Condivido con voi uno scambio mail di stamattina perché stanotte in un momento buio non trovavo le parole per tirare fuori il dolore che covava. E stamattina apro la mail e trovo un messaggio dal titolo: un post che mi ha fatto pensare, questo.
Parliamone insieme se vi va.
"...hai scritto cose belle e intelligenti, e ho letto con partecipazione le risposte
io soffro ma quando ne parlo non so, mi sembra di soffrire di più
sicure che la rimozione o meglio il contenimento non siano terapeutici?
op meglio, vorrei parlarne e sentire un tap tap sulla spalla
ma poi il desiderio rimane lì, insoddisfatto
e tu come lo gestisci il tuo desiderio? non ci pensi +, ti è uscito dalla mente
anche in quei giorni che precedono il ciclo? dimmi come fai..."
Cara,
Non lo so, stanotte per esempio ero insonne a congelarmi davanti al computer e scrivevo un post che non ho pubblicato e piangevo. Non era il lutto che dici tu, un altro, ma sempre quello è. Poi quando ho pianto e mi sono raffreddata da sfinirmi, sono scesa, mi sono sparata 2 fette di prosciutto, mi sono presa un thriller che ho letto fino a dormire e stamattina era passato.
Non sto banalizzando, sto dicendo come va con me. Sono d'accordo che il contenimento ha una sua funzione importantissima, solo che per me è anche un peso che mi risucchia energie mantenerlo. E secondo me poi non è una cosa specifica, il lutto dell'aborto in questo caso, e solo quella che ti sbatte nel buco nero, è un insieme di cose, e quando cominci a toccarne una le altre si rispostano per ridividersi il
posto. A volte ne arriva una nuova e anche lì ci sono spostamenti. E tutto questo rende faticoso il contenimento, magari il dolore fosse statico. Non lo è per me.
Allora ogni tanto questi spostamenti per me raggiungono un culmine, che può essere piccolo come quello di stanotte, ci piango e ci ragiono qualche ora, poi una dormita e rientra.
Oppure grande, e lì interferisce con il mio funzionamento, la mia gioia, l'amore che posso distribuire in giro, l'entusiasmo con cui faccio le cose. E lì ci sono due possibilità: mi trascino, mi riempio di impegni e di lavori fino a crollare, dormo 20 ore al giorno se posso (negli ultimi anni lo evito riempiendomi di cose da fare, mi chiedo però se sia sbagliato). E a volte chiedo aiuto. (Non l'ho messo nella mail, ma pensandoci ora il mio chiedere aiuto delle volte comporta uno sfrantecamento di palle agli amici cari e al capo).
Alcune cose che mi hanno aiutata a vedermi con chiarezza negli ultimi anni sono state la respirazione con la coach, il paio di riti con l'amica sciamana, che io non ci credo ma lei si (ecco, mentre lo scrivevo si è spento e poi riacceso mprovvisamente e misteriosamente il computer:-)) e la psicomotricità, per la serie: che non si dica che non le ho provate tutte, a parte farmi benedire o darmi all'alcol e alle droghe che da lì mi viene facile stare alla larga.
Vedere con chiarezza non significa però risolvere e smettere di star male a intervalli più o meno lunghi. E a me un accenno di risoluzione lo sta dando la psicologa, che non si limita a farmi parlare e fare chiarezza, mi convince ad agire. E la fatica che ho fatto a decidere di andarci e quanto ci ho girato intorno - vedi sopra- mi dice che devo ringraziare mio figlio che con i suoi piccoli disagi mi ha spinta a cercare aiuto per lui, sapendo che era per me. Lunedi comincia anche
lui a vedere la terapeuta e quando gliel'ho ricordato stamattina ha emesso suoni di giubilo. Chissà che si immagina lui e chissà che mi immaginavo io quando non ci volevo andare.
Sono d'accordo con te sul parlare che è limitativo, io su uno dei miei lutti ci ho scritto un libro e ne ho parlato infinitamente con chi lo condivideva e chi no, ma parlare non è servito, anzi. Condividere però si e delle volte non devi parlare per farlo, anche se noi due adesso per forza condividiamo a parole scritte.
