lunedì 2 maggio 2011

Vivere di scrittura.

Sul blog di Loredana Lipperini c' è questa interessante discussione sull' apprendistato giornalistico sul web. Ovviamente questo era lo spunto, poi la questione si è allargata.

Volevo aggiungere un commento ragionato a tutti gli spunti che la discussione nel commentario mi ha suscitata, ma è davvero troppo lunga per le regole di buona creanza. Ho pensato quindi di sportare qui le mie riflessioni, ma vi invito ad andarvi a leggere tutto il resto, perchè trovo importanti tutti i punti. E visto che siamo nel mezzo di cui discutiamo, mi farebbe un gran piacere sentire anche le vostre opinioni.

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Mi sembra molto interessante questo scambiarsi e intrecciarsi di elementi, perchè ogni reazione ne tira fuori una sfaccettatura. Vediamo se mi ricapo.

Leggendo il vademecum in questione quello che mi colpisce è il tono paternalistico. Hai voglia a dire che la rivista non è una scuola elementare ma un liceo, il tono è quello di chi insegna ai bambini del nido la differenza tra pannolino e continenza (a parte che quest' ultimo insegnamento è notevolmente più importante e rilevante nella nostra vita). Il che mi fa credere che ci siano tra gli aspiranti redattori parecchi di quelli che da noi si chiamano acchiappagalline.

Questo ci porta al discorso professionista verso dilettante: a un professionista non hai bisogno di dire i 3/4 di quello che sta nel vademecum, e soprattutto un professionista serio lo decide da se se è in grado di scrivere o meno 2, 3, 4 pezzi sullo stesso argomento senza ripetersi. A me alcune volte è riuscito benissimo.

Certo, e qui si arriva a chi lavora gratis e/o per imparare, uno che lavora in questi termini ti procura comunque un sacco di lavoro extra di editing per rendere pubblicabile un articolo (ammesso che poi la qualità di certe pubblicazioni sia davvero a questi livelli eccelsi). Non conveniva pagare, anche poco, una persona di cui sai che ti consegna i pezzi in tempo, della lunghezza concordata e non una battuta di meno o di più, usa le convenzioni della rivista ecc. ecc.? Sarebbe questo il messaggio da far passare e su cui concentrare gli sforzi.

Zauberei invita a valutare il contesto, se chiedi soldi rischi di sembrare talmente professionale, forse troppo, e allora prendono un altro. Zau, ti do tanta ragione, ma se il contesto non cominciamo a cambiarlo noi in prima persona rifiutandoci semplicemente di lavorare gratis, che ne parliamo a fare? (E noto con piacere che anche tu, come me, hai uno stile totalmente diverso rispetto a quello del blog, quando scrivi i commenti nei blog altrui).

Il che ci porta all' imprescindibilità del lavoro pagnotta, che però appunto mi rifiuto di vedere come vita vera VS hobbismo. Io sono una libera professionista il che significa che affitto il mio tempo qualificato a chi mi paga. Che in questo tempo io organizzi una fiera, faccia l' interprete a un congresso, traduca le istruzioni di un asciugacapelli, mi inventi un corso di scrittura, scriva un ricettario, corregga testi altrui o tenga degustazioni guidate di vini, mi dovete pagare e io vi emetto fattura.

Come ci sono arrivata alla committenza: ci ho messo 20 anni, agli inizi come tutti ho fatto gratis cose che non sapevo fare benissimo, con l' accordo esplicito che in caso di soddisfazione la terza cominciavano a pagarmi.

La rivista olandese per cui scrivo da 8 anni di cucina italiana l' ho contattata il giorno che è stata rilevata da un gruppo editoriale di cui ero nella mailing list e che mi aveva mandato un comunicato dicendo che una rubrica di cucina era il mio sogno da una vita, non è che nella nuova versione volete farne una? Si, mi dicono, ma abbiamo già qualcuno. Esce il primo numero, la prima rubrica scritta in modo platealmente incompetente - bene, se questo è il nuovo andazzo editoriale fatti loro, mi dico - due giorni dopo mi chiama il direttore per chiedermi se può venire e parlarne con me perchè non è venuta come volevano loro.

