. Ci penso un po' sopra.
Se dio vuole arriva il pullman, la signora non si fida a lasciare la valigia sotto con le altre.
"E se poi non la trovo?"
"Ma c'è il suo nome sopra?"
Il capo rivolta un etichetta e legge, ma è una calligrafia faticosa.
"Rita", faccio io, "è la signora Rita".
"Lei si chiama Rita?" chiede il capo, sempre con il suo tono tranquillo, determinato e misurato, da quando lo sento parlare con la signora.
"Si".
"Allora non c'è problema, quando scendiamo leggiamo il nome".
La signora non sembra convinta, ma la ragazza in divisa da ferroviera che aiuta a caricare i bagagli, tranquilla e decisa le dice:
"Dia qui, signora, le prometto che ci penso io".
Saliamo. Durante il viaggio la signora prosegue con le sue giaculatorie, ogni tanto parla al capo che l'ascolta. Poi arriviamo ad Utrecht e deve andare in bagno. Prima di arrivare alle toilette vediamo che tra due minuti parte un treno.
"Signora, saliamo sul treno così possiamo usare il bagno lì".
Ci trasciniamo giù con lei e tutte le valigie giù, troviamo posto vicini, quando il treno parte il capo mi spedisce con lei alla toilette. Poi mi accorgo che la porta si è incastrata ma non chiusa e ci tengo un dito sopra, per evitare che le si spalanchi al primo scossone.
Mentre stiamo per arrivare ad Amsterdam, ripete la storia di telefonare alla sua amica per tranquillizarla sul cambio di percorso.
"... perché c'erano due persone che mi hanno aiutata, abbiamo preso l'autobus, poi di nuovo il treno e siamo arrivati ad Amsterdam."
Ci pensa.
"Non è stata poi una cosa così terribile", si dice.
All'atrio le chiediamo di nuovo se si ricorda come arrivare a casa o se vuole che l'accompagniamo. Si, lo sa, la vediamo immediatamente molto sicura di sé, ci ringrazia e ci salutiamo.
"In fondo, non l'avrebbero mandata da sola in treno dal Limburgo ad Amsterdam se non fosse in grado di cavarsela".
"Massì, è solo l'incertezza dei cambiamenti che l'ha stressata", dico io.
Non dico che quando alla stazione ci hanno annunciato il contrattempo mi stavano per cadere le braccia. Che l'essere in balia dei mezzi pubblici stressa parecchio anche me.
Però dopo oggi, mi dico che se proprio un giorno mi tocca, spero di finire come Iris Murdoch. Con un marito che mi accudirà pazientemente quando e se avrò l'Alzheimer.
3 commenti:
i mezzi stressano molto anche me veramente... potevo essere io quella signora solo che a 29 anni mi avreste detto che ero una rincoglionita, e sarebbe stato anche vero :)
vabbè sani e salvi a casa... a proposito di casa, mia figlia è nata in vitro dopo un sacco di difficoltà, portasse anche sfiga? :-)
hihihi
cara mammamsterdam, noi vogliamo venire a vivere ad amsterdam, come facciamo? cosa facciamo? (non scherzo mica eh) Lavoriamo per la tv, insomma, qualcosa sappiamo fare. Per quanto mi riguarda posso fare anche la cameriera/banconista/trapezista.
ah va beh, vedo che sarai occupata a rispondere ad annunci di domanda lavoro, e non ti voglio disturbare oltre.
ti dirò che i mezzi pubblici mandono in tilt anche me, e non arrivo ai 40! vado proprio in apnea ansiosa. mi potrei agrappare a chiunque passi e dimostri un minimo interesse nei miei confronti.
siete stati gentili.
ciao
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