mercoledì 7 aprile 2010

Venerdì santo all'Aquila (Fahrenheit, le focaccine de Ju Boss e il torrone Nurzia)


La puntata di Fahrenheit all'Aquila per me è rappresentato da questa foto della redazione mobile con sullo sfondo le impalcature che tengono su i palazzi e proteggono il passaggio nel vicolo di sotto.

Avevo promesso di mettere le foto di Orfeo su come è poi andata all'Aquila venerdì scorso, per l'intervista. Ecco, a Piazza Duomo ci sono arrivata così, con gli occhi vuoti e la faccia più asimmetrica del solito.

Intanto comincio col dire che ho dormito con Vic e lo spinacino duenne, che cascava dal sonno ma non voleva proprio addormentarsi e piangeva spaventato, per cui ce lo siamo messe in mezzo nel divano letto, ogni volta che nel sonno perdeva la presa dal biberon si svegliava urlando. La presa l'ha persa spesso, ma dopo si riaddormentava, mentre io e Vic, nelle pause al buio, siamo almeno riuscite a scambiarci qualche considerazione di quelle che non abbiamo mai tempo di fare. Così ho perso il pullman per l'Aquila delle 10.30.

Ho perso il pullman? Si, diciamo che erano giorni che mi tormentava l'idea di rientrare a Piazza Duomo, e in pubblico per di più, quindi senza avere il tempo di girarmi intorno, fare mente locale, lasciare spazio ai ricordi, no, bum-paf e sei in mezzo a gente che è venuta per te e a cui devi qualche risposta coerente. Non a caso, e sempre involontariamente, ho perso il pullman. L'ho preso alle 13.10.

Tiburtina, Chieti Scalo, poi l'autostrada, ma io sto leggendo o finendo il berretto all'uncinetto per Orso, vedo un attimo la corrente del Tirino e le officine, poi l'allevamento di trote, poi Ofena in lontananza, poi Capestrano, poi mi accorgo che Ofena da più vicino me la sono persa, mi sono distratta dietro all'uncinetto che ho appreso ultimamente da youtube, che io per l'uncinetto mai stata una fan, siamo a Navelli, mi perdo per un pelo il bivio di Onna e siamo già a quello di Paganica, Bazzano, le casette, non più orrende di qualsiasi condominio, è vero, ma orrendo è quello che le sottintende, mi sono fatta il mio pezzo di Statale 17 guardandomi poco in giro, e quel poco con gratitudine, ma appunto, forse era la misura di quello che potevo e non l'ho voluta superare.

Alla stazione degli autobus devo resettarmi un momento: i bagni sono chiusi, la scala mobile non funziona (l'ascensore pare di si) e tutti i servizi sono inondati dal sole di questo pomeriggio, tutti fuori nei container. Cerco un autobus che mi porti in piazza, poi mi dico che è meglio darmi la distanza di un taxi, che mi lascia all'imbocco del corso, sopra la Villa. E adesso non scappo, devo farmela a piedi, con lo zaino stracolmo di bulbi da regalare.

E salgo. A destra Via dei Giardini, dove abitava la nonna di Vic e poi Caterina, la mia coinquilina di Via ed Arco Ricci. Di fronte il cinema con una locandina in bacheca. Sopra la gioielleria Armenia, aperta, e la pizzeria. In quella pizzeria io e Grazia ci prendevamo un calzone per cena quelle volte che rientravamo troppo stanche e tardi da lezione per pensare di metterci a cucinare o andare a mensa. Che lei stava preparando l'esame di igiene e mi diceva che i rossetti e la bruciacchiatura sulla pizza erano cancerogeni e io mandavo giu, machissenefrega. Hai diciannove anni e sei immortale.

La pizzeria all'angolo con via Celestino V, la mia camera del primo anno di università a pensione dal signor Mario Signora, cui giunsi raccomandata da Mario di Gregorio, quello della profumeria in Piazza Palazzo che aveva comprato a Tortoreto quella parte di casa di nonna in cui ho trascorso la mia infanzia delle elementari. che prima della fine dell'anno il signor Sigora morì e andammo al funerale in Santa Giusta. Un reticolato di puntelli di legno tengono separati i muri che formano il vicolo. Il palazzo tocca intravederlo tra i buchi, ma io vado avanti.

