Veni, vidi, vici. Il mio megarapido viaggetto di 2,5 gg. a Mosca è stato una grande soddisfazione. Innanzitutto, il mio russo, benché potentemente arrugginito e bisognoso di tanto lubrificante, non è del tutto defunto. E ho notato (ma questo praticamente sul piede di partenza, ovvero al caffé dell'aeroporto, dove ho pranzato) che se mi limito a parlare con il pilota automatico, ho persino un gran bell'accento convincente. Solo quello, ma è un inizio. Un te, una tartina e una zuppa posso ancora ordinarli (e ciò vuol dire che non morirò di fame).
Ho riscoperto il mito dei brindisi: quanti se ne riescono a fare in un'unica cena. Che si beva o no, l'importante è che i bicchierini di wodka trillino e che ci si bagnino le labbra. E non tutti i russi bevono ad fundum.
Sono entrata ai Magazzini GUM, grande mito della mia gioventù, e al Paradiso dei Bambini e ne sono uscita subito. Che dire, i danni che il capitalismo fa a certi miti storici.
Ho visto al volo la Piazza Rossa e il Cremlino, con la cattedrale dell'Assunzione. Ho ascoltato un'orchestra zigana e una folk (a tutte le cene c'era un ensemble che rallegrava l'ambiente e ammazzava la conversazione, meglio, che così apprezzavamo pienamente le pause). Cavolo, a colazione ci hanno dato un'arpista in abito da sera rosa che suonava moderni classici, come i Beatles.
E a tutte le cene (due, vabbé) mi presentavo barcollante in tacchi da 12, mai messi prima, perché vivaddio in Rome do like Romans do, in Russia mettiamoci i tacchi e le robine belline che si mettono le russe, non potendo in breve tempo farmi i capelli e le unghie (la manutenzione ordinaria non si improvvisa, quella straordinaria si).
Ho dormito nel mitico Hotel Metropol, ma non sono riuscita a farci la sauna (e cavolo, bisogn pur lavorare).
Ho comprato i biscottini di marca "Bolshevik" al supermercato SPAR e il caviale di salmone al duty free. E rimpango il latte che sa di vero latte e la meravigliosa panna acida che non troverò mai qui. Spero solo che la Ue ci metta tempo ad arrivare lì, almeno per quanto riguarda latte e affini.
Ho risentito quel mix di profumo di aneto, salamoia e carne affumicata che da solo mi porta ad Est, e il fanstastico pane di segale a lievitazione naturale, con quel fondino di acido dentro.
Mi sono ricordata che la sentimentale anima slava non è un cliché, ma mi appartiene. Come la nostalgia per un mondo fittizio in cui non ho mai vissuto, ma che mi sa tanto di casa.
Perché questo era il mio primo viaggio in Russia.
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