Il mio editore, anche lì, avevamo avuto un contatto e-mail per una cosa diversa, gli chiedo se visto che lui ha giornalmente sotto mano i costi, quanto costa materialmente produrre un libro che avevo in mente per la fondazione con cui collaboro, mi dice: mandami 5 pagine, una sinossi e una lunghezza prevista così posso dirtelo con precisione, e poi risponde che me lo pubblicano loro, anticipando 3500 euro di spese per me, fotografo e assistente per la fase di ricerca.

Cosa suggerisco a un giovane che vuole cominciare? Leggi tanto, scrivi tanto, fai tutti i mestieri della scrittura, gira, vedi gente, fai cose e non avere mai paura di proporre un tuo progetto. Impara a fare un business plan delle cose che vuoi proporre, vai alle fiere dell' editoria e chiacchiera con la gente, informati con chi ha già lavorato per questo o per quell' editore. E se ti scegli un editore fai prima i compiti, guarda cosa pubblica, che collane ha, se ha già titoli attinenti alla tua idea, in che modo il tuo progetto completa la sua offerta. Ci vuole un sacco di tempo, come no, ma sparare a zero all' impazzata non serve (signore, dammi la costanza di fare le cose che so benissimo che dovrei fare, ma poi per me no le faccio, però mi viene cos`^bene consigliarle agli altri).

Segui dei corsi solo se pensi che ti insegnino qualcosa che ancora non sai. Altrimenti vai in biblioteca, ti prendi 10 titoli del genere che ti interessa, li leggi e li sezioni per capire di quali elementi sono messi insieme. Leggi manuali che ce ne sono tanti. Leggiti Propp se ancora non l' hai fatto.

E non credere subito che sei un genio incompreso. Dopo 10 anni magari hai imparato qualcosa e sei comunque più sicuro di te stesso. E magari fatti un blog tanto per prendere la mano a scrivere qualcosa tutti i giorni, perchè l' assiduità è tutto.

Non cedere alle sirene del lavoro gratis e degli editori a pagamento. Si, D' Annunzio liceale si è pubblicato le prime cose in proprio, ma aveva il papà ricco ed erano altri tempi. Non fa uin bell' effetto, ecco.

Se per lavoro ti dedichi all' artigianato della scrittura in campi che ritieni al di sotto delle tue ambizioni, prendi in considerazione uno pseudonimo.

Se vuoi scrivere testi teatrali comincia a seguire le prove di una buona compagnia. Lì si che serve fare il galoppino, e magari anche l' attore.

Prova a partecipare a qualche concorso letterario scremando quelli che non ti danno affidamento (e soprattutto non farlo in modo compulsivo) tanto per vedere come va, se ti riesce mantenere il ritmo, tenerti entro la scadenza, darti un pochino di disciplina.

Ecco, meno male che le ho scritte tutte queste belle cose, magari uno di questi giorni mi ricordo pure di farle alla lettera, invece di cedere alle tentazioni centrifughe del mio carattere eclettico.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Perdonami, credo tu abbia completamente perso di vista il contesto italiano. Qui parliamo, per esempio, di Repubblica e del Corriere della sera che pagano 35 euro a pezzo. Per la cronaca che, come saprai, non si può proprio scrivere senza conoscere il mestiere.
barbara

Mammamsterdam ha detto...

Barbara lo so, non sono Biancaneve purtroppo e so che il corriere paga a una collega di qui esattamente quella cifra lì.

Quello che cercavo di dire è che tutti si lamentino di questo contesto ma molti sono conniventi accettando di lavorare gratis ad infinitum, mentre a mio modesto avviso questo andrebbe evitato proprio per una coscienza del proprio mestiere. Tanto se comunque ti devi mantenere facendo un altro lavoro, perchè lavorare gratis per degli sfruttatori? Per l' orgoglio di dire io scrivo?