Il negozio della zia di Vic, e la pasticceria, chiusi. Un arco di puntelli sotto cui passare. Un occhio a sinistra verso piazza della prefettura, vedo solo la chiesa-teatro dove conobbi Giorgina la volta che venne a recitare qui e toccò stanarla in camerino, lei amica di infanzia di Vic. Della piece non ricordo nulla.

In cima a destra il Caffé Nurzia è aperto, tutti i vicoli sono transennati. E poi questo.


E dietro questo, e la scritta Riprendiamoci la città, la percepisco meglio dopo, in qualche modo mi rasserena, è quello che sono venuta a fare in fondo, no? A riprendermela.

Vado a bere alla fontanella di fronte alla Chiesa delle Anime sante prima di avvicinarmi al mucchio, trovare Maura e rasserenarmi. Orfeo ci stana e mi fotografa per salutarmi.

Più tardi ci faremo un giretto intorno alla piazza, entreremo in chiesa che mi sembra stranamente piccola, infatti hanno messo una tamponatura per separare la parte agibile da quella con la cupola sfondata che adesso è avvolta in un telo protettivo.

Accendiamo delle candele, una cosa che faccio sempre pensando a mio padre, mia nonna e tutti i vari Summa e Silvestrone che mi hanno preceduto, stavolta penso in particolare a zia Vittoria e zio Antonio, il mio pro-prozio letterato, quello che ha sempre saputo che avrei scritto e mi incoraggiava in questo senso, e si faceva passare le copie dei miei temi, e chissà se lui ci crederebbe a una cosa come Fahrenheit per parlare di libri.

Che come dice mio cugino Stefano, i portatori (in)sani del gene scrittorio in famiglia sono tutte donne. Le uniche che scrivano fiction, ai maschi lasciamo la letteratura scientifica. Caro, sta parlando di sua nonna ovviamente.

"Maura, ma noi non eravamo atee e materialiste, e accendiamo candele?". Mi spintona.


Poi abbiamo incontrato i sanbenedettesi pazzi, che la loro versione la leggete qui e siamo andati a berci un caffé al torrone Nurzia perché dovevo andare al bagno.

Nel frattempo ero anche incocciata in Anna, che adesso ha affittato per conto suo una casa, visto che pur avendo perso casa e bottega in centro, a due sputi e mezzo da piazza Duomo, fa parte della lista degli invisibili, quelli cioè, che non hanno diritto a nulla perché non stanno in nessuna lista, e che mi invita ad andare a stare da lei. La capisco, nulla che ti dia il senso di casa come avere ospiti, dopo aver vissuto per dei mesi nel container che si erano comprati da soli pur di restare vicino all'Aquila e capire cosa stava succedendo.

C'è chi mi dice che a un certo punto faceva fatica a seguire le sue cronache a distanza, la trovava inutilmente arrabbiata ed eccessivamente critica. Poi i fatti le hanno solo dato ragione, ma è una consolazione da niente. E dico la verità, anche se non ho potuto fare a meno delle sue cronache dal posto in questo anno, in certi periodi me le diluivo nel tempo, non ce la facevo in certi giorni a leggere che altro modo di violentare la città e i suoi abitanti avessero trovato.

E poi mi vedo con Marcello che mi aggiorna sulle ennesime perdite degli ultimi tempi, ma anche dei suoi progetti di teatro, e a lui posso dire che ho paura di quel palco, ma che chissenefrega, è solo come tutte le altre volte che stai per andare in scena, e tiri un respiro e ci vai.

E ci ritroviamo qui, il Marinus con la Saretta, quella della Vita in tenda ma che io conoscevo come Regina del Pop Corn. Quasi non ci parlo, non c'è modo, ma è caruccia, mi ricorda per certi versi me alla sua età, anche se dire una cosa del genere ti dà la misura di quanto sia lontana la mia età di allora all'Aquila.

Ci lasciamo andare a considerazioni sulle mutande da cambiarsi come topos letterario, cosa che Sinibaldi lascia correre con il suo aplomb meraviglioso, tanto ormai pippe mentali in diretta l'ho già detto ("Mi sono fatto troppe risate alla radio a immaginare il salto sulla sedia che deve aver fatto" mi dirà l'Artista Borderline, mentre don Stalin che ha sentito solo l'ultima parte dell'intervista a quella delle mutande si dirà, "ecco, questa è proprio lei" per poi scrivermi se mi ero almeno resa conto di trovarmi nel tempio della cultura con la CUL maiuscola? No, forse in quel momento mi era sfuggito.)