Ovvio che rimozione e contenimento, parole che io uso qui da ignorante quindi non in un senso specifico e tecnico che non è mio e non conosco (ci vorrebbe Zauberei qui) quindi prendili come citazione che ci capiamo cosa vuol dire, ovvio che sono terapeutici. Però dipende dal tipo di terapia di cui hai bisogno in quel momento.
Io non prendo mai gli antibiotici per le influenze, per esempio, me le faccio passare a forza di bestemmie, lamentazioni, rincoglionimento totale perché ovvio che continuo a fare quello che devo fare e un paio di giorni di catalessi profonda a letto. Mi durano il triplo e mi danno un fastidio che chi magari ha il medico che gli prescrive l'antibiotico si risparmia.
È ovvio che se ti stacchi mezzo dito tagliando la legna puoi anche decidere di farci una fasciatura stretta e vedere che succede, o correre al pronto soccorso e fartelo
riattaccare (e io con la fobia degli aghi che ho, piuttosto che farmi fare l'antitetanica magari aspetto e vedo che succede). È un esempio del cavolo e sembra che stia banalizzando la cosa ma ha un senso nell'ottica, giusta o sbagliata, con cui io affronto le cose.
Quello che a me serve è chiedermi, invece, cosa mi stia dicendo la mia reazione di me, non com'ero e come sono diventata, come sono in questo momento. Posso anche evitare di darmi una risposta se fa troppo male, ma chiederselo con metodo serve (a me).
Questo non me lo può far chiedere un'altra persona. La risposta non me la può dare un'altra persona. Il dolore non me lo fa passare un'altra persona, perché sono io ad averlo e io a sapere a cosa mi serve. Magari delle volte ci serviva, poi non ci serve più ma ci siamo scordati di buttarlo via. Perché buttarne via uno comporta di nuovo i famosi spostamenti per ridistribuire lo spazio alle piccole e grandi
sconfitte e torti che ci portiamo dietro.
Insomma, non so se quello che ti ho detto ti potrà essere utile, temo di no. Ma devo ringraziarti perché tu non sai quanto ne avessi bisogno io proprio stamattina della tua lettera e l'avermi costretta a pensare a questa risposta. E considerato che non ci sentiamo da un sacco di tempo, direi che il tempismo è tutto.
Senti, se non ti dispiace io ne faccio un post perché secondo me ci saranno altre reazioni che possono arricchire quello che ci siamo dette.
Un abbraccio fortissimo e grazie,
Ba
14 commenti:
Mi sono chiesta, egoisticamente, se fosse giusto per me leggere adesso il tuo intervento.
Anche a me, però, rimuovere o cercare di non pensarci fa male: sapere, considerare è comunque più vitale.
Mi sono sembrate parole di una sensibilità straordinaria. Vi ho trovato la storia di mia madre e tante altre che ho conosciuto, condiviso, o solo sfiorato in questi anni.
Grazie.
Un abbraccio,
S.
Mugs, in fondo lo sappiamo sempre da sole quando andare avanti e quando fermarci, indipendentemente dal fatto se sia giusto o sbagliato. Grazie a te.
Sono passati 6 e 5 anni, se fossero nati avrebbero quell'età e poi non mi è più capitato,
sono (ero)troppo vecchia e siamo rimasti senza figli...
Beh ,questo, di "questo"
non ne parlo mai...o quasi e faccio fatica anche ad ammetterlo...
...
Però in quei due "anniversari" me ne sto da sola con le mie candele accese e mi sembra di averli accanto ...quei due piccoli folletti che non stringerò mai fra le braccia... grazie per questo spazio...anche se non so cosa ho scritto...anche se non so se è di ciò che parlavi...scusami B. però grazie...
ora spingo invio e ..non ci penso più..
un bacio
v
Io credo che ognuno abbia il suo modo di rielaborare un lutto, così come qualsiasi altra situazione difficile. Ci sono le persone estroverse che hanno bisogno di buttare tutto fuori, e attraverso il fatto di stesso di parlarne (o scriverne) lo superano. Gli introversi che devono maturare per conto loro, e al massimo tirano fuori un commento alla fine, quando la parte più difficile è passata. Ovviamente ci sono tutte le sfumature di mezzo. Però tutti, indipendentemente dal carattere hanno bisogno di tempo e spazio. Il tempo che aiuta a prendere le distanze emotive e lo spazio che aiuta a sfuocare i contorni. La sofferenza poi si modifica con noi, si trasforma, si adatta al nuovo se che cresce, ma non ci abbandona mai completamente.