Per 20 anni sono stata orgogliosa di dire io sono un' interprete e lo sono ancora,

Allora, so che in Italia in questo momento per quanto riguarda il lavoro è tutto bloccato, perchè queste dinamiche funzionano a tutti i livelli. A me sembra una cosa sconfortante e so che per disperazione comunqye la gente accetta tutte le condizioni sperando di migliorare un passo la volta. succede poi questo?

Non so, da un lato tutto fa curriculum (e io sono la prova vivente, marò i lavori strani, incongruenti e inutili che ho fatto pagato poco o per niente), però viviamo in un sistema che non premia il merito e che facciamo, ce ne andiamo tutti?

Poi il discorso che facevi mi pare tu sulle pubblicazioni che valgono come titolo di merito lo capisco benissimo, ma alla fine la situazione resta quella che è e di scrittura riescono a campare oin pochissimi, in compenso c' è tanta scrittura di infima qualità in giro e anche quella alla fine serve ad abbassare la percezione del livello.

In fondo con noi traduttori e interpreti tutto questo è già successo e le poche volte che ci si salva è quando come grupo si puntano i piedi con le agenzie. Per`ø ho visto che impuntandosi e mettendosi d' accordo per farlo, alla fine dei miglioramenti minimi si hanno.

luby ha detto...

ho delle amiche che fanno le traduttrici,ecco ,a loro ho sempre detto:
il lavoro va remunerato...sempre!
e così hanno fatto,ad ogni richiesta di traduzione loro hanno ricevuto compensi ed il loro curriculum è ricco di lavori.

gratis non E' un lavoro...è beneficienza...

MissMartinaB ha detto...

Ho letto con passione il tuo post.Finalmente qualcuno che non ha da offrire il solito acido negativismo!
Il mondo finirà?
Scriveranno sempre gli stessi?
Si andrà sempre a peggiorare, non pagando le persone che a loro volta produrranno contenuti più scadenti (dato che devono fare un altro lavoro nel frattempo)?
Ci sta di si, ma ci sta anche di no. Quindi se uno vuole fare, che faccia. E basta con questi avvertimenti.
Che tanto come fai sbagli e soprattutto dovunque ti butti poi c'è qualcuno pronto a sfruttarti. Anche se vai a fare lo spazzino!

d. ha detto...

Quando andavo al liceo scrivevo gratis per un giornale locale, per "farmi le ossa", poi ho fatto l'editor per un'importante casa editrice (pagata) e ho tradotto alcuni volumi (pagata).
Poi ho capito che non si poteva ragionevolmente vivere di scrittura o di lavori editoriali (non, almeno, se non si disponeva di una decina d'anni da destinare a gavetta a fondo perduto) e ho iniziato a fare altro. Rimane il fatto che il livello è pessimo, i giornalisti per lo più non sono competenti sui temi che trattano, i docenti universitari non sanno fare una bibliografia come si deve, i traduttori fanno piangere, i redattori pure: il metodo di non pagare è utile esclusivamente nell'epoca (limitata cronologicamente) dell'apprendistato. Se si dilata all'infinito abbiamo solo apprendisti e nessun vero professionista, qualunque siano le pretese della rivista Exibart.
Inoltre, se dubito fortemente che si possa insegnare la famosa "scrittura creativa", per saggi e giornalismo l'università avrebbe il dovere di insegnare le norme base, come si fa una citazione, come si fa una nota... Manca completamente l'insegnamento dei criteri di scientificità di una pubblicazione.

stefafra ha detto...

Sul lavorare gratis, ci sarebbe da scrivere un trattato sul concetto di "stage e stagista", ma anche di "apprendistato per iscriversi ai vari ordini" che sono allegramente in voga in Italia.
Ho lavorato gratis, piú di una volta, per "farmi esperienza", nel laboratorio dove faevo la tesi, in un laboratorio di analisi, in altri posti. Tutto nella speranza di avere qualcosa per rimpolpare il CV...