Comunque sul palco ci sto bene da subito, a fianco dell'insegnante che ha scritto la favola della volpe e parliamo degli infiniti modi con cui uno può mettere distanza tra il sé scrittore e quello di cui scrive, se lo ha vissuto: c'è chi lo fa con una favola, chi con storie inventate, chi con la cronaca, chi con la distanza fisica da superare. Magari abbiamo svicolato dal tema del dialetto a cui credo tenesse il conduttore, ma mi è sembrata una bella deriva.

E il fatto che almeno tre dei presenti il proprio libro hanno iniziato a pubblicarselo su un blog mi è sembrata un'altra occasione mancata per non parlare di Internet solo quando arriva la pubblicita del Viagra o quando il pedofilo di turno ci adesca i ragazzini, come fanno sempre i media italiani. Ma il tempo delle trasmissioni è quello, tutto non puoi dire.

In quei venti minuti sul palco il sole scompare e il tempo è radicalmente cambiato e adesso condivido tutto lo stupore della signora che sull'autobus mi aveva vista senza calze, meravigliandosene, che all'Aquila mica ci facciamo distrarre dal primo raggio di sole per scordarci che fa freddo ad aprile? La stessa signora che mi ha confessato di rifiutarsi di entrare in centro e per fortuna non ci è costretta.

Che fa la pendolare su e giù tra lavoro e camera temporanea sulla costa. Un anno in una camera d'albergo in due, quando va bene. E 150 km. al giorno all'andata e altrettanti al ritorno, se il lavoro te l'hanno spostato ad Avezzano.

Prima di dire che quelli che fischiano Berlusconi sono una minoranza, forse bisognerebbe vedere quanto è esausta la maggioranza sfollata a forza senza alternative. Esausta fisicamente, che è il miglior modo per farli stare zitti.

Poi dal palco mi cade l'occhio sulla bifora del caffé all'angolo, quello con il lounge in pelle al primo piano dove prima c'era il negozio di stoffe da cui vengono le mie tende, un tessuto tradizionale senza rovescio che adesso non fanno più, mi raccontava il signore del negozio di stoffe accanto quando mi ha raccontato che il collega aveva chiuso perché mancava di successori e quelli del caffé gli avevano fatto un'offerta che non si può rifiutare.

E lo capisco benissimo, che già il signore ultracinquantenne che mi aveva tagliato le stoffe, indicatomi dal proprietario come "il ragazzo", mi aveva dato la misura di come certe botteghe storiche, quando mancano di rinnovamento, possono solo far spazio ai bar fighetti.

Che poi anche il bar fighetto diventa parte del tuo passato, come la volta che con Vic dopo anni ci siamo riuscite a ritagliare un'oretta tutta per noi su quei divani di pelle bianca guardando la chiesa al di là della bifora mentre io allattavo Orso, quel caffé con la verandina di legno dalle tende bianche fuori dove ho preso un caffé al volo per rivedere Marcello dopo vent'anni, io contornata di figli che si facevano la doccia alla fontanella di fronte e di madre che tentava di tenerli fermi.

Ho guardato quella bifora dal palco e mi sono dovuta tirare giù gli occhiali da sole, che già le lenti a contatto le metto poco e gli occhiali da sole anche meno, ma stavolta me li sono portata dietro apposta sapendo che ci sarebbe stato un momento in cui mi sarebbero serviti tutti. Orfeo mi sfotterà dandomi della diva, che è un bel modo per relativizzare.

Perché lo ripeto, io forse ci sarei dovuta venire prima da sola per conto mio, ma non tutto si può nella vita.

Poi scendo e mi viene incontro un signore.
"Io sono di Villa" che sarebbe Villa Santa Lucia. Villa Santa Lucia degli Abruzzi, a voler essere precisi.
"E io sono la figlia di Ennio Summa".
"Lo so, mi ha insegnato", ed è vero che mio padre ha iniziato ad insegnare a ventanni proprio a Villa, insieme alla signora Battistini, ma questo signore mi sembra quasi un suo coetaneo che penso di aver capito male.