Non penso sia una questione di giusto o sbagliato, ma di utile o dannoso. Contenere, o peggio rimuovere, può sembrare necessario o utile ma secondo me è dannoso, dannosissimo. E' come uno di quei file che pensi di aver cancellato e invece rimangono in qualche recondito settore della memoria del computer e quando meno te lo aspetti ti mandano in tilt il sistema (proprio perché, come dici tu, il dolore non è statico). Quando affrontare queste cose, poi, è un'altra faccenda. Quando ho chiesto "è bene, non è bene, mi fa bene, mi fa male", mi è stato risposto "segui il tuo istinto". Siamo sempre lì. Utilissimo, a volte indispensabile l'aiuto degli altri. Ma alla fine siamo noi che dobbiamo guarire, nessuno può farlo al posto nostro, e imparare ad ascoltare se stesse è la cosa più difficile e importante, il lavoro di una vita.
Io sono per il contenimento, la rimozione. Sono sufficientemente lucida da capire che la rimozione non rimuove nulla: sì, è proprio come quei file che rimangono in memoria, e tu sai che ci sono e non li apri. Io ho delle foto, e so che ci sono ma non le guardo. Ho deciso di prendermi tutto il tempo che voglio. E il tempo (lasciarlo passare, aspettare) mi ha aiutata moltissimo.
In verità a queste cose non ci sono risposte facili.
C'è qualcosa di saggio nell'idea di Mammamsterdam di dire - questo è bene per me, ognuno sa per se cosa è bene: perchè ci sono molte vie per elaborare i lutti, e spesso crediamo che un altro non lo faccia, perchè non parla, e invece magari sta parlando il suo lutto con delle azioni. Che ne so, curare parossisticamente un giardino - può essere curare una parte di se mutilata, annaffiare un ricordo. I dolori hanno le loro strade e i loro tempi e la cosa migliore - nella sfiga - è sapere che ci stanno addosso. Magari questa consapevolezza arriva dopo: la rimozione è un meccanismo sano, che la psiche ha per proteggersi, come tutte le difese non è la sua esistenza a essere patologica è il suo abuso. Ma quando un bambino che subisce violenza mette una cosa all'angolo della testa - che poi riciccerà se rievocata da adulto, questo è problematico ma è altrettanto protettivo: il male è male e la psiche per affrontarlo deve trovare la forza.
Se alla lunga questo sapere non c'è - ma non mi pare qui il caso di nessuno qui- c'è da considerare il caso che alla persona quel non esserci è funzionale: potrebbe non farcela, e costringerla alla presa d'atto del dolore può essere una cosa che la fa schiantare.
Io mi butto a capofitto in mille cose da fare che poi tra il lavoro (a contatto col pubblico), la casa, la famiglia, mi riesce di un bene che non ti dico, .. Ma quel pensiero doloroso, quella perdita, quel qualcosa che ti manca e che ti crea angoscia, è sempre lì, ogni tanto fa capolino e io lo ributto giù... Grazie Zaub, che almeno hai spiegato che il meccanismo di rimozione è sano: a volte mi sembra di non vivere per quanta fatica faccio a soffocare l'infelicità che cova dentro di me per sopravvivere. E va beh mi devo fa vedè da uno bravo.. Zaub dov'è che ricevi tu??;-)
ecco, una ola per Zaub che speravo segretamente venisse a dare un'occhiata e risolverci.
IO aggiungerei una frase tratta da Czeslaw Milosz che pare dicesse sua madre: ognuno prega dio come può, cambiandola in ognuno si cura come può. Rimuovendo o sfrucugliando.