Poi sono partita per l'estero e mi sono accorta che questo tipo di attivitá é quasi sempre remunerato, seppure quasi sempre una miseria, ma qualcosa in tasca ti arriva...(anche se adesso qua negli UK, con la scusa della "big society" il governo preme sempre piú per incoraggiare la gente a fare volontariato gratis, inclusi gli studenti che cercano esperienza di laboratorio).
Credo che lavorare troppo gratis sia negativo, non solo per le tasche, ma anche per l'amor proprio, ti senti un po' un nulla a dover timbrare il cartellino senza poi avere nulla a fine mese, ma non solo.É anche deleterio per l'attitudine al lavoro che "tanto non mi pagano, cosa mi impegno a fare". Alla fine ti convinci che il tuo lavoro non vale niente, e sono buoni a prenderti e farti lavorare gratis.
Spero di essermi spiegata, che mi pare un po' confuso ma sono lievemente di corsa.

La vita è belga ha detto...

Mammamsterdam, non potrei essere più d'accordo. Quello che scrivi è una boccata d'aria fresca e spero che tanti (soprattutto italiani!) lo leggeranno.

A Barbara vorrei dire: smettiamo di picchiare la testa sempre e comunque conto il muro del pianto con la scusa del 'contesto italiano'. Certo, l'italia è un paese difficile e il giornalismo un mestiere ingrato (ma oggigiorno lo è in tanti paesi, te lo assicuro). Le grandi testate pagano una miseria ai giornalisti freelance.

E allora? Che è questa cosa italiana che "se non posso scrivere per La Reppublica allora niente"? E allora mi metto a piangere in un angolino oppure vado a fare uno di quegli 'stage' ridicolissimi che ti fanno pagare una sassata e ti offrono una settimana di pratica in un ufficio stampa prima di sbatterti fuori con nulla in mano e il portafoglio vuoto?

Il problema è che molti aspiranti-giornalisti italiani non hanno il senso del 'business' (orrenda parola), non si propongono, non rischiano.

Un po' di gavetta fa parte del gioco, in Italia forse più che altrove. Ma vi assicuro che fra tutte le riviste online, la stampa specializzata, le edizioni occasionali... del lavoro ce n'è per un giornalista/copywriter serio. Basta volerlo cercare, e rifiutarsi di lavorare per una miseria o -orribile dirsi- aggratis. Che fine ha fatto l'orgoglio professionale?

Mammamsterdam ha detto...

Il punto che in Italia ci frega un po' la mentalità che o costruiamo il colosseo o basta una baraccopoli, una villettina decente e con gli impianti che funzionano e i doppi vetri è troppo al disopra o al disotto delle nostre capacità.

Se parliamo di vivere di scrittura in effetti non serve essere il corrispondente figo del quotidiano a diffusione nazionale, ci sono tanti modi di praticare dell' ottimo artigianato della scrittura a pagamento e se poi vogliamo vincere il pulitzer se non ltro abiamo avuto la gavetta giusta.

E Carmen Covito che si è fatta pagarle (per devolverlo in beneficenza, ma è appunto il concetto che conta) perr scrivere le etichette per lo shampoo?

Un esempio per tutti noi.

piattinicinesi ha detto...

sono molto d'accordo sul concetto di artigianato. a chi vuole vivere di scrittura consiglierei di leggere tanto e bene, imparando le tecniche dai vari autori come quando si va a bottega dal vecchio mastro. poi si mettono su i giornali di scuola, di università. le collaborazioni gratis vanno bene per chi non ha esperienza, e l'esperienza deve essere limitata, una volta fatte le ossa si deve volare, bisognerebbe avere il coraggio di trovare strade alternative, di mettersi in proprio, di proporre. troppi aspettano ancora l'occasione ma ci sono troppi raccomandati nei luoghi tradizionali perché inserirsi sia facile. e poi c'è troppa puzza sotto il naso. di me dico che guadagno la pagnotta scrivendo, e quando specifico che lo faccio per le aziende, o per i siti web molti mi guardano come per dire, poverina. in questo mondo difficile bisogna avere fantasia per sollevarsi sopra il fango che ci tira a fondo