"Dipende, farà il capo, che età avevano i suoi alunni?"
Le medie, hai ragione capo, può tanto essere.

Poi mi si avvicina un'altra signora e mi dice che sua cugina è una mia enorme fan e chiedeva se poteva parlarmi al telefono (oddio, ciò i fan, è straniante questa cosa).

Al telefono mi risponde una donna in lacrime, che mi dice cosa ha significato per lei leggere Statale 17, che dopo il terremoto si era tutta demoralizzata ma io l'ho tirata su.

"Non preoccuparti" vorrei dirle (oggi do del tu a tutti perché tanto siamo all'Aquila e io riattivo certi meccanismi di mio padre) "nel frattempo l'ho capito l'effetto che fa questo libro alla gente" ma non lo dico perché sembrerebbe una cosa da stronze che se la tirano, però è vero che nel frattempo mi sono abituata a un certo tipo di reazioni.

Come direbbe lo slogan non ufficiale del libro, a voler riassumere le reazioni sentite finora:

Statale 17 è un libro morbido, tattile, taumaturgico. Compratelo, leggetelo, regalatelo.

Sinibaldi l'ha detto meglio, citando l'editrice Exorma che fa questi libri tanto eleganti, e io mi volto a guardare la faccia di Orfeo e Maura, e Maura sta tutto il tempo lì come la madre al primo saggio di danza della bambina, quella faccia lì. E sono contenta per loro, che sono soddisfazioni pure queste, visto che non è per i soldi che ti metti a fare il piccolo editore indipendente.

O a investire sul libro di una sconosciuta che sta in Olanda sulla base di 5 pagine, scritte bene quanto vuoi, ma cinque pagine non fanno un libro. Poi però insieme l'abbiamo fatto.

Poi riesco a farmi il giretto da sola che volevo. Poi abbiamo il culo gelato e decidiamo di andare a scaldarci alla cantina del Boss. Dove Maura mi spiega perché a suo avviso il libro fa quest'effetto alla gente:
"È che gli hai ricordato chi sono e da dove vengono".

Forse ha ragione, il fatto è che noi che viviamo fuori ce lo dobbiamo ricordare tutte le mattine chi siamo e da dove veniamo.

Dal Boss quando entriamo è ancora tranquillo ma tempo un vassoio di focaccine al prosciutto, e non è che si riempie. Di più.

I soliti avventori prevedibili, e poi ragazzini con e senza cane, madri con bambini piccoli. O è la processione del Cristo Morto che inizierà fra poco, o davvero è vitale e urgente ricreare luoghi di aggregazione in città per gli aquilani. Lo dice il sindaco Cialente sulla scalinata di san Bernardino e spero che riesca a rifarla presto.

Per il futuro del Boss non mi preoccupo: a proposito dei locali storici che passano la mano per mancanza di successori, questo qui invece è stato preso in mano dai figli, quello della foto pare si sia cambiato apposta il turno per ascoltare Fahrenheit e conosceva il libro. Vinaioli lettori, all'Aquila è normalissimo.

Decidiamo allora davvero di farla la rimpatriata informale da loro dopo la presentazione dell'8 maggio alla libreria Colacchi, spazi e ordinanze permettendo, visto che adesso devono chiudere alle 21 per ragioni di sicurezza.

Tanto i miei vecchi amici dell'università avevano già iniziato a dire che ne avrebbero approfittato per tornare a farsi un giro all'Aquila anche loro con questa scusa.

Perché una cosa posso dirla: io che temevo tanto questo rientro nel centro fantasma della città ho trovato confermato quello che mi raccontava Titti: comincia a farsi strada una gran voglia di rientrare, ricominciare, ricostruire alla faccia della burocrazia e di tutto quello che ha rallentato le cose finora. alla faccia di chi fotografa e scheda e denuncia quelli delle carriole. Che i bulbi li avevo portati per chiedere a Anna di piantarmeli da qualche parte, ma me ne sono dimenticata.