carissima,
ho aperto il tuo blog oggi e ho letto questo post che mi ha lasciata senza fiato. Sto vivendo un periodo di "lutto" che non ha nulla a che fare con bambini mai nati, o nati e morti poco dopo. Il mio lutto e' ben diverso, ma fa male uguale. La persona per cui provo questo e' ancora viva, ma e' come se guardandola non vedessi piu' la sua anima, ma quella dei suoi demoni. E forse hai ragione. Ognuno di noi ha un lutto e ognuno di noi lo vive come se fosse il peggiore di altri lutti. Ormai non dormo da un po', ho smesso quasi di mangiare, o mangio in modo compulsivo, qualsiasi cosa mi trovi davanti (considerando che ieri era halloween, in ufficio ci sono gli avanzi...cioccolata a go go). Mi sforzo a concentrarmi sul lavoro, e la mia capa mi dice che sono cosi' forte, perche' mi alzo la mattina, faccio le mie cose e non mi lamento poi troppo, salvo poi magari andarmi a fare una passeggiata per una decina di minuti per non farmi vedere piangere. Va ad ondate, un momento ho il cuore che non fa male, altre vorrebbe uscire dal mio petto tnato si sente straziato. Le lacrime escono cosi', senza un motivo. E io metto un piede davanti all'altro perche' la mia vita deve continuare. Scusami per essere andata off-topic (se vuoi non pubblicare il mio commento ti capisco). Roberta
Roberta, ma scherzi, più on topic di così. Grazie per avercelo detto e spero che in qualsiasi maniera tu trovi il tuo sistema per conviverci, andare avanti, insomma, quello che ti fa meno male.
Grazie,prima di tutto,per quello che hai scritto e che ho potuto leggeere nei commenti.
Una persona ha scritto:"...a volte mi sembra di non vivere per la fatica che faccio per soffocare l'infelicità che cova dentro di me..." e mi sono specchiata in queste parole.
Io ho perso da circa un anno la mia unica sorella,che era una persona meravigliosa,di grande sensibilità e inrtelligenza,una studiosa innamorata del suo lavoro (era docente di Archeologia e anche archeologa sul campo) e,in mezzo a tutto questo,il mio sostegno in tutti i momenti,la mia coscienza e la fonte delle mie certezze.
Alcuni giorni fa i suoi colleghi hanno organizzato in Università una giornata per ricordarla:io sapevo di dover essere presente e ne avevo paura.
Il dolore sedimentato con fatica dentro di me nel corso delle settimane e dei mesi è tornato in superficie di colpo,tutto insieme,mentre ascoltavo gli altri parlare di lei e vedevo le diapositive proiettate e c'era lei che sorrideva e mi guardava.
Ho pianto per tutto il tempo e poi la notte e il giorno dopo ... mentre lavoravo e fingevo di avere il raffreddore,mentree facevo la spesa e fingevo di avere l'allergia.
Quando penso a lei o ne parlo incomincio a piangere e non riesco a smettere; penso alla vita che trascorrerà senza la sua presenza, agli avvenimenti e ai pensieri che non divideremo e mi sembra di non avere la forza di portare da sola
il peso del silenzio che mi separa da lei.
Vado avanti perchè so di non potermi fermare ma ho perso la strada.
Io mio padre sono riuscita a piangerlo tre anni dopo e in quei tre anni mi incazzavo con mia madre che stava facendo lo stesso. Il poter piangere una perdita grave la considero una benedizione che vorrei imparare a gestire meglio per me stessa e ci stiamo lavorando.
La mia risposta teorica è che bisogna darsi il tempo di cicatrizzare, ma poi bisogna ricominicare a vivere e gioire, per sé stessi innanzitutto e poi per la persona che abbiamo perso, questa perlomeno la psiegazione che ho dato una volta a Ennio.
Ma è comunque la mia teoria personale e io predico bene e razzolo male.
Mammamsterdam sloggata
Il dolore, quello brutto, quello che brucia e fa piangere gli occhi per gli affari loro, viene e se ne va quando pare a lui. Tu nel frattempo puoi organizzarti per vivere suo malgrado. Ed a volte è così difficile che pensi che non ce la farai.
Poi un giorno ti accorgi che gli occhi non piangono più da soli tanto spesso.
Poi un altro giorno ti accorgi di canticchiare una canzone che avevi bandito dalla faccia della terra canticchiabile.
E allora ti spaventi e ti chiedi se te lo stai dimenticando quel dolore lì. Se non sta diventando una cosa come tutte le altre che hai vissuto/vivi/vivrai.
Io la risposta non ce l'ho per il momento
(facciamo una cosa: io non leggo te e tu non leggi me. Per un pò. ok?)
/graz
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