Nonostante le deportazioni forzate (ma come, le camere di albergo nei dintorni per tutta la Protezione civile c'erano in questi mesi, può essere che solo gli aquilani andavano messi in alberghi il più lontano possibile? E perché far venire volontari da fuori e impedire ai locali di rimboccarsi le maniche in proprio? Veramente, questa gestione delle emergenze in cui si parte dal presupposto che le vittime sono solo un impiccio da togliersi di torno al più presto possibile per mettere al lavoro chi, con tutte le migliori intenzioni del mondo, non conosce la zona, la gente e le loro esigenze come quelli che lì ci hanno sempre vissuto e a cui magari farebbe bene avere qualcosa di concreto da fare, certe volte fa più danni del disastro naturale.)

Riprendiamoci la città è uno slogan e una dichiarazione d'intenti che sposo in toto. Io nel mio piccolo un po' me la sono ripresa e di questo devo ringraziare Fahrenheit che mi ha invitata, perché altrimenti avrei continuato a rimuginarmi questo bolo fino a maggio, e non so se lo reggevo per tutto questo tempo. Perché onestamente, come me le faccio io le pippe mentali, nessuno.

10 commenti:

supermambanana ha detto...

Statale 17, che ho finito in aereo in un baleno dopo che me lo hai dato (e non te l'ho manco fatto firmare, mannaggia, mo' che sei famosa hehehe) si e' misteriosamente materializzato sul comodino di Mr.M che se lo e' sbocconcellato un pochetto per sera ridacchiando ogni tanto pensando ogni tanto e l'altra domenica alla Festa di Pasqua del consolato lo andava propagandando ad amici iserniani. Tanto per informazione :-)

Mammamsterdam ha detto...

Eh, la pubblicità dal basso non è nulla in confronto a quella di lato (cioè il coniuge che ti legge accanto a letto).

extramamma ha detto...

E la pubblicità da dietro che fa paura!!! Sei bravissima, e meriti le reazioni del "tuo" pubblico!
un bacio da una fan xxx

graz ha detto...

Bello. Bello. Bello

Bello questo racconto, bello il libro che vive di vita propria, bello andare nel tempio della CULtura.

Bella tu nelle foto.
UNAFICACHEUNCENNE'

bravaaaaa!!

/graz

widepeak ha detto...

è la prima volta che riesco a ritagliarmi il tempo per leggere un tuo post "lungo" e sono contenta che sia stato proprio questo. so dove trovare il tuo libro (unica cosa decente del posto buffone dove lavoro, hanno tutto i libri di exorma)e prenderlo sarà la prima cosa che faccio quando rientro. un abbraccio

eli297 ha detto...

ciao cara,non ho tempo di legggere tutto il post,ho letto solo i primi paragrafi e mi riservo di finire con piu` tempo, mi piace molto per intanto... adesso sto scadicando il podcast di fahrenait,spero di trovarti li dentro... cia elisabetta da cork

emily ha detto...

che dire...sono pazzamente orgogliosa di queste amiche conosciute in internet (ma come? nn ci sono solo pedofili e viagra? no, ci sono anche donne strepitose!) che con la loro amicizia mi permettono di partecipare a cose che altrimenti sentirei estranee, xkè il terremoto e l'aquila, x quanto posso essere vicina a una situazione del genere, lo considero un affare mio solo xkè conosco te. x quello sono così critica con anna, lei riesce solo a gettare acido, e alla fine allontana.
e x inciso, la tua interpretazione del voto mi sembra molto....poco credibile, visto che alla fine a votare ci sono andati e hanno rivotato sempre mister B. ( e ha dato occasione al marito di dire: hai visto?nn sono mica tutti così scontenti....)
brava barbara, sei grande e lo sei ancora di più xkè nonostante tu faccia cento cose insieme a scrivere, ci riesci benissimo...che invidia

Pocahontas ha detto...

Wow. Per un attimo ho avuto l'impressione di essere li con te!

Andrea Pagliantini ha detto...

Sembri una peonia di maggio, sei in formissima e fra un poco comincio ad aggredire leggendo Statale 17.
Maremmaaa, con le parole di un tuo post io ne ricavo per tutto un mese :-)

silvia ha detto...

sono rimasta indietro con le letture. statale 17 lo aspetto. lo compro con l'autografo compreso. intanto leggo la tua vita che si aggiunge alla mia. e mi stupisce sempre vedere scritti i miei pensieri. e devo leggere i post che ho volutamente lasciato indietro. ma lo faccio. è sempre taumaturgico. un bà.